Editoriali
26/11/2019

Occorrono nuovi strumenti d’indagine per contribuire alla tutela della salute dei migranti 

L’eterogeneità e l’insufficiente tracciabilità dei migranti, la molteplicità dei rischi connessi al processo migratorio e la complessità degli esiti di salute rendono le procedure convenzionali dell’analisi epidemiologica poco adatte a esplorare il fenomeno migratorio più recente. Esso s’impone all’attenzione in occasione di eventi drammatici (annegamenti nel Mediterraneo, violenze nei campi di raccolta in Libia, incidenti subiti dalle vittime del caporalato) che rappresentano, tuttavia, solo una parte dei rischi e danni alla salute di chi oggi intraprende un progetto migratorio.1 Il fenomeno è complesso e richiede nuovi strumenti d’indagine.

Popolazioni in viaggio

L’immagine consolidata dei migranti europei del secolo scorso è quella di gruppi di persone che lasciano il Paese di origine per stabilirsi in altri Paesi.2 Il momento del trasferimento, ha avuto nelle migrazioni di ieri un interesse marginale, limitato com’era ai pochi (anche se spesso drammatici) giorni di treno o di piroscafo necessari per raggiungere la nuova destinazione. Le migrazioni del terzo millennio, al contrario, sono caratterizzate dai tempi lunghi del processo migratorio, dalla mutevole composizione delle popolazioni nel corso della migrazione, dalla compresenza di motivazioni diverse all’abbandono dei luoghi di origine, dall’esito incerto dell’impresa. Alcuni esempi.
Il tasso di mortalità dei migranti italiani nel corso della traversata atlantica verso le Americhe negli anni 1917-1922 (un processo migratorio della durata di 10/12 giorni) è stato dell’1,8%.3 Il tasso di mortalità subito solo nell’ultima fase (alcune ore o pochi giorni) del lunghissimo processo migratorio di coloro che tra il 2014 e il 2017 hanno lasciato la costa settentrionale dell’Africa per raggiungere l’Italia è stato del 2,1%.4 Lo stesso tasso, nei primi sette mesi del 2018, è salito a circa 6,0%, nonostante il sensibile calo degli sbarchi nello stesso anno.5
La carovana che si è mossa a piedi il 12 ottobre 2018 dall’Honduras per raggiungere gli Stati Uniti era composta da 160 persone; il 29 dello stesso mese, dopo aver attraversato El Salvador e il Guatemala e aver varcato il confine con il Messico, il numero dei migranti è salito a poco meno di 8.000 cittadini di 5 diverse nazionalità. A marzo 2019, la carovana era composta da circa 10.000 persone.6
Dal 2012 a oggi, non meno di 620.000 rohingya – minoranza mussulmana che vive in regime di apartheid nel Nord del Myanmar – hanno abbandonato il loro Paese dopo i violenti pogrom subiti da parte dell’etnia buddista dominante rakhine, senza però concludere, il più delle volte, il loro processo migratorio, essendo stati quasi sempre respinti alle frontiere con la Thailandia, la Malesia, l’Indonesia e il Bangladesh (i Paesi mussulmani di destinazione sperata) e poi reclusi in campi profughi dove, a causa delle condizioni ambientali e alimentari, subiscono un ulteriore decadimento delle condizioni di salute.7
Le migrazioni verso l’Europa, che negli anni recenti interessano direttamente i Paesi più meridionali dell’Unione europea, ma non solo, hanno origine da una vastissima area geografica che comprende Afghanistan e Siria; Yemen, Corno d’Africa e Sahel; i Paesi centrali, atlantici e mediterranei dell’Africa.8
I racconti di coloro che hanno raggiunto l’Europa parlano di viaggi durati mesi o anni, in fuga dalla guerra e dalla povertà estrema, di violenze fisiche e psicologiche subite per mano degli organizzatori del traffico dei migranti, di precarie – spesso fatali – condizioni di sussistenza per l’intera durata della migrazione.
Questi pochi esempi ci dicono che nel corso delle nuove migrazioni la composizione delle popolazioni coinvolte cambia; i rischi per la salute, di natura diversa, si sommano o si susseguono nel corso della migrazione; gli effetti a breve-medio termine, spesso letali o gravemente invalidanti, sono manifesti già prima dell’arrivo alla destinazione voluta.
L’indisponibilità di informazioni affidabili su questi fenomeni rende inadeguati gli strumenti usuali d’indagine e impedisce lo sviluppo della necessaria conoscenza. Alcune agenzie internazionali e associazioni locali che si occupano di assistenza umanitaria dispongono di informazioni sulle caratteristiche della popolazione assistita e sui danni alla salute riscontrati. Non si tratta, però, di dati strutturati, validati e confrontabili – caratteristiche necessarie per l’analisi epidemiologica – dal momento che non sono stati raccolti per scopi conoscitivi, ma per l’erogazione di assistenza in condizioni di emergenza.9

Nuove strategie d'indagine cercasi

La produzione scientifica sia nazionale sia europea sulla salute degli immigrati e sul loro accesso ai servizi sanitari è accettabilmente ricca e aggiornata,10 ma riguarda prevalentemente la parte di popolazione immigrata residente, per la quale sono disponibili i dati necessari al calcolo degli indici di mortalità e di morbosità. Si tratta dei migranti che hanno raggiunto la nuova destinazione, hanno ottenuto un permesso di soggiorno, hanno avuto accesso ai servizi sociali e sanitari e hanno, quindi, lasciato traccia nei registri di dati amministrativi di uso routinario.11,12 Questi lavori sono molto informativi ed è necessario il loro sviluppo.1 È altrettanto necessario, però, essere consapevoli che la parte sommersa dell’iceberg degli esiti di salute della migrazione riguarda quella larga quota della popolazione migrante che sfugge all’osservazione.13,14 Negli ultimi due decenni, rispetto ai due secoli precedenti, si è andata accentuando la differenza tra i migranti (i soggetti che avviano un progetto migratorio) e gli immigrati (quelli che hanno concluso nel luogo sperato il processo migratorio). Nei tempi recenti, queste due popolazioni tendono a non coincidere e lo studio dei soli immigrati non basta più.
È stata autorevolmente richiamata la sanità pubblica internazionale a svolgere con urgenza il proprio ruolo a tutela della salute dei migranti.10,15 Un modo per farlo è contribuire all’elaborazione di strategie di indagine che siano commisurate alle caratteristiche delle nuove migrazioni.
Non c’è bisogno di studi più sofisticati per interrompere la strage che avviene ormai da anni nel Mediterraneo e per azzerare i costi di salute pagati dagli immigrati irregolari sottoposti a datori di lavoro criminali.
C’è bisogno, invece, di studi disegnati, condotti e analizzati in modo nuovo e più sofisticato per stimare con affidabilità accettabile le dimensioni e per descrivere le caratteristiche principali delle popolazioni all’inizio del loro processo migratorio (i migranti) e per riconoscere e misurare i rischi potenzialmente prevenibili e i danni a breve, medio e lungo termine associati alle esposizioni che si susseguono durante lo spostamento. Queste informazioni sono indispensabili per stabilire le priorità degli interventi preventivi, assistenziali e riabilitativi.
C’è bisogno di idee nuove, di riflettere sulla teoria e sulla pratica delle indagini di popolazione quando questa è mal definita (per numerosità, età, sesso), eterogenea, mutevole (per provenienza geografica e composizione etnica), esposta a rischi che cambiano rapidamente, dispersa in gruppi diversamente suscettibili di follow-up.
C’è bisogno di un modello epidemiologico che sappia integrare le fasi di sviluppo delle nuove migrazioni (la partenza, il transito, il nuovo insediamento) assumendo che la popolazione, i rischi e gli esiti hanno specificità di fase.
C’è bisogno di nuove tecniche inferenziali di analisi statistica applicabili a popolazioni non campionabili.
C’è bisogno di collaborazione stretta tra chi si occupa di assistenza umanitaria su scala internazionale o locale e chi si occupa di sanità pubblica.
C’è bisogno di iniziative a favore della costituzione di un gruppo multidisciplinare che raccolga e analizzi i prodotti più utili della letteratura disponibile; che provi a mettere in relazione gli enti, gli istituti e i singoli esperti che sono motivati e competenti sulla salute dei migranti (IDOS, INMP, SIMM, ISS, Agenas, Istat);1,16 che avvii lo sviluppo di nuovi disegni di studio e di analisi statistica applicabili alle nuove popolazioni migranti; che identifichi le priorità di ricerca e che elabori progetti di studio e di intervento da proporre a enti governativi nazionali e a strutture comunitarie per gli sviluppi necessari.
Per dare forza a questo progetto, sarebbe necessario il coinvolgimento diretto dei migranti e la sinergia tra questi, i decisori e gli esperti. I tempi non sembrano favorevoli a operazioni di tale natura, ma questa è solo un’ulteriore complicazione di un progetto già complesso all’origine.

Conflitti di interesse dichiarati: nessuno.

Bibliografia

  1. Forastiere F, Micheli A. Immigrati, salute e assistenza sanitaria: l’epidemiologia che manca. Epidemiol Prev 2018;42(1):6.
  2. Bade KJ. L’Europa in movimento. Le migrazioni dal 700 a oggi. Roma, Laterza, 2001.
  3. Molinari A. Le navi di Lazzaro. Aspetti sanitari dell’emigrazione transoceanica: il viaggio per mare. Milano, Franco Angeli Editore, 1988.
  4. Saracci R. Migranti. Epidemiol Prev 2017;41(3-4):158.
  5. Amnesty International. Between the devil and the deep blue sea. Europe fails refugees and migrants in the central Mediterranean. London, Amnesty International, 2018.
  6. Saviano R. I diseredati dell’Honduras, la carovana che fugge dai narcotrafficanti. La Repubblica del 18.03.2019. 7.
  7. UNHCR. Dichiarazione dell’alto commissario delle Nazioni unite per i rifugiati sul rimpatrio dei rifugiati Rohingya in Myanmar. 12 novembre 2018. Disponibile all’indirizzo: https://www.unhcr.it/news/dichiarazione-dellalto-commissario-delle-nazioni-unite-rifugiati-sul-rimpatrio-dei-rifugiati-rohingya-myanmar.html
  8. Le principali rotte delle migrazioni. In: Canali L. Mediterranei. Limes 2017;6. http://www.limesonline.com/le-principali-rotte-delle-migrazioni-2/ 100436
  9. Colombo S, Checchi F. La presa di decisioni nelle crisi umanitarie: il problema è la politica non solo l’evidenza. Epidemiol Prev 2018;42(3-4):214-25.
  10. World Health Organization. Report on the heallth of refugees and migrants in the WHO European Region: no public health without refugee and migrant health (2018). Copenhagen, WHO Regional Office for Europe, 2019.
  11. Pacelli B, Zengarini N, Broccoli S et al. Differences in mortality by immigrant status in Italy. Results of the Italian Network of Longitudinal Metropolitan Studies. Eur J Epidemiol 2016;31(7):691-701.
  12. Fedeli U, Avossa F, Ferroni E et al. Diverging patterns of cardiovascular diseases across immigrant groups in Northern Italy. Int J Cardiol 2018;254:362-67.
  13. Abubakar I, Aldridge RW, Devakumar D et al. The UCL-Lancet Commission on Migration and Health: the health of a world on the move. Lancet 2018;392(10164):2606-54.
  14. Borhade A, Dey S. Do migrants have a mortality advantage? Lancet 2018;392(10164): 2517-18.
  15. Saracci R. The public health community must speak out on rising rates of migrants dying at sea. The BMJ opinion; 31/058/2018. 16. Marceca M, Baglio G, Geraci S. Per un’epidemiologia della migrazione in Italia: l’opportunità di nuove alleanze. Epidemiol Prev 2018;42(1):7-8.
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