Editoriali
26/11/2015

Causalità e casualità nell’oncogenesi

Eredità (ERED) e ambiente (AMB)1 sono le due grandi categorie di fattori eziologici del cancro: i loro ruoli assoluti e relativi sono dibattuti da decenni. Riguardo alla patogenesi, il modello corrente è che la cellula normale diventa neoplastica attraverso una sequenza di mutazioni somatiche (figura 1a): considerando che queste hanno carattere stocastico o casuale, è chiaro da tempo che anche il caso (C) ha un ruolo importante nell’origine dei tumori.2 La cellula neoplastica, avendo accumulato un numero n di mutazioni, ha ora una crescita abnorme: l’oncogenesi costituisce, a livello di cellule somatiche, un processo assai simile all’evoluzione darwiniana degli organismi, dove gli eventi innovativi sono le mutazioni, che avvengono a caso; mentre l’ambiente è l’agente altamente selettivo (cioè per nulla casuale) che favorisce le cellule che hanno mutazioni vantaggiose per la loro crescita.3 La prima formulazione articolata di questo modello è stata pubblicata da John Cairns4 40 anni or sono. Ma in questa rivista – dato il suo nome – vale la pena di ricordare che esso è pienamente in accordo con il classico lavoro di Armitage e Doll2 in cui gli autori hanno dimostrato che l’incidenza di tumori è una funzione di potenza dell’età, il cui esponente (intorno a 4) poteva essere una stima del valore medio di n. E un’altra stima di n, pur essa sulla base di dati epidemiologici, veniva offerta da Knudson,5 quando ipotizzò per il retinoblastoma sporadico n =2. n non è uguale in tutti i tumori, e probabilmente nella maggior parte dei casi è tra 3 e 6.3,6 Oggi la panoramica delle mutazioni somatiche nei tumori è assai ricca,7 e, per fortuna, in buona parte pubblica.8
Il tipo più semplice di mutazione, in cui viene sostituita una singola base, è detta puntiforme. Si tratta di un piccolissimo errore nella replicazione del DNA: una tassa che si deve pagare ogni volta che una cellula si divide.
Il numero M di mutazioni che si accumulano in un organismo sarà proporzionale al numero D delle divisioni cellulari:

M = μD           [1]

dove la costante di proporzionalità μ è il tasso di mutazione somatica.
Tale tasso è una tassa modesta, dell’ordine di 10-7 per gene per divisione cellulare; ma, considerando il numero assai elevato di divisioni che occorrono per arrivare dalla singola cellula dello zigote a un organismo umano adulto, si può calcolare che in media in un adulto ogni singolo gene sia mutato in almeno una cellula somatica. La mutazione spontanea è il prototipo di un evento stocastico, poiché è la conseguenza diretta di un mis-appaiamento di basi,9 che a sua volta dipende dall’equilibrio, dettato da principi di meccanica quantistica, che esiste in soluzione tra le forme tautomeriche delle basi puriniche e pirimidiniche.10
Le mutazioni somatiche sono per la maggior parte neutrali, cioè non hanno conseguenze significative; ma alcune (una percentuale piccolissima) possono essere oncogeniche.
Considerando quanto sopra, il ruolo del caso non è un concetto nuovo, ma ha avuto nuovo impulso e vasta risonanza mediatica in seguito all’elegante lavoro recentemente pubblicato su Science da Tomasetti e Vogelstein,11 che hanno affrontato un quesito fondamentale in oncologia: perché il cancro è così frequente in alcuni organi o tessuti e così raro in altri? Per rispondere, questi autori hanno cercato di evincere da dati in letteratura i valori di D per quanti più tessuti possibile,12 e hanno dimostrato che la frequenza di tumori – dal rarissimo osteosarcoma al troppo frequente carcinoma del colon – è fortemente correlata con D su un ambito di vari ordini di grandezza. Siccome il cancro è prodotto da mutazioni somatiche, e siccome il loro numero M è proporzionale a D (vedi [1]), qualcuno potrebbe essere tentato di dedurre che la causa principale del cancro è il caso: in effetti questo è il messaggio emerso da alcune versioni giornalistiche. Non intendo analizzare qui se la responsabilità di questo grave malinteso vada attribuita a giornalisti o a un commento pubblicato su Science stessa (e poi in parte ritrattato), o un pochino anche agli autori dell’articolo originale. Avendo avuto l’onore di essere stato membro del primo comitato editoriale di E&P, sono certo che Giulio Maccacaro mi avrebbe detto: «Veniamo alla sostanza».
La sostanza è che i fattori in gioco nella tumorigenesi sono 3: C, ERED, AMB. Ma essi non hanno lo stesso ruolo, perciò è erroneo trattarli come se fossero additivi. Ogni mutazione è un evento casuale, ma il numero di mutazioni dipende da μ e da D (vedi [1]), due grandezze che non sono né casuali né costanti. La frequenza di mutazione μ è certo in parte determinata in ogni individuo dal proprio corredo genetico (effetto ERED): infatti, è fortemente aumentata in malattie dovute a difetti di riparo del DNA, come l’anemia di Fanconi,13 e, come molte altre variabili biologiche quantitative, nei soggetti normali ha una distribuzione normale.14 Quanto agli effetti AMB, sotto l’azione di mutageni fisici o chimici μ aumenterà per definizione, e può aumentare di molto.15 Per quanto riguarda D, forse il suo valore è poco soggetto a variazione genetica, perché dettato dalla biologia dell’organogenesi nell’embrione e delle cellule staminali nell’adulto. Per contro, D sarà fortemente influenzato da processi infiammatori e di rigenerazione tessutale (effetti AMB). È facile pensare a esempi di come ERED e AMB, facendo variare μ, D o entrambi, facciano aumentare M (vedi [1]), e perciò il rischio di tumore: basti citarne alcuni.
L’infezione con Helicobacter pylori certamente fa aumentare D nell’epitelio gastrico;16 come l’epatite da virus C fa aumentare D negli epatociti (effetti AMB).17 Nella poliposi colica familiare, a causa di una mutazione del gene APC, il turnover delle cellule staminali nelle cripte intestinali aumenta enormemente:18 qui D aumenta per un effetto ERED e il tumore del colon diventa una certezza. Il fumo delle sigarette (AMB) contiene mutageni e, in più, stimola proliferazione delle cellule dell’epitelio bronchiale:19 è evidente che i tumori del polmone nei fumatori sono mediati da aumento sia di μ sia di D.
Il lavoro di Tomasetti e Vogelstein è stato criticato per vari motivi: per esempio, perché sul grafico ormai noto della loro figura 1mancano, tra gli altri, due tipi di tumori importanti come il carcinoma mammario e il carcinoma della prostata. L’International Agency for Research on Cancer (IARC) ha prontamente esternato il proprio dissenso,20 esprimendo la giustificata preoccupazione che la frase «cancro dovuto alla sfortuna» possa frustrare gli sforzi investiti nella prevenzione. In realtà, i rischi ambientali (extra risk score) non sono ignorati: anzi, sono illustrati efficacemente nella figura 2 del lavoro;11 e mi sembra che sul piano scientifico il fatto che vi siano 31 punti soltanto (!) non detrae dalla figura 1, che dà una spiegazione verosimile del perché l’adenocarcinoma del colon è frequente, mentre il cordoma è rarissimo.
Mi sembra, invece, discutibile la distinzione tra tumori R (replicativi) e tumori D (deterministici), impostata sul concetto che i primi sono dovuti alle mutazioni spontanee che possono avvenire nel corso delle normali divisioni cellulari; mentre i secondi sono dovuti alle azioni di ERED e di AMB. Qui è essenziale tener conto dell’equazione [1], perché, come dai pochi esempi citati sopra, queste azioni sono mediate da effetti su D e su μ. È vero che una parte delle mutazioni imputabili a ERED e AMB sono diverse, a livello molecolare, da quelle spontanee,9 ma sono anch’esse eventi stocastici. Pertanto, anziché contrapporre tumori R a tumori D, mi sembra più corretto ammettere che in ogni tumore esiste la componente casuale, ma che il peso di ERED e AMB si fa sentire quanto più questi fattori eziologici modificano D o/e μ (figura 1b, 1c, 1d).
In altre parole, il merito del lavoro11 sta nell’aver documentato la relazione, attesa ma finora non dimostrata su questa scala, tra D e incidenza di cancro nei vari tessuti dell’organismo. Se una popolazione fosse esposta a un mutageno (come un malaugurato fall-out radioattivo), la curva di correlazione si sposterebbe in toto verso l’alto. Il lavoro spiega la variazione dell’incidenza di cancro; non può assegnare una percentuale al caso, all’ambiente e all’eredità.
Che cosa cambia dopo questo lavoro? Dal punto di vista scientifico, lo abbiamo appena detto.
Dal punto di vista della nostra responsabilità collettiva, non cambia nulla: dobbiamo continuare a batterci in tutti i modi per la prevenzione primaria dei tumori.
Dal punto di vista filosofico, personalmente tengo presente damolti anni che lemutazioni somatiche sono eventi casuali; ed è bene che ilmessaggio venga diffuso. Pensando al rischio di mutazione a ogni divisione cellulare, e a quanto siamo esposti a processi infiammatori che fanno aumentare D e a sostanze che fanno aumentare μ, prima di parlare di sfortuna parlerei di fortuna a tutti quelli che non hanno il cancro.
Dal punto di vista clinico, quando un paziente chiede: «Perché è capitato a me?», penso che sia bene spiegarli che potrebbe avere una predisposizione genetica e potrebbe aver giocato un ruolo il suo stile di vita. Ma sovente ho notato sollievo nel paziente quando aggiungo che non è colpa dei geni che ha ricevuto dai genitori e che non deve neppure incolpare se stesso: perché non c’è cancro senza mutazioni somatiche, e queste sono eventi casuali.

Ringraziamenti: ringrazio Margherita Bignami, Emanuele Crocetti, Stefano Luzzatto ed Eugenio Paci per le discussioni sull’argomento trattato in questo editoriale. Una ricerca pertinente svolta nel laboratorio dell’autore è stata sovvenzionata dall’Associazione italiana per la ricerca sul cancro.

Bibliografia e note

  1. Nella categoria AMB intenderemo qui anche i cosiddetti stili di vita.
  2. Armitage P, Doll R. The age distribution of cancer and a multistage theory of carcinogenesis. Br J Cancer 1954;8(1):1-12.
  3. Luzzatto L. Somatic mutations in cancer development. Environ Health 2011;10 Suppl 1:S12.
  4. Cairns J. Mutation selection and the natural history of cancer. Nature 1975;255(5505):197-200.
  5. Knudson AG Jr. Mutation and cancer: statistical study of retinoblastoma. Proc Natl Acad Sci U S A 1971;68(4):820-3.
  6. Tomasetti C, Marchionni L, Nowak MA, Parmigiani G, Vogelstein B. Only three driver gene mutations are required for the development of lung and colorectal cancers. Proc Natl Acad Sci U S A 2015;112(1):118-23.
  7. Stratton MR. Exploring the genomes of cancer cells: progress and promise. Science 2011;331(6024):1553-8.
  8. COSMIC – Catalogue of somatic mutations in cancer. Disponibile all’indirizzo: http://cancer.sanger.ac.uk/cancergenome/projects/cosmic/
  9. Strachan T, Reid AP. Human molecular genetics. 2nd ed. New York and London, Garland science, 1999.
  10. Bebenek K, Pedersen LC, Kunkel TA. Replication infidelity via a mismatch withWatson-Crick geometry. Proc Natl Acad Sci U S A 2011;108(5):1862-7.
  11. Tomasetti C, Vogelstein B. Cancer etiology. Variation in cancer risk among tissues can be explained by the number of stem cell divisions. Science 2015;347(6217):78-81.
  12. Più esattamente, Tomasetti e Vogelstein hanno stimato il valore di D per le cellule staminali di ogni tessuto, ritenendo, a ragione, che nella maggior parte dei casi una mutazione, per far parte del percorso oncogenico, deve aver luogo in una cellula staminale.
  13. Araten DJ, Golde DW, Zhang RH et al. A quantitative measurement of the human somatic mutation rate. Cancer Res 2005;65(18):8111-7.
  14. Rondelli T, Berardi M, Peruzzi B et al. The frequency of granulocytes with spontaneous somatic mutations: a wide distribution in a normal human population. PLoS One 2013;8(1):e54046.
  15. È importante notare che nella tumorigenesi mutazioni possono essere sostituite da eventi epigenetici (vedi: Timp W, Feinberg AP. Cancer as a dysregulated epigenome allowing cellular growth advantage at the expense of the host. Nat Rev Cancer 2013;13(7):497-510). Questi ultimi hanno in comune con le mutazioni somatiche tre proprietà importanti: (i) avvengono in buona parte a caso; (ii) la loro frequenza è sensibile all’ambiente; (iii) sono ereditate fedelmente nelle cellule somatiche (non in quelle germinali). Per tenerne conto, l’equazione [1] può essere riscritta come segue:
    M’ = (μ + μe )D
    dove μ e è la frequenza di eventi epigenetici discreti, e M’ è la somma degli eventi genetici e degli eventi epigenetici. Siccome questa equazione è formalmente simile alla [1], per semplicità ci atterremo a quest’ultima, tenendo però presente che un evento oncogenico può essere o mutazionale o epigenetico.
  16. Alzahrani S, Lina TT, Gonzalez J, Pinchuk IV, Besewick EJ, Reyes VE. Effect of Helicobacter pylori on gastric epithelial cells. World J Gastroenterol 2014;20(36):12767-80.
  17. Buhler S, Bartenschlager R. New targets for antiviral therapy of chronic hepatitis C. Liver Int 2012;32 Suppl 1:9-16.
  18. Phelps RA, Broadbent TJ, Stafforini DM, Jones DA. New perspectives on APC control of cell fate and proliferation in colorectal cancer. Cell Cycle 2009;8(16):2549-56.
  19. Hecht SS. Lung carcinogenesis by tobacco smoke. Int J Cancer 2012;131(12):2724-32.
  20. International Agency for Research on Cancer. Most tyoes of cancer not dur to “bad luck”. IARC responds to scientific article claiming that environmental and lifestyle factors account for less than one third of cancers. IARC press release n. 231; 13.01.2015. Disponibile all’indirizzo: www.iarc.fr/en/media-centre/pr/2015/pdfs/pr231_E.pdf
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