L'indagine sulla mortalità in Italia non solo è ancora utile, ma deve essere migliorata
La rilevazione delle cause di morte ha avuto avvio in Italia fin dal 1881. Non è questa la sede per sottolinearne pregi e difetti, ampiamente noti. Mi limito a segnalare come, a quasi 130 anni dall’esordio – e benché, grazie all’avvio del Servizio sanitario nazionale e all’utilizzo delle tecnologie informatiche, negli ultimi 20-30 anni siano stati implementati molteplici sistemi informativi sanitari – essa sia ancora l’unica o la principale rilevazione per scopi essenzialmente sanitari, epidemiologici e statistici, invece che economico-gestionali (forse questo ha a che vedere con lo scarso interesse che ultimamente riscuote?). Un solo esempio può chiarire il concetto: in un’azienda sanitaria del Nord Italia (Monza e Brianza) durante un periodo di tre anni solo per il 28% dei deceduti in corso di ricovero o entro 7 giorni dalla dimissione il codice della causa di morte corrisponde a quello della principale causa di ricovero (Cavalieri D’Oro, comunicazione personale): è evidente che non si tratta solo di errori o di scarsa accuratezza di uno o entrambi i flussi, ma di concetti diversi che definiscono l’oggetto delle indagini. Tutto ciò dovrebbe indurre a utilizzare la rilevazione delle cause di morte anche come controllo e valutazione delle altre informazioni sanitarie utilizzate a fini epidemiologici: se questo è da tempo stabilito per la verifica di qualità dei dati dei Registri tumori, a maggior ragione diventa fondamentale per le altre patologie, in modo particolare in quanto in questo ambito si prospetta un utilizzo sempre più intensivo di altre banche dati sanitarie (SDO, farmaci eccetera) per stime di incidenza e prevalenza. Poco più di un anno fa, il seminario satellite sul tema svoltosi al convegno annuale dell’AIE a Milano ha lanciato la sfida per un rapido adeguamento del flusso di mortalità alle esigenze della sanità moderna. Cesare Cislaghi ha affermato provocatoriamente: «Oggi il dato di mortalità non serve più a niente... a meno che… sia tempestivo, sia linkabile, sia attendibile».
La situazione normativa e organizzativa
Come è noto, a partire dal 1990 la rilevazione della mortalità in Italia si basa su un certificato redatto in due copie, inviate rispettivamente all’Istat e all’azienda sanitaria di decesso: ciò ha reso disponibile il dato di mortalità per usi locali, ma ne sono rimasti esclusi Regioni, organi sanitari centrali (Ministero, ISS eccetera) ed enti di ricerca. Inoltre, i due sistemi sono organizzati in modo autonomo e ciò ha portato alla produzione (laddove sono stati prodotti: le ASL non hanno obblighi rispetto a questi dati, se non conservare i registri) di dati di mortalità diversi sotto il profilo quali-quantitativo. Peraltro, una indagine fra le Regioni effettuata dal CISIS ha posto in evidenza come molte Regioni dispongono di un registro di mortalità: Valle d’Aosta, Liguria, provincia di Bolzano, provincia di Trento, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Lazio, Campania, Puglia, Sicilia hanno organizzato un registro nominativo delle cause di morte (ReNCaM) regionale, dandosi in ogni caso organizzazioni e obiettivi diversi. L’entrata in vigore del DLgs 30.06.03, n.196, «Codice in materia di protezione dei dati personali», ha ulteriormente complicato il quadro, richiedendo una serie di azioni di carattere «normativo» ai fini di tutelare i dati personali, con particolare riferimento a:
- pertinenza, non eccedenza e indispensabilità dei dati utilizzati rispetto alle finalità perseguite;
- indispensabilità delle operazioni per il perseguimento di finalità di rilevante interesse pubblico individuate per legge;
- esistenza di fonti normative idonee a rendere lecite le operazioni o alla indicazione scritta dei motivi.
Secondo il parere del Garante per la privacy, quindi, l’istituzione di un archivio nominativo di mortalità a livello regionale, mediante la duplicazione delle informazioni possedute dalle aziende sanitarie, non risulta lecito in quanto non conforme al quadro normativo (DPR 285/1990) che istituisce i registri esclusivamente presso le ASL, ed è in contrasto con i principi di necessità e indispensabilità. Quindi le attività di sorveglianza della mortalità in ambito di programmazione, gestione, controllo e valutazione dell’assistenza sanitaria sarebbero da effettuarsi sulla base dei registri nominativi gestiti a livello di azienda sanitaria locale, utilizzando a livello regionale soltanto dati privi di elementi identificativi diretti e resi anonimi con un codice univoco «muto».
Qualche proposta per cambiare
La necessità che i dati statistici siano di buona qualità è stata recentemente ribadita dall’Unione europea che ne ha definite le caratteristiche (vedi riquadro nella pagina seguente). Un’analisi che tenga conto della situazione attuale, dei vincoli posti dalla normativa e delle esigenze informative dei diversi soggetti potrebbe a questo punto, a mio avviso, così indicare come perseguire alcuni degli elementi della qualità:
Accuratezza - Dovrebbe essere effettuato un controllo di qualità sulla certificazione a livello locale, ma utilizzando protocolli e modalità di intervento condivisi a livello nazionale (controllo che attualmente non viene svolto se non saltuariamente, o in piccole realtà locali).
Comparabilità - È definita, tra l’altro, dalle procedure di codifica: la disponibilità di un programma di codifica automatica centralizzato può permettere di avere la disponibilità del dato codificato in maniera omogenea per ogni livello. Oltre a ciò, dovrebbe essere definito un thesaurus dei termini medici in uso con relativo codice da attribuire.
Tempestività e puntualità - Sono punti cardine, in quanto le esigenze di governo del sistema e monitoraggio della sanità pubblica sono sempre più pressanti. Esse possono essere garantite, in un sistema necessariamente diffuso, sia attraverso l’uso di ausili elettronici (e in questo ambito è auspicabile una sperimentazione sulla certificazione elettronica) sia, soprattutto, attraverso un forte controllo delle fasi operative che, dato il numero delle ASL, può essere svolto solo da un livello intermedio regionale.
L’accessibilità comporta efficaci protocolli di tutela, ma anche agili procedure per l’uso; la presenza dei dati a più livelli (ASL, Regione, Istat, Ministero) è garanzia di un uso diffuso. Un’attenzione particolare va rivolta al mondo della ricerca, al quale va garantito l’accesso ai dati elementari.
In conclusione, dal punto di vista operativo il problema va affrontato tenendo conto che il sistema deve essere organizzato su quattro livelli: Comune, ASL, Regione, Istat e Ministero, che necessariamente devono interagire e collaborare fra loro.
Regolamento UE n.1338/2008 del 16.12.08 relativo alle statistiche comunitarie in materia di sanità pubblica e di salute e sicurezza sul luogo di lavoro. Articolo 8 - Valutazione della qualità
- «pertinenza»: il grado in cui le statistiche soddisfano le esigenze attuali e potenziali degli utenti;
- «accuratezza»: la vicinanza fra le stime e i valori reali non noti;
- «tempestività»: l’intervallo di tempo intercorrente fra la disponibilità delle informazioni e l’evento o il fenomeno che esse descrivono;
- «puntualità»: l’intervallo di tempo intercorrente fra la data della pubblicazione dei dati e la data prevista per la loro consegna;
- «accessibilità» e «chiarezza»: le condizioni alle quali e le modalità con le quali gli utenti possono ottenere, utilizzare e interpretare i dati;
- «comparabilità»: la misurazione dell’impatto delle differenze tra i concetti statistici, gli strumenti e le procedure di misurazione applicati, quando le statistiche si comparano per aree geografiche, ambiti settoriali o periodi di tempo;
- «coerenza»: la possibilità di combinare i dati in modo attendibile secondo modalità differenti e per usi diversi.
Che cosa sta succedendo
Successivamente al seminario del 2008 è stato istituito informalmente un tavolo collaborativo al quale partecipano Istat e diverse Regioni, che ha proseguito il dibattito sulla qualità, disponibilità e utilizzo dei dati di mortalità in Italia: vi è un grande interesse da parte sia dell’Istat sia delle Regioni a discutere in merito alle strategie possibili per arrivare a una unificazione dei flussi di mortalità. La questione più critica affrontata è quella riguardante la fattibilità normativa di una sperimentazione che consenta una comunicazione bidirezionale dei dati nominativi di mortalità tra Istat e Regioni. Come già sopra riferito, la normativa (DPR 285/90) prevede che titolari dell’informazione nominativa siano le ASL, e l’Istat per soli fini statistici. Le Regioni hanno quindi ulteriori finalità da perseguire oltre a quella statistica, ma le ASL non possono inviare i loro dati nominativi alla Regione, essendo questo un trattamento non previsto dalla normativa vigente. L’Istat può restituire il dato nominativo alle Regioni per soli fini statistici qualora si verifichi una delle seguenti condizioni:
- il trattamento statistico effettuato dalla Regione è previsto dal Programma statistico nazionale (PSN);
- tale trattamento è previsto dal regolamento per il trattamento dei dati sensibili e giudiziari adottato dall’amministrazione regionale ;
- il trattamento statistico effettuato dalla Regione è autorizzato da un’espressa disposizione di legge.
La soluzione ottimale di questo problema è una modifica normativa che renda disponibile il dato per il trattamento anche per le Regioni e il livello centrale, non solo per fini statistici, superando l’ormai obsoleto (per questo riferimento) DPR 285/90. Oltre a ciò, sono in discussione e in via di sperimentazione altri argomenti che riguardano la qualità del dato:
- la certificazione elettronica;
- l’introduzione di un nuovo certificato, più simile al modello internazionale;
- le procedure per la codifica automatica, in particolare le modalità di invio e restituzione di dati fra realtà locali e Istat.
In queste note ho cercato di sottolineare perché vale la pena di spendere risorse per mantenere e migliorare il sistema informativo sulle cause di morte: la fattiva collaborazione Istat-Regioni che si è avviata evidenzia come sia possibile raggiungere risultati concreti al riguardo, anche se permangono molte criticità e debolezze. In particolare, se si vogliono superare le difficoltà normative incontrate sarà necessario un maggiore impegno degli organi centrali della sanità.