Cambiamenti climatici, effetti sulla salute, interventi di mitigazione
I cambiamenti climatici sono già in atto. Le modificazioni del clima a cui si sta assistendo sono attribuibili in larga misura alle attività umane che producono emissioni di gas serra. Queste incontrovertibili verità, «the inconvenienth truth», rispetto a cui c’è ormai unanime consenso nel mondo scientifico, sono state recentemente messe in discussione dal Senato italiano che ha approvato una mozione in cui si nega esplicitamente la responsabilità umana nel riscaldamento climatico (vedi riquadro a pagina 196). Eppure il mondo scientifico ha espresso una posizione chiara rispetto ai cambiamenti climatici e al ruolo delle emissioni di gas serra. Secondo l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC)1 il riscaldamento globale è riconducibile ad alcuni principali agenti inquinanti di origine antropica: il biossido di carbonio (CO2), che deriva dalla combustione di carburanti fossili per il riscaldamento e la produzione di elettricità; il metano, legato alle attività agricole, l’allevamento di bestiame e la combustione di carburanti fossili; il monossido di azoto, la cui principale fonte di emissione è dovuta ai fertilizzanti usati nell’agricoltura intensiva (vedi primo riquadro a pagina 197). Per quanto riguarda l’Europa, gli scenari climatici prevedono un riscaldamento maggiore nelle regioni settentrionali in inverno e in quelle centro-meridionali in estate.1 È previsto un incremento della media annuale delle precipitazioni nel settentrione, con un aumento delle inondazioni nelle aree costiere, e un decremento delle precipitazioni nelle regioni meridionali. Condizioni climatiche più calde, periodi di siccità prolungati, diventeranno sempre più frequenti, con un aumento del rischio di incendi, in particolare nelle aree mediterranee. È atteso inoltre un declino dei bacini idrici dell’Europa, più marcato nelle regioni mediterranee.
Gli impatti dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi e sulla salute
Gli impatti dei cambiamenti climatici sui sistemi biologici dipendono dalla loro vulnerabilità, che è funzione del tipo e della grandezza dei cambiamenti climatici a cui i sistemi sono esposti, della loro suscettibilità e della loro capacità di adattamento. Il Quarto rapporto dell’IPCC1 conclude che i cambiamenti climatici sono responsabili con alta probabilità:
- delle variazioni di neve, ghiaccio e terreno ghiacciato, con conseguenti cambiamenti in alcuni ecosistemi artici e antartici;
- di effetti sui sistemi idrologici, quale il riscaldamento di laghi e fiumi di molte regioni, con effetti sulla qualità delle acque interne;
- di cambiamenti dei sistemi biologici terrestri, quali l’anticipo degli eventi primaverili come la fioritura, la migrazione degli uccelli e la deposizione delle uova;
- di cambiamenti dei sistemi biologici marini e acquatici associati a un aumento delle temperature dell’acqua.
In Europa la riduzione delle aree costiere causata dall’aumento del livello del mare avrà conseguenze sull’habitat di diverse specie che si riproducono o si nutrono in queste aree. Una grande percentuale della flora europea diventerà vulnerabile, in pericolo o destinata all’estinzione, come la vegetazione della tundra e delle Alpi. Per quanto riguarda le attività umane, aumenterà il fabbisogno idrico in agricoltura nelle regioni meridionali, con incremento del rilascio nel suolo dei nitrati usati come fertilizzanti. Diversi studi hanno evidenziato che i sistemi naturali stanno già risentendo dei cambiamenti climatici, in particolare degli aumenti della temperatura. Tuttavia l’intensità dei cambiamenti climatici sarà eterogenea e alcune regioni saranno più colpite di altre, così come eterogeneo sarà l’impatto in termini ambientali e socioeconomici.1 I cambiamenti climatici stanno già producendo effetti sulla salute umana, contribuendo al carico globale di malattie e decessi prematuri (vedi secondo riquadro a pagina 197). In futuro tenderanno ad amplificarsi i contrasti già esistenti in tema di disuguaglianze di salute all’interno di una stessa popolazione.3,4 Ci si attende inoltre che le emissioni di gas serra prodotti dai Paesi più ricchi avranno conseguenze più gravi in termini di impatto sulla salute nei Paesi più poveri. Si ritiene infatti che l’Africa sarà il continente più vulnerabile: l’innalzamento delle temperature sarà associato a un decremento dei raccolti agricoli, con il conseguente aggravamento della malnutrizione della popolazione. La crescente siccità, insieme all’aumento demografico della popolazione, esaspereranno la scarsità di risorse idriche. Alcune previsioni indicano che per le popolazioni africane la perdita in anni di vita, come conseguenza dei cambiamenti ambientali, sarà 500 volte quella attesa per le popolazioni europee.5
Adattamento e mitigazione
Gli interventi di sanità pubblica per contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici sono programmati oggi in condizioni di grande incertezza degli effetti attesi. Il ruolo della ricerca epidemiologica dovrà essere quello di produrre sempre maggiori prove dell’associazione tra esposizione a fattori climatici ed effetti sulla salute, analizzando gli ambiti ancora poco esplorati e identificando, all’interno di una popolazione, la quota di soggetti più vulnerabili. Inoltre, parte della ricerca dovrà utilizzare modelli complessi in grado di chiarire quale sarà l’impatto sulla salute di scenari climatici futuri, riducendo il grado di incertezza.6 La risposta immediata per contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici è quella dell’adattamento. Sistemi di allarme per prevedere in anticipo l’arrivo di condizioni di rischio per la salute della popolazione, programmi di prevenzione mirati ai sottogruppi di popolazione a maggior rischio, una più vasta diffusione della climatizzazione nei luoghi pubblici e nelle abitazioni sono per esempio le risposte di adattamento messe in atto dalla maggior parte dei Paesi europei dopo l’ondata di calore del 2003. Tuttavia alcuni interventi di adattamento, come incentivare l’uso di aria condizionata nelle abitazioni, sono destinati a lungo termine ad aumentare il consumo energetico e le emissioni di CO2 e ad accentuare le diseguaglianze nella salute della popolazione.2 La risposta a lungo termine potrà essere solo quella della mitigazione. Lo scorso 25 novembre Lancet ha dedicato uno speciale ai cambiamenti climatici e ai benefici in termini di salute pubblica associati agli interventi di mitigazione.6 I commenti e gli articoli mettono in luce i benefici associati all’introduzione di politiche di mitigazione mirate a una riduzione a lungo termine delle emissioni di gas serra, in particolare attraverso interventi nel campo dell’agricoltura, della produzione di energia elettrica, dei trasporti e dei consumi energetici nelle abitazioni. I diversi articoli sottolineano come gli interventi proposti riguardino condizioni e abitudini di vita determinanti della salute e delle diseguaglianze nella salute. Per esempio, strategie per ridurre il consumo di carne e di alimenti di origine animale avrebbero l’effetto di ridurre le emissioni di gas serra prodotte dall’allevamento del bestiame e nel contempo apporterebebro benefici alla salute della popolazione riducendo il rischio di malattie ischemiche e di obesità. Un ruolo rilevante dovrà essere svolto dalla comunità scientifica e dagli operatori sanitari che hanno il compito di produrre evidenze per i decisori politici sugli interventi di mitigazione da adottare e sulla loro efficacia e di informare la popolazione su comportamenti e stili di vita da modificare.7,8 I dati riportati da Lancet6 forniscono un rilevante messaggio di sanità pubblica per supportare i negoziati verso un nuovo accordo ONU sui cambiamenti climatici. L’atteso vertice di Copenhagen del dicembre scorso ha prodotto solo un accordo di intenti: nel 2020 il riscaldamento non dovrà superare la soglia di +2°C ed entro il 2050 si dovranno ridurre le emissioni di gas serra. Di fatto, però, non è stato raggiunto un accordo su come questi obiettivi dovranno essere raggiunti attraverso impegni precisi, vincolanti e condivisi da parte dei diversi Paesi. Resta l’urgenza di un’azione forte e coordinata della comunità internazionale per ridurre il contributo antropico ai cambiamenti climatici migliorando l’efficienza degli usi energetici e aumentando il ricorso alle fonti energetiche rinnovabili.
Il quadro degli impegni
1972 «La Terra come capitale da preservare, nella considerazione del rapporto critico tra crescita ed ecosistema e del processo irreversibile costituito dallo sfruttamento delle risorse non rinnovabili» è il tema di base affrontato nella prima Conferenza mondiale delle Nazioni unite, svoltasi a Stoccolma nel 1972. Nasce l’UNEP (United Nations Environmental Programme), il programma delle Nazioni unite sui problemi ambientali con lo scopo di coordinare e promuovere le iniziative ONU relative alle questioni ambientali.
1988 L’UNEP e l’Organizzazione mondiale per la meteorologia (WMO) danno vita all’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), un panel intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici.
1990 Viene pubblicato il primo rapporto dell’IPCC in cui si fornisce una base scientifica all’ipotesi di un effetto sui cambiamenti climatici delle immissioni di gas serra nell’atmosfera causate dall’attività umana.
1992 A Rio de Janeiro, si tiene la prima Convenzione quadro sui cambiamenti climatici (United Nations Framework Convention on Climate Change, UNFCCC) a cui partecipano i capi di stato di tutto il mondo.
1997 Nella città giapponese di Kyoto più di 160 Paesi sottoscrivono un trattato internazionale riguardante il riscaldamento globale.
2005 Il 16 febbraio entra in vigore il trattato sottoscritto a Kyoto. Gli Stati membri si impegnano a ridurre, nel periodo 2008-2012, le loro emissioni di gas serra dell’8% rispetto ai livelli registrati nel 1990.
2009 Dal 7 al 18 dicembre a Copenhagen si svolge l’ultimo summit UNFCCC. Il meeting non produce il risultato atteso, un nuovo accordo che superi il Protocollo di Kyoto. La prossima conferenza è prevista per il giugno 2010.
La posizione dell’Europa...
2008 Il Consiglio europeo approva il pacchetto Clima-energia che segna una svolta nella politica UE in materia, ponendosi tre obiettivi principali per il 2020 (il cosiddetto «Accordo 20-20-20»):
- ridurre le emissioni di gas serra di almeno il 20% rispetto al 1990;
- raggiungere una quota di energie rinnovabili pari al 20% del consumo dell’Unione europea;
- ridurre del 20% i consumi energetici rispetto alle proiezioni del 2020.
...e quella del governo italiano
2002 Con la ratifica del Protocollo di Kyoto da parte del Parlamento italiano, il Ministero dell’ambiente presenta il «Piano di azione nazionale per la riduzione dei livelli di emissione di gas serra», con il quale l’Italia si impegna a ridurre le emissioni di gas serra nel periodo 2008-2012 di una percentuale pari al 6,5% rispetto alle emissioni del 1990. In realtà, in Italia le emissioni di gas serra nel periodo 1990-2006 sono cresciute del 9,9%.
2008 Nel mese di dicembre l’Italia ottiene un ridimensionamento dei propri obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni (dal 20% a circa il 5,5% rispetto ai livelli del 1990) e di sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili (dal 20% al 17%).
2009 Nel mese di aprile il Senato della Repubblica approva una mozione in cui si nega esplicitamente la responsabilità umana nel riscaldamento climatico e si propone di sostituire le azioni atte a ridurre i gas serra (strategie di mitigazione) con interventi di tipo adattativo (per esempio aumento dell’efficienza energetica, edilizia ecovirtuosa ) e di rivedere l’accordo europeo del 20-20-20.
Cambiamenti climatici1
La temperatura mediadell’aria è cresciuta negli ultimi 100 anni di 0,74°C ± 0,18°C (1906-2005), ma il tasso di riscaldamento negli ultimi 50 anni è raddoppiato rispetto ai 5 decenni precedenti (0,13°C ± 0,03°C vs 0,07°C ± 0,02°C per decade). Le previsioni per il 2100 indicano un incremento della temperatura media tra +1,8°C (per lo scenario migliore, B1) e +4°C (per lo scenario peggiore, A1F1). Il trend delle precipitazionidal 1951 al 2005 è compreso tra -7 e 2 mm ogni 10 anni, con gli incrementi maggiori registrati alle latitudini medie ed elevate dell’emisfero Nord e nelle zone tropicali. Al contrario, nelle zone subtropicali le precipitazioni sono drasticamente diminuite. Il livello medio dei mariè cresciuto con un tasso medio di 1,8 mm l’anno dal 1961 al 2003, probabilmente a causa dell’espansione termica delle acque dei mari e dello scioglimento dei ghiacci. Le previsioni indicano un ulteriore aumento stimato tra 0,18 m (A1) e 0,59 m (A1F1) entro il 2100. Sono aumentate la frequenza e l’intensità di eventi estremi, quali temperature estreme (es: l’ondata di calore che ha colpito l’Europa nel 2003), precipitazioni intense e inondazioni (es: l’allagamento che ha colpito i Paesi dell’Europa centrale nel 2002) e tempeste tropicali (es: le tempeste tropicali nel Nord-Atlantico nel 2005). Le previsioni per il 2100 indicano un ulteriore incremento di eventi estremi, specialmente nelle aree tropicali.
Effetti dei cambiamenti climatici sulla salute umana1
- Effetti del caldo e delle ondate di calore sulla salute, in particolare in alcuni sottogruppi di popolazione a maggior rischio (anziani, persone affette da malattie croniche, persone di basso livello socioeconomico o con condizioni abitative disagiate). Aumento della popolazione suscettibile a causa dell’invecchiamento della popolazione.
- Aumento dei decessi e delle malattie causate dagli eventi climatici estremi quali precipitazioni intense, inondazioni, uragani, incendi e siccità.
- Anticipazione della stagione dei pollini nell’emisfero Nord, con concomitante incremento delle malattie allergiche causate dai pollini.
- Aumento del numero di decessi e patologie attribuibili agli inquinanti atmosferici, in particolare all’ozono, la cui formazione dipende in gran parte dai livelli di temperatura e umidità.2
- Cambiamenti nella distribuzione spaziale, nell’intensità e stagionalità delle epidemie di malattie infettive (es: meningite meningococcica) e delle malattie trasmesse da vettori (es: malaria e Dengue).
- Aumento di tossinfezioni alimentari (es: salmonellosi) e di tossine pro-dotte dall’aumento di «fioriture» di alghe.
- Aggravamento della malnutrizione della popolazione nei Paesi in via di sviluppo a causa dell’aumento della siccità e del decremento dei raccolti agricoli.
- Maggiore vulnerabilità delle popolazioni che vivono nelle zone costiere a bassa altitudine a causa dell’infiltrazione di acqua salata nelle riserve di acqua dolce, di allagamenti con conseguenti spostamenti delle popolazioni, in particolare nelle regioni densamente abitate (es: Bangladesh).
- Maggiore vulnerabilità delle comunità che vivono nell’Artico a causa dei cambiamenti nella dieta legati alla migrazione e distribuzione degli animali, per il possibile incremento nella concentrazione di metilmercurio nei pesci e nei mammiferi marini con conseguente passaggio all’uomo.
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