Il cuore nel terzo millennio: storia di una rivoluzione epidemiologica
L'aumento dell'attesa di vita: una storia di funghi
Durante l’ultima guerra mondiale, l’introduzione degli antibiotici generò la prima grande rivoluzione epidemiologica, con un aumento, in brevissimo tempo, dell’attesa media di vita di oltre 10 anni (tabella 1).
La generazione nata durante e subito dopo quegli anni di guerra aveva circa 50 anni negli anni Novanta, aveva cavalcato l’onda del miracolo economico, aveva acquisito abitudini di vita “comode” e l'accresciuta disponibilità alimentare l’avrebbe resa candidata alla malattia aterosclerotica coronarica, poco conosciuta all’epoca della nostra vita contadina. Infatti, il livello di colesterolemia totale dell’uomo occidentale moderno risulta essere circa il doppio di quello riscontrato nelle popolazioni di cacciatori, di primati selvatici e di mammiferi selvatici (generalmente da circa 70 a 140 mg/dl corrispondente a livelli di LDL di circa 35- 70 mg/dl contro una frazione media LDL di circa 130 mg/dl nell'uomo moderno).
Negli anni Sessanta e Settanta, l’attesa di vita di un maschio italiano non era molto superiore a 65 anni (tabelle 1 e 2) ed era l’epoca in cui si cominciava a lanciare l’allarme sulla crescente incidenza delle malattie cardio e cerebrovascolari.
Nacquero alla fine degli anni Sessanta le unità coronariche, che iniziarono a lavorare a pieno ritmo; si proponevano e si sperimentavano nuovi rimedi contro l’occlusione coronarica fino all’epoca del trionfo della trombolisi, a cui sarebbe poi seguita l’epopea dell’angioplastica primaria – e ci si attrezzava con la terapia organizzativa dell’infarto, fatta di reti integrate di servizi tarate soprattutto sull’infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI).
Nel 1972, un ricercatore giapponese, Akira Endo, isolò da una muffa blu-verdastra, presente nel riso rosso fermentato preso in un negozio di granaglie, il Penicillium citrinum Pen 51, che sviluppava la Compactina (ML236B). La Compactina è un inibitore molto potente della HMG-CoA reduttasi, enzima che catalizza la conversione dell’HMG-CoA a mevalonato. I cambiamenti dell’attività della reduttasi sono strettamente correlati ai cambiamenti del tasso di sintesi del colesterolo. Era stata scoperta, sempre in un fungo, la prima statina, che avrebbe aperto la ricerca e lo sviluppo delle potenti statine degli anni successivi (tabella 3).
Si verificò, quindi, la seconda grande rivoluzione epidemiologica del secolo scorso. La generazione degli anni Quaranta, grazie all’inserimento nel bagaglio della terapia cardiovascolare delle statine e di farmaci anti-ipertensivi sempre più efficaci e meglio tollerati, vide aumentare di un balzo la propria speranza di vita di altri 10 anni (tabella 2). L’attuale attesa di vita di un maschio italiano è di circa 80 anni, della femmina di circa 83, e cresce di circa 3 mesi ogni anno. Questo balzo in avanti è dovuto soprattutto alla lotta contro l’arteriosclerosi degli ultimi due decenni del secolo scorso, così da poter considerare quell’epidemia secolare debellata, come lo erano state nei secoli precedenti peste, sifilide e tubercolosi (ciascuna con il proprio secolo di riferimento).
Come è cambiato il cuore
Abituati agli archetipi estetici del passato, ci meravigliamo oggi dell’aspetto giovanile degli ottantenni e anche dei novantenni. In realtà, la nuova vecchiaia è un bersaglio mobile, per cui perde molto significato la discriminazione anagrafica nel momento in cui è in essere una mutazione biologica. Il cuore non sfugge a questo tipo di mutazione, come anche gli altri organi interni. Questo impone una profonda rivalutazione dei nostri schemi decisionali nell’applicazione delle terapie, mediche e chirurgiche. Quell’onda che si generò in pochissimi anni ha prodotto un balzo in avanti di oltre 10 anni nell’insorgenza delle malattie coronariche, la riduzione dell’encefalopatia ipertensiva multinfartuale e degli ictus, l’immissione in circolazione di una grande quantità di persone scampate al pericolo della malattia cardio e cerebrovascolare, acuta o cronica.
Con il ridursi delle cause vascolari di cardiopatia, si fanno avanti quelle più propriamente tissutali o degenerative. Alla base del processo di invecchiamento del sistema cardiovascolare vi sono numerosi meccanismi a livello cellulare, che includono la senescenza replicativa, l’apoptosi, alcuni processi infiammatori.1 Le modifiche da invecchiamento consistono in aumento della massa ventricolare, aumento delle dimensioni atriali, deposizione di collageno miocardico e deposizione di calcio a livello valvolare e coronarico, con aumento di rigidità della parete arteriosa. Le conseguenze di queste alterazioni sono l’ipertensione sistolica isolata, la sclerosi valvolare aortica calcifica con stenosi, l’amiloidosi cardiaca senile, insieme alla coronaropatia calcifica multivasale.
Ecco, pertanto, l’incremento dello scompenso cardiaco, non a caso a sempre più prevalente fisiopatologia diastolica, non legata cioè a fenomeni di perdita di tessuto contrattile necrotica, ma piuttosto a sostituzione fibrotica progressiva e perdita di miociti. Ed ecco, quindi, l’incremento della fibrillazione atriale, legata a fenomeni degenerativi del tessuto atriale. Queste sono situazioni che interessano una fetta molto importante (fino al 15%) della popolazione degli ultraottantenni.
Molto probabilmente il trattamento con statine, modificando la biologia di placca, ne ha impedito l’evoluzione verso la rottura, ma non verso l’evoluzione sclerotica. Questa modifica della struttura di placca si è tradotta in una riduzione degli infarti con meccanismo trombotico (STEMI) e in un aumento degli infarti con meccanismo non trombotico, ma emodinamico (NSTEMI), più tipico della fragilità e comorbilità delle fasce più avanzate della popolazione.2
Gli emodinamisti riferiscono che si vedono meno quelle placche instabili, generalmente monovaso, che tanta soddisfazione davano agli albori dell’angioplastica, a favore di un’aterosclerosi calcifica diffusa in pazienti sempre più in là con gli anni (figure S1 e S2; vedi materiali aggiuntivi on-line).
Come cambia il cardiologo
Il paziente con problemi cardiovascolari oggi è molto più avanti con gli anni di quanto fosse negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, e spesso si presenta con problemi di pertinenza geriatrica che impongono una revisione profonda degli obiettivi delle cure, degli esiti attesi e del processo stesso di cura.
In Italia, gli ultrasessantacinquenni sono oggi il 21% della popolazione generale e diventeranno il 33% nei prossimi 20 anni. Uno dei segmenti demografici in più rapida crescita è rappresentato dagli individui di 80 e più anni, il cui numero verosimilmente raddoppierà nello stesso arco temporale. Attualmente in Italia gli ultranovantenni sono 600.000 e i centenari sono 19.000.
Le malattie cardiovascolari (MCV) sono responsabili dell’80% e del 60% delle morti nella popolazione di oltre 65 e 75 anni, rispettivamente.
La malattia coronarica, l’ipertensione, l’ictus, le aritmie e le valvulopatie diventano più frequenti con il passare delle decadi3 e attualmente le cause più frequenti di ospedalizzazione per cause mediche sono lo scompenso cardiaco e la fibrillazione atriale, che contribuiscono insieme al 2% della spesa sanitaria generale.
I cardiologi si trovano a doversi confrontare con una serie di problemi legati all’età che avanza, che sono gli stessi per i quali la popolazione anziana veniva sistematicamente esclusa dai trial clinici: la gestione tradizionalmente basata sulla medicina dell’evidenza e sulle linee guida viene spesso a mancare o diviene estremamente più complessa. A titolo di esempio, il deficit cognitivo è una variabile indipendente di prognosi peggiore ed è presente nel 10% delle persone oltre i 65 anni e in più del 40% degli ottuagenari.
La cardiologia è divenuta, per questi motivi, ampiamente “geriatrica”, con necessità di adattamento alle nuove esigenze della popolazione trattata, analogamente ad altre specialità come la chirurgia generale o l’ortopedia.
L’obiettivo della cardiologia geriatrica è quello di adattare la cura delle MCV a una popolazione che invecchia, mediante l’introduzione di concetti di medicina geriatrica nella cura dei pazienti più anziani con MCV.4
Nello stesso tempo, si rende necessaria l’interazione con altre specialità, prima fra tutte la medicina interna, il cui ruolo primario è quello della cura delle malattie croniche, con il coinvolgimento di varie professionalità.
Da qui, la necessità di creare una nuova cultura e una nuova sensibilità, non una nuova specialità. Occorre conoscere questa nuova popolazione: l’epidemiologia, i registri, la verifica degli esiti delle cure e l’interiorizzazione del concetto di complessità sono gli strumenti.
Specificità delle malattie cardiovascolari negli anziani
La multimorbosità (due o più malattie coesistenti), presente nella grande maggioranza dei casi, condiziona molti esiti negativi, quali ricoveri ripetuti, disabilità e morte.5 In molti contesti clinici sono l’insufficienza renale6 o la presenza di tumori a condizionare le scelte e i risultati, per la possibilità di aggravamento della funzione renale o la ridotta attesa di vita legata alla neoplasia.
Molto spesso negli anziani con multimorbosità la guida alle decisioni è rappresentata dalle scelte del paziente, dall’interpretazione delle evidenze, da considerazioni prognostiche, dalla fattibilità clinica e dalla possibilità di ottimizzare le terapie. La medicina basata sull’evidenza è stata costruita su fasce di popolazione più giovani, con esclusione sistematica degli anziani, così che le comuni linee guida non possono essere applicate a una popolazione “diversa” come quella anziana.
Le elevate morbidità e mortalità cardiovascolare dell’anziano dovrebbero comportare interventi aggressivi e tecnologicamente avanzati. È dimostrato che un trattamento aggressivo nell’anziano, nella pratica clinica e negli studi osservazionali, è più efficace in termini di NNT (cioè numero di pazienti da trattare a fronte di un esito positivo) rispetto alle fasce di età più giovani. Comunque, a causa del fatto che molte persone al di là dei 65 anni sono state escluse dai trial, anche a causa di scarse evidenze cliniche, queste corrono il rischio di non ricevere i trattamenti adeguati sia in contesti acuti sia di malattia cronica. Negli studi di registro si è osservato che i pazienti anziani con più comorbosità vengono sistematicamente sottotrattati, quando sono proprio quelli che trarrebbero il massimo beneficio da un trattamento invasivo precoce. Il “beneficio clinico netto” aumenta con l’avanzare dell’età in molti campi, quali, per esempio, il trattamento anticoagulante per la prevenzione del tromboembolismo in caso di fibrillazione atriale, in cui, ancora una volta, gli anziani sono sistematicamente sottotrattati.
Una delle sindromi geriatriche di più frequente riscontro è il deficit cognitivo,7-11 che comprende sia deficit di memoria sia nella funzione esecutiva: è noto che questa condizione comporta una prognosi negativa in molte patologie cardiovascolari, tra le quali la più comune è lo scompenso cardiaco. In questi pazienti la gestione è resa ulteriormente complicata da altre frequenti condizioni geriatriche, che comprendono l’incontinenza urinaria (18%-45%), le cadute (32%-43%) e la fragilità (14%-25%).12
La fragilità, comunemente definita come una maggiore vulnerabilità ai comuni stress ambientali, è un elemento che negli ultimi anni è stato riconosciuto responsabile di esiti negativi.13-15 Della fragilità occorre tenere conto nei comuni processi decisionali: valgano come esempio gli score di rischio dei pazienti candidati a chirurgia o a procedure invasive, che sono stati costruiti su popolazioni giovani-adulte e che si rivelano insufficienti se applicati a una popolazione anziana. Alcuni parametri clinici, quali gli indici di fragilità o di deficit cognitivo, devono essere inseriti nella valutazione del rischio, poiché possono comportare un’importante variazione di esito.
Un settore importante in cui la valutazione della fragilità ha dimostrato di avere un rilevante ruolo predittivo di esiti è quello della stenosi aortica candidabile a sostituzione transcatetere (TAVR). Nel trial randomizzato originale PARTNER, il 31% dei pazienti sottoposti a TAVR moriva a un anno, per cui si sentì la necessità di una maggiore selezione per identificare i pazienti che avrebbero tratto beneficio a lungo termine dalla procedura. A seguito dello studio PARTNER, la fragilità è stata identificata come uno dei più importanti predittori di esito nella popolazione anziana.16,17
Oltre che nella TAVR, la fragilità è stata studiata nell’infarto miocardico e si è dimostrata associata significativamente, dopo aggiustamento per i più comuni fattori di rischio, con recidiva di eventi cardiovascolari.18
Il rischio di cadute con conseguente grave sanguinamento dissuade in molti casi dal proporre terapia anticoagulante in pazienti con fibrillazione atriale, esponendoli così a un elevato rischio tromboembolico. è ancora poco chiaro se i device per l’isolamento dell’auricola possano sostituire il trattamento anticoagulante nei pazienti con controindicazione.
La polifarmacia,19,20 definita come l’assunzione cronica di 4 o più classi di farmaci, è molto frequente nell’anziano e tale da condizionare i risultati delle cure a causa della maggiore suscettibilità agli effetti indesiderati e alle interazioni, per la ridotta funzionalità dei filtri epatico e renale.
Nelle ultime decadi, farmaci cardiovascolari di largo uso nelle condizioni più comuni (inibitori P2Y12, statine, inibitori PCSK9 nella malattia coronarica, nuovi antiaritmici e anticoagulanti orali diretti nella fibrillazione atriale, antialdosteronici e inibitori del sistema renina-angiotensina e della neprilisina nello scompenso cardiaco) hanno arricchito l’armamentario farmacologico, ma hanno potenzialmente complicato il regime polifarmacologico dell’anziano con malattie croniche associate.
La polifarmacia costituisce un fattore di rischio di ospedalizzazione e di ricorso al pronto soccorso e uno dei compiti più rilevanti della cardiologia geriatrica è quello di limitare i trattamenti inappropriati e potenzialmente pericolosi.
La particolare complessità di situazioni in cui giocano un ruolo importante fattori socioeconomici, cognitivi, emozionali ed etici richiede lo sviluppo di raffinate competenze interdisciplinari.
La prossima generazione di cardiologi avrà bisogno di programmi di formazione fortemente condizionati dall’aumento dell’attesa di vita, con il conseguente intreccio di problemi cardiovascolari e geriatrici. Recentemente, Bell et al. hanno auspicato lo sviluppo di «a formalized geriatric cardiology skillset [which] would help providers who must immediately have the ability to facilitate effective care for older adults, rather than awaiting years of practice experience to develop practical gestalt».21
Conflitti di interesse dichiarati: nessuno.
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