Editoriali
15/10/2023

Cambiamenti climatici ed emergenza sanitaria: sintesi delle evidenze e prospettive

La crisi climatica è in atto

1    A livello globale l’estate 2023 è stata la più calda di sempre, i livelli di ghiaccio marino i più bassi di sempre e, per il quarto mese consecutivo, la temperatura globale della superficie oceanica ha raggiunto livelli record.1 I dati confermano lo straordinario e rapido ritmo di riscaldamento del pianeta a causa dei gas serra prodotti dall’attività umana, che trattengono il calore nell’atmosfera.2 In assenza di interventi la crisi climatica è destinata ad aggravarsi, situazioni di emergenza ambientale (picchi di ondate di calore, medicane, nubifragi, estesi incendi boschivi) determineranno condizioni nuove e sempre più drammatiche che dovremo essere preparati ad affrontare. Questi eventi ci sono sempre stati? Certamente sì, ma un’ampia documentazione scientifica dimostra che di tali fenomeni stanno aumentando l’intensità, la frequenza e l’estensione, interessando via via aree più vaste dove in passato la probabilità che si verificassero era molto bassa.3 

2    L’Italia è un hot spot del cambiamento climatico, un’area più vulnerabile dove gli effetti saranno maggiori.4 Il Mar Mediterraneo si sta riscaldando a una velocità superiore rispetto ad altre aree del pianeta. Secondo i Modelli climatici regionali, che consentono di descrivere la variabilità del clima con un elevato dettaglio territoriale, nel nostro Paese è previsto un aumento della temperatura fino a 2°C nel periodo 2021-2050 (rispetto a 1981-2010), con incrementi maggiori nella zona alpina, dove l’innalzamento della temperatura potrebbe raggiungere i 5°C alla fine di questo secolo. Parallelamente alla siccità (incremento dei periodi senza pioggia) aumenteranno gli eventi di precipitazioni estreme, in particolare se si considera lo scenario a elevate emissioni di gas serra. Il rapporto citato, inoltre, fornisce un quadro analitico dei cambiamenti attesi per area geografica e, sulla base dei diversi indicatori considerati, mette in evidenza che sarà indispensabile programmare strategie di adattamento differenziate a seconda della diversa vulnerabilità e capacità di resilienza delle aree del Paese.4 

3    Anche in presenza di incertezza dei modelli di previsione, i dati sono concordi nell’evidenziare che nei prossimi decenni (2021-2040) il riscaldamento globale sarà destinato ad aumentare (GHG molto basse - SSP1-1.9, basse SSP1-2.6, intermedie SSP2-4.5, alte SSP3-7.0 e molto alte SSP5-8.5) a causa dell’aumento cumulativo delle emissioni di CO2 in tutti gli scenari considerati.5 Entro la fine del 21° secolo (2081-2100) si prevedono, con minori livelli di incertezza, grandi differenze in relazione agli scenari di emissione, da 2,7°C di aumento delle temperature per lo scenario intermedio fino 4,4°C per lo scenario con un trend di emissioni pari a quello attuale.

4    I piani per la gestione delle emergenze non bastano. Siamo stati tutti colpiti dalla catastrofe ambientale in Romagna (maggio 2023), con decine di fiumi esondati, centinaia di frane in circa 100 comuni coinvolti, decine di migliaia di persone evacuate. La gestione dell’emergenza è stata molto complessa e ha mostrato l’inadeguatezza delle risorse che possiamo mettere in campo per fronteggiare questi eventi.6 I piani per la gestione delle emergenze ci sono, ma hanno dimostrato tutti i loro limiti; gli elevati costi della ricostruzione dovrebbero far riflettere sulle mancate azioni preventive per il clima e per la messa in sicurezza del territorio. 

5    L’incremento della temperatura, le inondazioni e l’innalzamento del livello del mare sono in grado di modificare gli ecosistemi aumentando il tasso di estinzione delle specie con effetti sulla salute umana.7 I cambiamenti climatici e la perdita di biodiversità sono interconnessi e hanno un impatto sul nostro benessere e sulla qualità della vita: affrontare il tema della crisi climatica nella visione One Health significa riconoscere che la salute degli esseri umani, degli animali, delle piante e dell’ambiente in generale sono strettamente interdipendenti. Tale approccio mira a bilanciare e ottimizzare in modo sostenibile la salute di persone, animali ed ecosistemi.8 Per esempio, a causa dei cambiamenti climatici, dell’agricoltura intensiva e dell’uso di pesticidi oltre il 40% delle specie di invertebrati, api e farfalle, che garantiscono l’impollinazione, rischia di scomparire. Circa un milione di specie (un quarto di quelle conosciute) sarebbe a rischio estinzione e il 50% potrebbe estinguersi entro il 2100, con un impatto rilevante sulla disponibilità di risorse alimentari.9 È stato stimato che la perdita di produzione alimentare secondaria alla riduzione di impollinazione sarà concentrata soprattutto nei Paesi a basso reddito, ma che l’impatto sulla salute dell’impoverimento della dieta sarà maggiore nei Paesi a reddito medio e alto, dove i tassi di malattie cronico-degenerative sono più elevati.10 

6    Gli effetti diretti e indiretti sulla salute umana sono ormai ben documentati e le maggiori evidenze riguardano l’incremento di malattie infettive, della mortalità, di esiti respiratori, cardiovascolari e neurologici.11 Un progetto recente ha valutato gli effetti delle temperature estreme su tutto il territorio nazionale confermando effetti delle ondate di calore sulla mortalità a breve termine per cause cardiovascolari, respiratorie, neurologiche, mentali e metaboliche.12 

7    La sorveglianza sanitaria e la ricerca epidemiologica mettono in luce l’elevata vulnerabilità della popolazione italiana agli effetti dei cambiamenti climatici. Disponiamo di uno dei più grandi database per studiare gli effetti sulla salute del cambiamento climatico con serie temporali giornaliere di indicatori ambientali e dati sanitari per oltre 1.000 località di 50 Paesi tra cui l’Italia (Multi-City Multi-Country network, MCC); i risultati degli studi confermano che l’Italia è uno dei Paesi a maggior rischio a causa delle elevate esposizioni, della vulnerabilità del territorio e delle caratteristiche della popolazione esposta.13,14 Da vent’anni il Sistema nazionale di monitoraggio dell’impatto sulla salute delle ondate di calore15 documenta, ogni estate, l’impatto delle temperature sulla mortalità giornaliera nelle città italiane (vedi box 1 con la sintesi degli effetti delle ondate di calore dell’estate 2023). 

8    Le politiche dei co-benefici per la sanità pubblica, a supporto dei piani di adattamento e mitigazione. Le azioni per il clima (mitigazione) sono in grado di determinare benefici per la salute e un obiettivo della ricerca è di misurarne l’impatto nel nostro Paese.16 Le cosiddette “politiche dei co-benefici” includono sia strategie di adattamento, che contrastano gli impatti climatici sulla salute – come, per esempio, l’implementazione di infrastrutture verdi per ridurre l’isola di calore urbano nelle città e lo stress da calore – sia “benefici collaterali”, come la diminuzione dell’utilizzo di combustibili fossili per ridurre le emissioni di gas serra, ma anche l’inquinamento da particolato, con effetti ben documentati sulla salute umana.17 Azioni per il clima sono in grado anche di determinare benefici per la salute mentale, per esempio potenziando le infrastrutture verdi; in numerosi studi longitudinali e cross-sectional l’esposizione al verde è stata associata a una riduzione di disturbi mentali sia nei bambini (es. deficit di attenzione, iperattività) sia negli adulti (es. sintomi depressione).18 Proprio su questi temi è centrato il progetto “Cobenefici di salute ed equità a supporto dei piani di risposta ai cambiamenti climatici in Italia”, della durata di 4 anni, finanziato dal Ministero della salute, nell’ambito del PNC- Salute, ambiente, biodiversità e clima, Piano nazionale per gi investimenti complementari al PNRR (https://www.pnrr.salute.gov.it/portale/pnrrsalute/). 

Eppure c’è ancora chi dice: “Non c’è nessuna emergenza climatica”

Nonostante la grande mole di dati disponibili, il cambiamento climatico causato dall’attività umana viene periodicamente messo in discussione. Nel 2022 oltre 1.000 ricercatori hanno firmato un documento (Scientists and Professionals world climate declaration, June 27, 2022) a sostegno di posizioni negazioniste sui cambiamenti climatici non supportate da alcuna documentazione scientifica (meno dell’1% dei firmatari dichiarava di fare ricerca sui temi climatici, mentre diversi avevano legami con l’industria mineraria e petrolifera). Chi sostiene posizioni negazioniste usa spesso tattiche retoriche – Climate science should be less political, while climate policies should be more scientific – per convincere l’opinione pubblica che esiste una controversia scientifica, mentre nel mondo scientifico non ci sono più dubbi. Da oltre trent’anni l’Intergovernamental Panel on Climate Change (IPCC) produce rapporti che analizzano le più aggiornate pubblicazioni scientifiche allo scopo di fornire alla comunità scientifica internazionale una sintesi aggiornata dello stato delle conoscenze sui cambiamenti climatici e sui loro potenziali impatti. Uno studio del 2021 ha evidenziato che nella letteratura scientifica sottoposta a revisione tra pari oltre il 99% degli articoli scientifici concorda nell’attribuire alle attività antropiche il ruolo principale dell’aumento delle emissioni di gas serra (GHG) che sono la causa dell’attuale crisi climatica, documentando come le conclusioni dell’IPCC riflettano la visione della comunità scientifica internazionale.19 
Eppure, ogni rapporto dell’IPCC che provoca forti reazioni e discussione nel mondo scientifico sembra non avere alcun impatto sulla società e non riuscire a incidere sulle scelte della politica. 
Chi sostiene la necessità urgente di azioni per il clima per evitare danni gravi viene accusato di eccessivo catastrofismo. In realtà gli eventi estremi che derivano dai cambiamenti climatici provocano effetti drammatici e bisognerebbe piuttosto interrogarsi se, davanti alla mancanza di azioni per limitare le emissioni di GHG, il “potenziale catastrofico” dei cambiamenti non sia invece ancora sottovalutato. Le società umane sono vulnerabili ai rischi a catena che possono essere innescati dalla crisi climatica? Esiste un rischio di estinzione di massa?20

Le ragioni della sottovalutazione della crisi climatica

Molti fattori rendono difficile la comunicazione sui cambiamenti climatici: la complessità dei temi trattati,  l’incertezza degli scenari futuri, la distanza temporale e geografica percepita (il cambiamento climatico riguarda le generazioni future, cosa abbiamo a che fare noi con lo scioglimento dei ghiacciai?). La diffusione della consapevolezza dell’esistenza di un cambiamento climatico e della condivisione della necessità di combatterlo è fondamentale. Infatti se una larga parte della popolazione orientasse i propri consumi in difesa dell’ambiente potrebbe indurre anche il mondo imprenditoriale a sostenere le azioni dei governi negli investimenti per la transizione energetica. In quest’ottica la comprensione del cambiamento climatico, l’acquisizione di competenze per affrontarlo sono temi centrali e la ricerca, insieme alla comunicazione scientifica, può svolgere un ruolo chiave. Grazie ai finanziamenti europei (Next Generation EU) e nazionali (fondi del Piano nazionale di risposta e resilienza e del Piano nazionale per gli investimenti complementari) sono in corso progetti di ricerca applicata che hanno tra le proprie priorità quella di potenziare la formazione e le attività di comunicazione sul tema ambiente, clima e salute.
Ma ci sono altre ragioni che spingono l’individuo a rifiutare il cambiamento climatico? “La negazione, nel suo senso più profondo, è rifiuto per l’intollerabile”.21 Secondo un’interpretazione antropologica eventi drammatici, come catastrofi naturali, guerre o epidemie, generano incertezza e spingono la società verso posizioni negazioniste. Le analisi delle cause del negazionismo, nel caso dei cambiamenti climatici, sono complesse e bisogna interrogarsi, analogamente a quanto si è fatto per l’epidemia COVID19, sulle ragioni che determinano un rifiuto delle posizioni della scienza ufficiale a favore di rappresentazioni alternative, prive di fondamento scientifico.22 
Chi si occupa di ricerca ambientale o di divulgazione scientifica sui cambiamenti climatici viene tacciato dall’attuale pensiero dominante di ambientalismo considerato ideologico, inutile e in ultima analisi dannoso, in antitesi al progresso e allo sviluppo economico. Opporsi all’ambientalismo significa ridimensionare i rischi del cambiamento climatico nella convinzione che ancora una volta non la prevenzione (troppo costosa), ma gli investimenti economici in nuove tecnologie (magari l’intelligenza artificiale) siano le prospettive migliori per la soluzione della crisi climatica. Si tratta di posizioni più rassicuranti che non implicano rinunce a livello individuale, mentre le questioni poste dall’ambientalismo mettono ciascuno di noi in una posizione scomoda, di conflitto con noi stessi: ognuno è vittima (siamo tutti esposti) e complice (produciamo tutti emissioni di gas serra). Il fatto che attribuiamo pochissimo valore al ruolo delle scelte individuali ci salva la coscienza, ma siamo sicuri che contino così poco?
La percezione del rischio sul cambiamento climatico è diversa fra gli “esperti” e il resto della popolazione (che include anche i politici e i decisori) ed è influenzata non solo da argomentazioni scientifiche, ma anche da fattori cognitivi, emozionali, vincoli socio-culturali e sembrano giocare un ruolo determinante le ideologie politiche.23 In uno studio pubblicato su Nature Climate Change, i ricercatori hanno analizzato i tweet durante la Conferenza annuale delle parti (COP) dell’UNFCCC, dal 2014 al 2021, mettendo in luce un incremento dei tweet degli “scettici sul cambiamento climatico” durante la COP26 (16 volte in più) rispetto alla COP21, evidenziando una correlazione positiva tra l’aumento di “tweet scettici” e l’attivismo di destra che si oppone all’azione per il clima.24 Uno studio nei paesi OCSE ha analizzato l’impatto dei governi di destra sulle politiche sul clima e per le energie rinnovabili e i risultati hanno mostrato una relazione negativa e significativa che sembra essere mitigata dall’adesione all’UE.25 
I sussidi ai combustibili fossili rimangono uno dei maggiori ostacoli finanziari al passaggio del mondo verso le energie rinnovabili. I dati del Fondo monetario internazionale (FMI) documentano i costi globali per l’industria dei combustibili fossili, sottolineando come lo spostamento di sussidi e agevolazioni fiscali alle energie rinnovabili non solo ridurrebbe le emissioni, contrastando il riscaldamento globale, ma contribuirebbe a una crescita economica sostenibile, creando nuovi posti di lavoro, migliorando la salute pubblica e riducendo le diseguaglianze socioeconomiche.26 
Le grandi multinazionali petrolifere, da parte loro, piuttosto che abbracciare esplicite posizioni negazioniste, hanno scelto di investire in strategie di comunicazioni più subdole e forme di pubblicità che fanno proprie alcune posizioni ecologiste per mostrarsi impegnati nella riduzione delle emissioni a sostegno della lotta al cambiamento climatico (strategia del “wokewashing” ovvero “lavarsi la coscienza”), ma inserendo messaggi che tendono a minimizzare l’urgenza delle azioni per il clima, richiamando la responsabilità dei consumatori, promuovendo soluzioni meno drastiche, e soprattutto insinuando dubbi sulla reale possibilità di mitigare il cambiamento climatico ed enfatizzando gli aspetti negativi della transizione verso le energie verdi.27 

Il cambiamento climatico richiede soluzioni globali

Il cambiamento climatico - come il rischio di guerra nucleare, l’inquinamento atmosferico, l’epidemia di COVID-19 è un problema globale che richiede soluzioni globali. È chiaro che la scelta di annullare le emissioni da parte di un singolo Paese non può avere alcun impatto sulla mitigazione climatica se i principali inquinatori (Cina, USA, India) non faranno altrettanto. La COP27 ha fatto registrare l’ennesimo fallimento: secondo alcune stime gli accordi attuali potrebbero ridurre le emissioni globali nel 2030 del 5-10 per cento, mentre secondo gli obiettivi dell’EU per limitare il riscaldamento della Terra a 1,5°C il calo delle emissioni al 2030 dovrebbe essere del 40%. Nel 2022 a livello globale l’82% dei consumi energetici riguardava le fonti fossili, mentre l’utilizzo di energie rinnovabili copriva solo il 12% del consumo energetico globale.28 
Ma quali sono i costi della transizione ecologica? Devono essere valutati in termini di costi-benefici a breve e medio termine o piuttosto, dovrebbero essere considerati anche come investimenti per il medio, lungo periodo? Secondo la Commissione Europea per raggiungere gli obiettivi del Green Deal saranno necessari oltre 620 miliardi di euro all’anno, quantificabili tra il 2,5-3% del PIL (per fare un possibile confronto, la spesa militare mondiale nel 2021 è stata stimata pari al il 2,2% del PIL (https://www.sipri.org/). Secondo un rapporto del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili (MIMS) del 2022 i costi per l’Italia sarebbero simili a quelli stimati dalla UE e la transizione farebbe guadagnare dallo 0,5% all’2,3% del Pil già entro il 2050, in termini di danni evitati (considerando sia gli impatti diretti sia quelli indiretti dei CC).29 
Anche il Sesto rapporto IPCC conferma che i benefici economici globali derivanti dalla riduzione del riscaldamento supererebbero il costo globale della limitazione del riscaldamento a 2°C nel corso del 21° secolo.3
L’inazione sul cambiamento climatico sembra aver messo in crisi le democrazie liberali e aver allontanato i cittadini dalla politica, soprattutto i giovani. La perdita di fiducia nelle istituzioni e la necessità di intraprendere iniziative rapide contro la crisi climatica sono alla base di movimenti di dissenso come Ultima generazione che hanno optato per “azioni di disobbedienza civile” per chiedere provvedimenti immediati contro la crisi climatica, suscitando reazioni di condanna da parte di tutte le aree politiche e dissenso da parte dell’opinione pubblica per i metodi utilizzati. Come possiamo contribuire a ricostruire la fiducia nelle istituzioni, anche da parte delle nuove generazioni? Il compito della comunità scientifica dovrà essere quello di potenziare la ricerca promuovendo la partecipazione dei cittadini, al fine di arricchire le conoscenze scientifiche in grado di orientare la politica verso scelte sostenibili, rafforzando la fiducia della società civile verso la ricerca scientifica e l’innovazione nella lotta contro il cambiamento climatico.

Box 1

Effetti delle ondate di calore di luglio 2023 sulla mortalità giornaliera nelle città italiane

Effects of heat waves in July 2023 on daily mortality in Italian cities


Nell’estate 2023 sono state registrate due ondate di calore nel mese di luglio e agosto, di elevata intensità e durata soprattutto nelle città del Centro-Sud. I giorni di allarme (livello 2 e 3) previsti dal sistema nazionale di allerta HHWW sono stati complessivamente 524 nelle 27 città (superiori rispetto al 2020 e al 2021 e di poco inferiori all’anno precedente), più frequenti tra le città del Centro-Sud (Figura 1).

 L’ondata di calore di luglioa ha fatto registrare complessivamente nelle città del Centro-Sud un incremento della mortalità del 9%, con incrementi molto elevati in alcune città (20-35% nelle città Siciliane, 42% a Bari, 53% a Campobasso e 61% a Reggio Calabria). Considerando l’intero periodo estivo, nel 2023 si osserva un impatto sulla mortalità molto minore rispetto agli anni precedenti (del 3% al Centro-Sud, inferiore all’atteso al Nord) (Figura 2). 

Il grafico settimanale (Figura 3) riporta l’andamento della mortalità (linea continua) e la mortalità attesa (linea tratteggiata). Le bande arancioni indicano le 2 ondate. Nelle città del Nord l’ondata di luglio è stata di breve durata e non ha avuto alcun impatto sulla mortalità, mentre l’ondata di agosto evidenzia un lieve incremento della mortalità in tutte le classi di età. Al Centro-Sud si osserva una mortalità superiore all’atteso durante l’ondata di calore di luglio in tutta le classi di età, mentre non si osservano incrementi significativi durante l’ondata di agosto. Il minore impatto dell’estate 2023 sulla mortalità, sebbene si tratti di un dato preliminare, suggerisce una riduzione temporale del “pool dei soggetti suscettibili”, che potrebbe essere almeno in parte spiegata da una ripresa dell’epidemia influenzale che da fine novembre ha fatto registrare nel nostro paese un picco precoce (banda azzurra) superando la soglia di intensità elevata, con un significativo impatto sulla mortalità della popolazione nei mesi di novembre-dicembre 2022 (eccesso di mortalità dell’11% al Nord e 9% al Centro-Sud) (Figura 3). Il deficit di mortalità osservato dall’inizio di gennaio, solo nelle città del Nord, in particolare nelle classi di età 65-74 e 75-84 anni dovrà essere oggetto di approfondimenti. 

ahttps://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_3355_allegato.pdf

 

Conflitti di interesse dichiarati: nessuno

Bibliografia

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