Editoriali
26/11/2011

Condizione militare e morbosità per cancro: il punto della situazione

Un editoriale di Benedetto Terracini su questa rivista riassumeva quanto fatto, al luglio 2006, per esaminare i rischi sanitari dei veterani dei Balcani in ambito istituzionale e sintetizzava i risultati dello studio di coorte.1 Le principali iniziative istituzionali erano la Commissione Mandelli del Ministero della difesa e la Commissione parlamentare di inchiesta che, concludendo i lavori nel 2006, menzionava l’accordo di collaborazione del dicembre 2004 fra il Ministero della salute e l’Istituto superiore di sanità (ISS) per la creazione del Registro tumori della popolazione militare. Lo studio di coorte era quello dell’incidenza tumorale degli oltre 39 000 militari impegnati in Bosnia e Kosovo nel periodo 19952001, oggetto del Rapporto della Commissione Mandelli e dello studio curato dall'ISS e presentato nel 2003.2 In questa indagine l’incidenza del personale militare, confrontata con quella delle popolazioni incluse nei registri tumori, mostrava, sulla base di 12 casi, un eccesso di linfomi di Hodgkin, il SIR (rapporto standardizzato di incidenza) era pari a 2,36 (IC 95% 1,22-4,13). Gli autori dello studio concludevano che, sulla base dell’analisi critica delle conoscenze sulle esposizioni a uranio impoverito, una correlazione causale tra la malattia di Hodgkin e l'esposizione interna non era stata dimostrata, come peraltro suggerito dalla permanenza del punto di domanda nel titolo dell’articolo: Uranio impoverito e linfomi di Hodgkin nei soldati italiani in Bosnia e Kosovo: una possibile associazione? Nel 2007 una lettera, pubblicata sempre su Epidemiologia & Prevenzione, presentava il progetto Signum (Studio di impatto genotossico nelle unità militari) promosso dalla Direzione generale della sanità militare e inizialmente finanziato con la legge n. 68 del 2004 e successivamente integrato. Per Signum lo stanziamento globale è stato di oltre due milioni di euro, è iniziato nel 2004 e la conclusione era prevista per il 2007. Lo scopo dello studio era la valutazione dell’esposizione all’uranio impoverito e ad altri mutageni o cancerogeni.3 L’editoriale di E&P del 2006 suggeriva un aggiornamento dello studio epidemiologico e la pubblicazione dei risultati nella forma convenzionale della comunità scientifica italiana e internazionale, cioè in riviste con procedure di peer review.1 Lo studio4 condotto da ricercatori dell’esercito, del quale l’intervento di Peragallo e coll. pubblicato in questo numero di E&P presenta i principali risultati, recepisce il suggerimento dell’aggiornamento dello studio dell’incidenza ed è stato pubblicato nel 2010 sulla rivista Cancer Epidemiology che adotta procedure di peer review. L’articolo presenta in modo esaustivo le fonti e le modalità di raccolta dei dati e l’analisi statistica. I dati provengono dal sistema di sorveglianza delle neoplasie maligne, attivato nel 2001 dalle autorità militari e la registrazione dei casi riguarda il periodo 19962000. Rispetto alla precedente indagine ISS2 la coorte è ampliata a circa 27 000 soldati impiegati in Bosnia, 31 000 in Kosovo e include anche un gruppo di controllo di soggetti mai impiegati nelle due regioni, il periodo di osservazione è esteso agli anni 19962007. L’introduzione dell’articolo riporta lo stato delle conoscenze relative al rischio sanitario dell’uranio impoverito, con specifico riferimento all’esposizione interna, quella rilevante per la coorte dei veterani5 e lo stato dell’arte dell’evidenza epidemiologica.6 La ricca discussione espone in modo articolato i limiti dello studio e rende ragione delle conclusioni tratte dagli autori. Uno dei principali limiti è la perdita, da parte del sistema di sorveglianza militare di circa il 25% dei militari della coorte che, congedati, fanno riferimento alle strutture del Servizio sanitario nazionale; la conseguenza è la perdita dei casi di tumore verificatisi tra i congedati, anche se una parte di essi viene recuperata attraverso l’autonotifica fatta a fini di risarcimento da alcuni soggetti. Inoltre gli autori segnalano il fatto che i tassi di riferimento utilizzati nell’analisi sono nazionali mentre la maggioranza dei membri della coorte proviene dall’Italia meridionale, questo può portare all’aumento dei casi attesi e conseguente sottostima del rischio. Infine, il fatto che i risultati nella coorte italiana non siano coerenti con i risultati di analoghe indagini dei militari di altre nazioni è un elemento che indebolisce l’interpretazione dell’osservazione in termini causali. In conclusione, la lettura in tutte le sue parti dell’articolo originale permette di condividere le conclusioni degli autori: «I risultati preliminari dei dati di sorveglianza non supportano l’ipotesi che l’aver servito nell’area dei Balcani possa costituire uno specifico rischio cancerogeno». Alcuni commenti riguardano invece il testo dell’intervento di Peragallo e coll., presentato in questo numero di E&P, che ha lo scopo di «fornire un aggiornamento dei dati di morbosità per cancro nei reduci delle missioni di peacekeeping nei Balcani e, più in generale, nei militari italiani». Il testo, nella sua brevità, non descrive i limiti dello studio che sono essenziali ai fini di una adeguata comprensione ed esprime in forma molto decisa l’interpretazione dei risultati. Per esempio nell’abstract, riportando che secondo i risultati preliminari la morbosità per linfoma di Hodgkin non si discosta dai valori attesi si afferma che «l’eccesso di casi di questo tumore, evidenziato nel 2001-2002, è legato a un picco d’incidenza verificatosi nel 2000 non solo nei reduci del Balcani, ma nell’intera popolazione militare… e che tale eccesso non è pertanto associato all’impiego nei territori dell’ex- Jugoslavia e rappresenta probabilmente un evento casuale». Anche il paragrafo dei risultati della sorveglianza delle neoplasie maligne nelle Forze armate conclude in modo risoluto che: «Il rischio del linfoma di Hodgkin non è pertanto associato all’impiego operativo nei territori dell’ex-Jugoslavia ». Un commento generale è che il testo dell’intervento, necessariamente breve, poteva forse utilizzare una terminologia più cauta che sarebbe stata più aderente ai limiti dello studio. L’obiettivo di questa nota editoriale è quello di porre nel suo più ampio contesto l’intervento di Peragallo e coll. che accompagniamo con l’invito ad una lettura dell’articolo originale. Per l’indagine epidemiologica è possibile ipotizzare alcuni sviluppi. Il primo potrebbe essere la ricostruzione completa dei membri della coorte, in quanto all’esercito sono presumibilmente disponibili i dati anagrafici dei congedati (nome e cognome, data e luogo di nascita). L’accertamento dello stato in vita potrebbe essere completato attraverso fonti correnti quali le anagrafi comunali o l’anagrafe tributaria, il linkage con dati sanitari delle schede di dimissione ospedaliera (SDO) sarebbe il passo finale, peraltro menzionato nell’articolo in inglese. Per l’analisi si potrebbe considerare l’utilizzo di tassi di riferimento per macro aree geografiche. Infine i dati del progetto Signum, riccamente finanziato, la cui conclusione era prevista per il 2007,3 permetterebbero la messa a punto di una strategia di analisi che utilizzi le informazioni sull’esposizione. Concludendo, lo studio affronta un tema importante, E&P si augura di potere tenere al corrente i suoi lettori degli sviluppi ai quali anche gli epidemiologici italiani potrebbero dare un contributo.

Conflitti di interesse dichiarati: nessuno

Bibliografia

  1. Terracini B. I veterani della Guerra dei Balcani e l’uranio impoverito:ciò che gli epidemiologi italiani vorrebbero sapere. Epidemiol Prev 2006; 30 (45): 214-215.
  2. Grandolfo M, Mele A, Ferrigno L, Nuccetelli C, Risica S, Tosti ME. Uranio impoverito e linfomi di Hodgkin nei soldati italiani in Bosnia e Kosovo: una possibile associazione? Notiziario dell’Istituto superiore di sanità 2003; 16 (7/8):310.
  3. Bonassi S. A proposito dell’uranio impoverito: il progetto Signum. Epidemiol Prev 2007; 31 (1): 6.
  4. Peragallo MS, Lista F, Sarnicola G, Marmo F, Vecchione A. Cancer surveillance in Italian army peacekeeping troops deployed in Bosnia and Kosovo, 1996-2007: preliminary results. Cancer Epidemiol 2010; 34: 4754.
  5. The Royal Society. The health hazards of depleted uranium munitions. Part I. London: The Royal Society; 2001 (http://royalsociety.org/ThehealthhazardsofdepleteduraniummunitionsPart1FullReport/)
  6. Lagorio S, Grande E, Martina L. Rassegna degli studi epidemiologici sul rischio di tumori tra i militari della Guerra del Golfo e delle missioni nei Balcani. Epidemiol Prev 2008; 32(45):145-155.
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