Editoriali
26/11/2013

I cambiamenti del mondo del lavoro e i rischi per la salute

I profondi mutamenti socioeconomici intervenuti in Italia negli ultimi decenni hanno modificato in modo sostanziale le condizioni di lavoro e i relativi fattori di rischio: si possono riassumere nel seguente elenco.

  • Progressivo spostamento dell’occupazione dai settori primario e secondario verso il terziario. All’inizio del 1900 in Italia più del 70% dei lavoratori era occupato in agricoltura, i restanti erano equamente suddivisi tra industria e servizi. Dopo la Seconda guerra mondiale, il boom industriale ha visto aumentare l’occupazione nel settore secondario (fino al 45% del totale) con spostamento di molta manodopera da quello agricolo. Alla fine del secolo si è invece andato progressivamente consolidando il trend verso l’occupazione nel terziario a scapito degli altri due settori. Secondo i dati ISTAT del 20111 essa ora risulta pari al 67,8% nei servizi, al 28,5% nell’industria (edilizia inclusa) e al 3,7% in agricoltura.
  • Progressiva riduzione dei tradizionali fattori di rischio occupazionale di tipo biologico e chimico-fisico, contro un crescente aumento dei fattori di rischio di carattere psicosociale, condizionati dalle mutate forme di organizzazione del lavoro. Ciò determina una sempre maggiore rilevanza del carico mentale del lavoro e delle modalità di rapporto e relazione interpersonale. La letteratura documenta che lo stress è implicato, mediante diversi meccanismi fisiopatologici e psico-relazionali, nella patogenesi di numerosissime disfunzioni e patologie, acute e croniche, a carico dei vari sistemi e apparati, quali cardiovascolare, gastrointestinale, neuropsichico, cutaneo, endocrino, metabolico e immunologico, nonché di degenerazione neoplastica; ha inoltre conseguenze negative sulle relazioni familiari e sociali. In base alle ultime due indagini della Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro di Dublino, tra i lavoratori dell’Unione europea il problema «stress» risulta al primo posto, assieme ai disturbimuscolo-scheletrici,2 mentre il costo globale delle patologie stress-correlate è stimato in più di 20 miliardi di euro all’anno, comprendendo costi lavorativi, sanitari e sociali.3
  • Avvento delle nuove tecnologie (elettronica, automazione, informatica, nanotecnologie) che, oltre a modificare i metodi e i sistemi di produzione, ha rivoluzionato le modalità di interscambio e commercializzazione di merci e l’erogazione/fruizione di beni e servizi. Il loro impatto sulla vita e sulla salute delle persone non è ancora adeguatamente compreso e valutato, a fronte dell‘importanza economica e sociale di cui godono, testimoniata dal fatto che i progetti di ricerca sulle nuove tecnologie di informazione e comunicazione (ICT) assorbono la proporzione maggiore dei finanziamenti del VII programma quadro (2006-2013) dell’Unione europea.4
  • Globalizzazione e flessibilità dei mercati, sia a livello internazionale sia locale, che si traduce in modificazioni di forma e durata dei contratti di lavoro (a tempo determinato, lavoro somministrato, a chiamata, a progetto), nella delocalizzazione delle attività aziendali in diverse aree geografiche del pianeta, nell’esternalizzazione di molteplici attività complementari o di supporto, nella scissione tra gestione produttiva e finanziaria delle imprese, nella diversificazione dei modelli organizzativi. Negli ultimi anni i lavoratori parasubordinati sono in costante crescita: nel periodo 1996-2004 essi erano aumentati del 108% con un incremento medio annuo del 9,6%; nel 2010, i lavoratori cosiddetti «atipici» (part-time, a termine, di stage, interinali, parasubordinati) risultavano tra 2,5 e 4 milioni, ossia dall’11,3% al 17,2% del totale della forza-lavoro, secondo le stime di ISTAT e CGIA (Associazione artigiani e piccole imprese) di Mestre rispettivamente, la maggior parte dei quali nelle regioni del Centro-Sud. Dal 1977 al 2009 i lavoratori autonomi sono passati dal 13,9% al 20,9% nel settore industriale e dal 18,8% al 37,6% nel settore delle costruzioni, mentre sono calati dal 62,3% al 52,5% in agricoltura e dal 28,9%al 25,2%nel settore dei servizi.1 I lavori atipici sono caratterizzati da un’elevata discontinuità d'impiego, in ambienti di lavoro diversi e contesti organizzativi mutevoli, orari molto variabili e diversificati, esposizione a fattori di rischio multipli e frammentati, compiti più gravosi e “sporchi”, ruoli marginali nell’impresa, minori livelli di informazione e formazione specifica, quindi maggiore vulnerabilità infortunistica e difficoltà di tracciabilità del rischio occupazionale, nonché di appropriato controllo delle condizioni di salute per possibili effetti cumulativi a lungo termine.
  • Rapida espansione della cosiddetta «società delle 24 ore», che comporta una sempre maggiore interconnessione spazio-temporale su scala planetaria, con la conseguente necessità di interagire in tempo reale, sia a fini lavorativi sia sociali, tra persone di aree geografiche e fusi orari differenti. Gli orari di lavoro si vanno quindi sempre più estendendo alle ore serali e notturne e ai giorni festivi, assumendo una variabilità sempre più accentuata, comprendendo il lavoro a turni, il part-time, il lavoro nel weekend, la settimana compressa, gli orari variabili di inizio e fine lavoro, il lavoro straordinario, il lavoro su chiamata, il telelavoro. La III indagine europea (2000) sulle condizioni di lavoro ha evidenziato che solo il 24% dei lavoratori (27% dei dipendenti e 8% degli autonomi) lavora nel normale orario giornaliero (tra le 7-8 del mattino e le 17-18 del pomeriggio, dal lunedì al venerdì).5 Secondo la IV indagine europea del 20056 l’orario medio settimanale di lavoro varia da 34 ore in Olanda a 55 ore in Turchia (minimo 8,massimo 90 ore), e il lavoro con turni notturni interessa il 21% dei lavoratori. Secondo i dati dell’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) l’orario annuale di lavoro supera le 1.800 ore in 27 Paesi su 52 monitorati dal 1996 al 2006.7 Nel 2005, in Europa il 16,9% dei lavoratori dei 27 stati membri lavorava 48 o più ore settimanali (dall’11,1% in Lussemburgo al 32,1% in Turchia).
  • Progressivo invecchiamento della popolazione generale, quindi anche di quella lavorativa. L’Italia è attualmente il Paese più vecchio del mondo assieme al Giappone: la speranza di vita media oggi è di 79,1 anni per gli uomini e 84,3 per le donne, mentre l’età media della popolazione generale è attualmente di 43,5 anni; era invece di 38,9 anni nel 1991 e di 33,5 nel 1961.1 Il rapporto di dipendenza in relazione all’età (rapporto tra le persone con più di 65 anni e quelle di età compresa tra 20 e 65 anni) è attualmente pari al 29% e si stima che supererà il 60% nel 2050, raggiungendo il 58% entro il 2025.8 A fronte di ciò, il tasso di occupazione italiano delle persone di età superiore a 55 anni è attualmente tra i più bassi in Europa (32% contro 50% in Portogallo, 60% in Danimarca, 70% in Svezia),9 ma aumenterà significativamente nei prossimi anni, anche in relazione a fattori di sostenibilità economica, in particolare all’innalzamento dell’età pensionabile. Vi sarà pertanto un sempre maggior numero di persone anziane attive che avranno necessità o che richiederanno di lavorare; contemporaneamente vi sarà un sempre maggior numero di soggetti anziani con diversi gradi di disabilità ai quali occorreranno forme migliori di assistenza sanitaria e di sostegno lavorativo. Tali aspetti contrastanti pongono il problema di come mantenere in buone condizioni di salute le persone che invecchiano promuovendone la qualità di vita, l’autonomia e l’integrazione lavorativa e sociale mediante soddisfacenti condizioni di lavoro (ambientali e relazionali) e corretti stili di vita, con conseguenti minori costi sanitari e sociali per l’individuo e per la collettività.10
  • Aumento del tasso di occupazione femminile, che seppure ancora inferiore a quello maschile, ha visto un incremento 7 volte superiore negli ultimi 15 anni. Secondo i più recenti dati ISTAT,1 su 23 milioni di persone occupate in Italia nel 2009 il 59,9% erano uomini e il 40,1% donne. Nel 1977 risultavano «attive» (occupate o in cerca di lavoro) solo il 35% delle donne tra 25 e 64 anni, mentre nel 2009 esse erano il 56%. Tale dato è tuttavia ancora molto lontano dalla media europea dei 27 Paesi membri della UE, pari al 69,4%, con punte oltre l’80% nei Paesi scandinavi. Oltre alle ben note differenze di carattere biologico, che possono comportare un maggior rischio per la salute fisica e la fertilità in caso di esposizione a sostanze tossiche e o peculiari condizioni di lavoro (per esempio lavoro notturno), in questi ultimi anni si sono fatti sempre più numerosi gli studi concernenti il conflitto casa-lavoro, soprattutto in termini di pressione del tempo e di conciliazioni di ruoli e doveri familiari e professionali, che si traduce in maggiori costi lavorativi (investimento e soddisfazione, possibilità di carriera, turnover, precarietà) e personali (assenteismo, disturbi e patologie psicosomatiche, rapporti familiari e sociali).
  • Crescita della domanda di inserimento e reinserimento lavorativo per persone con diversi gradi di disabilità, sia su base eredo-familiare sia conseguente a traumi e/o patologie cronico-degenerative (cardiovascolari, respiratorie, muscolo-scheletriche, neuropsichiche e neoplastiche). Attualmente risultano occupate meno del 18% delle persone con disabilità in età lavorativa11 e solamente il 3% ha come fonte principale un reddito da lavoro. Dei disabili occupati tra i 15 ai 44 anni, il 15,5% sono donne e il 29,4% uomini, mentre tra i 45 e i 64 anni le donne occupate sono solo il 6,6% contro il 20,8% degli uomini. In Italia, la spesa sociale per invalidità e disabilità è passata da 12 miliardi di euro nel 1990 a 20,5 nel 2003,12 fino a 47 miliardi nel 2009.13
  • Crescente immigrazione e occupazione di persone provenienti dall’Est Europa, dall’America latina, dall’Asia e dall’Africa che impone di valutare attentamente differenti condizioni di vulnerabilità ai fattori di rischio lavorativi, anche in riferimento a fattori genetici e socioculturali. Nel 1961 erano 62.780 gli stranieri ufficialmente residenti in Italia, al 1° Gennaio 2010 essi sono divenuti 4.235.059, di cui 2.000.000 circa occupati. Secondo il Rapporto 2011 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali14 la crescita dei lavoratori stranieri avviene soprattutto per gli impieghi meno qualificati e a bassa specializzazione, in particolare quelli riguardanti i servizi sociali e alla persona e i settori edile e agricolo; nei prossimi 9 anni l’Italia avrà bisogno di 1.800.000 nuovi lavoratori stranieri, ossia circa 200.000 persone all’anno.
  • Aumento dei bisogni e delle aspettative professionali delle giovani generazioni, in relazione ai maggiori livelli di istruzione e di formazione professionale acquisiti. Il tasso di analfabetismo è attualmente dell’1,5%, mentre era il 5% nel 1971 e il 27,4% nel 1921. Nel 1951 solo il 3,3% degli italiani era diplomato e l’1%laureato, mentre ora il 25% è diplomato e il 7,1% è laureato. Nel 1970 gli iscritti all’università erano il 12%, mentre nel 2009 erano il 41,5% dei giovani fra i 19 e i 25 anni. In Italia, nel 1950 le donne costituivano il 31% dei laureati, invece ora sono il 56,7%.1 Tutto ciò porta a riconsiderare le finalità e gli obiettivi prioritari della medicina del lavoro e della sanità pubblica più in generale, al fine di rispondere adeguatamente a una realtà occupazionale che cambia molto rapidamente. Nei prossimi decenni l’impegno della medicina del lavoro dovrà essere sempre più orientato verso obiettivi di prevenzione primaria e di promozione della salute nell’ambiente di lavoro, nonché di prevenzione terziaria in termini di riabilitazione e (re)inserimento lavorativo. La prima dovrà basarsi su indagini epidemiologiche sempre più accurate volte a definire l’eventuale associazione tra condizioni di lavoro e disturbi e patologie lavoro-correlati, tenendo conto dell’interazione tra molteplici fattori di rischio occupazionali e non, così come su di una costante attività di informazione e formazione a tutti i livelli, rivolta sia a chi svolge compiti progettuali e dirigenziali, sia a chi svolge compiti prevalentemente esecutivi. La seconda dovrà orientarsi su interventi di supporto mirati all’inserimento lavorativo di persone con diversi gradi di abilità/capacità di lavoro, al fine di trovare il giusto rapporto tra le richieste del compito e le capacità funzionali della persona.

Bibliografia

  1. Istituto nazionale di statistica. Italia in cifre 2011. Roma, ISTAT, 2011.
  2. Eurofound. Fifth EuropeanWorking Conditions Survey. Luxembourg, Publications Office of the European Union, 2012.
  3. European Commission. Guidance on work-related stress – Spice of life or kics of death? Employment and Social Affairs. Health & Safety at Work. Luxembourg, Office for Official Publications of the European Communities, 2000.
  4. Commissione Europea. Settimo Programma Quadro (7o PQ). Community Research and Development Information Service, 2012. Disponibile all’indirizzo: http://cordis.europa.eu/fp7/home_it.html
  5. Costa G, Åkerstedt T, Nachreiner F et al. Flexible working hours, health and wellbeing in Europe: some considerations from a SALTSA project. Chronobiol Int 2004;21:831-44.
  6. Parent-Thirion A, Fernández Macías E, Hurley J, Vermeylen G. Fourth European Working Conditions Survey. European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions, Dublin, 2007.
  7. International Labour Office. Labour Statistics. Geneva, ILO Pub, 2007. Disponibile all’indirizzo: http://laborsta.ilo.org
  8. Lanzieri GP. Long-term population projection at national level. In: Statistics in focus. Eurostat, 2006.
  9. Romans F, Kotecka M. European Union Labour Force Survey. Annual results 2006. Eurostat DATA in focus. Population and social conditions 10/2007. Brussels, European Communities, 2007.
  10. Ilmarinen J. Ageing workers. Occup Environ Med 2001;58(8):546-52.
  11. Istituto nazionale di statistica. La disabilità in Italia: il quadro della statistica ufficiale. Argomenti n. 37. Roma, ISTAT, 2009.
  12. Taddei D. La spesa sociale dal 1990 ad oggi. 2006. Disponibile in:http://itlists.org/ pipermai l /pdl3486/2006- January/ 001619.html
  13. Ministero del lavoro e delle politiche sociali e ISTAT. Disabilità in cifre. Aggiornamento all’11.10.2011. Disponibile all’indirizzo: www.disabilitaincifre.it
  14. Ministero del lavoro e delle politiche sociali. L’Immigrazione per lavoro in Italia: evoluzione e prospettive. Rapporto 2011. Roma, 2011.
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