Editoriali
26/11/2014

Dati di prevalenza e guarigione alla base di un’azione più efficace contro il cancro

Tumori e società

Armi, acciaio e malattie è il titolo del fortunato libro di Jared Diamond sulla “breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni”.1 Una storia che ha visto l’uomo lavorare il metallo e forgiare armi per il cibo (andate e moltiplicatevi!) e combattere contro le malattie per vivere più a lungo e meglio. E noi contemporanei quale snodo occupiamo in questo percorso storico, non poi così lungo come si riteneva un tempo? Di certo si tratta di un tempo di rapide trasformazioni se in un solo secolo, il XX, nel Nord del mondo la speranza di vita media è raddoppiata: in Italia, per esempio, all'inizio del Novecento si viveva in media circa 40 anni, mentre all'inizio degli anni 2000 abbiamo sfiorato gli 80.2 Di conseguenza il tratto di storia in cui viviamo è caratterizzato dall’invecchiamento dell’uomo e dalle malattie che lo accompagnano, infatti le patologie cronico-degenerative (non trasmissibili) causano oltre il 60% delle morti a livello globale.3 Tra queste, prevalgono le malattie cardiovascolari, le malattie respiratorie croniche, il diabete e i tumori. E forse proprio questi ultimi rappresentano la patologia che meglio descrive le nostre società. Lo si desume dalla forte relazione tra frequenza del tumore e grandi indicatori macro-economici: incidenza, mortalità, sopravvivenza sono legati al reddito (all’investimento in sanità);4 ci si ammala per tumore più nel Nord del mondo che nel Sud (i tassi più alti sono in America Settentrionale, i più bassi in Africa), anche se la mortalità per tumore non segue la stessa distribuzione geografica, essendo più omogenea tra grande aree continentali, dal che si evince quanto sia grande la diseguaglianza nella capacità di cura nelle diverse società.4,5
Nonostante il tumore venga ancora indicato come un male oscuro, associato a una morte ritenuta certa e imminente, negli ultimi decenni l’oncologia è stata attraversata da tali profonde e positive modificazioni da richiedere un riesame del quadro epidemiologico e delle politiche sanitarie per il controllo del cancro. In Europa la prognosi della malattia è migliorata progressivamente e in modo importante ovunque, come testimoniato dagli studi Eurocare,6 ma lo svantaggio per le aree più povere è difficile da ridurre6,7 e gli strati sociali privilegiati godono di un migliore accesso alle cure.8 D’altra parte il numero di nuovi malati continua ad aumentare9 a causa di un contrasto inadeguato dei rischi di malattia e per l’invecchiamento delle popolazioni: la prevalenza per tumore diventa così, almeno nel Nord del mondo, un parametro essenziale per il governo della sanità,10 il cui studio è un elemento indispensabile nella lotta contro il cancro.

La prevalenza dei malati di tumore

Le stime di prevalenza e guarigione da tumore presentate nel Rapporto AIRTUM 2014,11 allegato a questo fascicolo di E&P, ci dicono che in Italia il numero delle persone con esperienza di malattia aumenta di circa il 3% all’anno; le previsioni suggeriscono che presto le persone che nel corso della vita hanno ricevuto una diagnosi oncologica supereranno i 3 milioni,11 il doppio di quelle stimate agli inizi degli anni Novanta.12 Si tratta di numeri importanti che dovrebbero chiamare i decisori ad assumere il controllo del cancro tra le priorità dell'agire politico: infatti è direttamente coinvolto nella malattia il 5% dell'intera popolazione italiana11 e, se assumiamo che almeno altre 4 persone siano in media indirettamente coinvolte dall’esperienza oncologica di un familiare, si può affermare che circa il 25% della popolazione è toccato dalla malattia. Ma mentre il fenomeno cresce, i sempre più numerosi pazienti non trovano adeguate risposte ai loro bisogni sanitari e sociali: il Servizio sanitario nazionale pubblico italiano (SSN), che nel confronto internazionale mostra in oncologia buoni livelli di efficacia,6,7 è prevalentemente indirizzato alla fase di comparsa della malattia e al suo contrasto nella fase delle acuzie, mentre è ancora insufficiente nella definizione di una rete di sostegno che sappia sorreggere la vita delle persone nella fase della cronicità. Si tratta di un ritardo non solo italiano se in Europa solo recentemente ci si è posti il problema di proporre indicatori per la descrizione dell’attività di riabilitazione,13 intesa come un processo per raggiungere e mantenere ottimali livelli fisici, sensoriali, intellettuali, psicologici e sociali.14

Per un'epidemiologia della riabilitazione

Il tumore rappresenta per chi lo sperimenta, e per le famiglie coinvolte, un’esperienza totalizzante che altera in senso negativo la storia occupazionale, professionale ed economica, la storia familiare, affettiva e sessuale, e la storia psicologica e relazionale.15,16 Chi sperimenta la malattia spesso lamenta una sensazione di solitudine psicologica in contraddizione con la cultura prevalente nelle nostre società postindustriali che tende a non accettare la morte. L'SSN dovrebbe garantire la presa in carico (è l'SSN che chiama il paziente ai controlli periodici) e la continuità terapeutica (è l'SSN in rete che connette l’attività specialistica oncologica a quella del medico di famiglia e a quella di altre patologie che spesso coinvolgono i pazienti oncologici), procedure professate come fondamentali dalle associazioni scientifiche mediche, ma che di fatto non vengono perseguite perché contrastano con un sistema prevalentemente indirizzato all’incremento del numero di prestazioni nell’unità di tempo (efficienza) piuttosto che agli esiti in termini di qualità della vita (efficacia). I pazienti spesso gravati da problemi prevalentemente psicologici e sociali, quando non direttamente coinvolti nella ripresa della malattia, non trovando nel sistema le risposte ai loro problemi, tendono a richiedere un continuo controllo clinico, inflazionando la domanda diagnostica (forse le code agli sportelli sanitari sono anche il risultato dei successi in oncologia!) piuttosto che rivendicare risposte ai loro bisogni reali. Essi comunque, plausibilmente spinti dalla necessità di vedere riconosciuti bisogni insoddisfatti, si organizzano, e in Italia sono centinaia di migliaia le persone che in diverso modo fanno riferimento al volontariato oncologico cercando di porre all’ordine del giorno della politica e della ricerca scientifica il tema della qualità della vita nel mentre si affronta il tema del prolungamento del tempo di vita e della disparità nell’accesso alle cure migliori.17 È questo uno dei grandi temi della medicina del secolo appena iniziato: come affrontare/come avere cura delle persone con una condizione patologica di tipo cronico, spesso in età avanzata. Si tratta di rivedere l’organizzazione del sistema sanitario indirizzandolo più verso una medicina del territorio vicina alle persone e ai loro bisogni, quando la fase dell’acuzie è superata e l’azione specialistica di alto livello – in rete con la realtà locale – non è più immediatamente necessaria. Si tratta di prevedere anche una diversa formazione che porti alla creazione di una nuova generazione di professionisti della salute che sappiano occuparsi di più del tema della qualità della vita post-acuzie (condizione psicologica, sociale, economica oltre che sanitaria) e che sappia fornire indicazioni per l’applicazione di misure preventive nello stile di vita di chi si è ammalato; evidenze convincenti suggeriscono che le indicazioni di prevenzione primaria – alimentazione appropriata, riduzione nel consumo di alcol, eliminazione del fumo, contrasto alla sedentarietà – sono anche misure che migliorano la prognosi.18 Si tratta di ri-orientare anche la ricerca in campo clinico, biomedico ed epidemiologico rafforzando e innovando studi sulla condizione di cronicità e sulla qualità della vita: per rispondere a una domanda proveniente ormai da milioni di persone sono necessari investimenti nella scienza della riabilitazione e per l’avvio di una epidemiologia della riabilitazione.

Studi di prevalenza e partecipazione

Si può ragionevolmente sperare che una epidemiologia della riabilitazione si vada presto rafforzando anche in Italia, confermando il ruolo spesso di avanguardia ricoperto dall’epidemiologia descrittiva italiana in questa area di studi.13,19-42 L'attività scientifica e in specie quella epidemiologica dovrebbero però sapersi modificare su un punto metodologico vitale per lo sviluppo della conoscenza per una scienza a servizio dell’uomo: essa dovrebbe riconoscere un ruolo di partecipazione nella fase di ideazione, esecuzione e discussione della ricerca alla componente organizzata del mondo di chi ha sperimentato la malattia. Questo mondo è portatore di una cultura specifica che non può essere sostituita perché nasce da bisogni e esperienze profonde – la rinnovata coscienza della caducità della vita. In questa direzione è andata rafforzandosi la pratica di accogliere la voce dei pazienti nei prodotti di epidemiologia descrittiva come nel caso dei Rapporti AIRTUM 201243 e 2014,11 il passo successivo è quello di rendere quella partecipazione un metodo di lavoro: niente su di noi senza di noi, dice il logo della European Cancer Patient Coalition.

Bibliografia

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