Editoriali
26/11/2015

Alimentazione e salute: la ricetta dell'epidemiologia italiana

Scorrendo i temi che l’Associazione italiana di epidemiologia ha affrontato durante le riunioni annuali nel corso dei suoi quasi quaranta anni di storia, la relazione tra alimentazione e salute ha rappresentato il tema principale solo nella riunione del settembre 2002 a Napoli, che aveva come titolo generale Stile di vita e frequenza delle malattie in Italia. Quella riunione aprì una finestra sui contributi che l’epidemiologia italiana stava dando già da tempo alla ricerca scientifica su questioni rilevanti sia in termini di conoscenza generale, quali l’eziologia nutrizionale della malattie croniche di grande impatto sociale (in particolare, cardiovascolari e tumorali) e le potenzialità preventive delle modifiche dello stile di vita alimentare in popolazione e in individui a rischio; sia in termini squisitamente metodologici, come la migliorabilità dell’accuratezza della raccolta dati sulle abitudini alimentari e l’analisi delle informazioni complesse sui componenti della dieta.

La dieta dei paesi del mediterraneo

D’altra parte, la madre di tutte le conoscenze del rapporto tra alimentazione e salute ha il suo atto di nascita proprio in Italia. È difatti in Italia che prende corpo, subito dopo la Seconda guerra mondiale, l’idea che uno stile di vita tipico delle regioni mediterranee, quello del nostro Paese e della Grecia, avesse a che vedere con la minore frequenza di malattie coronariche in queste regioni. Il fisiologo americano Ancel Keys sviluppò questa idea dopo aver osservato insieme al cardiologo bostoniano Paul D. White, medico personale dell’allora comandante in capo delle forze americane generale Eisenhower, che il numero di infartuati negli ospedali napoletani era minore di quello che rilevavano a Boston. Anche rispetto agli immigrati che si erano trasferiti negli Stati Uniti dal Meridione d’Italia. Insieme ai fisiologi dell’Università di Napoli, Gino Bergami e Flaminio Fidanza, dettero impulso al Seven Countries Study, studio su diverse coorti residenti nell’area mediterranea europea, in Nord Europa, in Nord America e in Giappone, avviato tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Nacque così la Diet-Heart hypothesis che indicava nell’eccesso di consumo alimentare di grassi l’aumentato rischio di andare incontro a eventi coronarici e consacrò la dieta mediterranea come baluardo della prevenzione cardiovascolare. Da questa esperienza di ricerca nacque l’epidemiologia cardiovascolare italiana che fu poi in grado, attraverso la leadership di Alessandro Menotti, di continuare le analisi delle coorti del Seven Countries Study nei decenni a seguire e di far partire in Italia gli studi del CNR su campioni randomizzati della popolazione italiana che includevano anche alcune indagini alimentari.

Gli sviluppi della ricerca italina sulla relazione tra alimentazione e tumori

In Italia, come del resto in altri Paesi, l’attenzione alla relazione tra alimentazione e tumori è stata tardiva e bisogna attendere gli anni Ottanta per trovare nella letteratura scientifica internazionale contributi italiani su questo tema. L’evidenza prodotta, essenzialmente legata alla conduzione di studi caso-controllo, è decisamente numerosa. Carlo La Vecchia, Silvia Franceschi e Adriano Decarli sono i promotori di osservazioni che raccolgono, tra l’altro, anche dati collaborativi italiani che danno un quadro anche regionalizzato delle evidenze. Eva Buiatti e Domenico Palli producono altre informazioni da studi caso-controllo, particolarmente sui tumori gastroenterici. Proprio in quel periodo viene avviato il primo grande studio di coorte italiano (Ormoni e dieta nell’eziologia dei tumori mammari – ORDET), proposto da Franco Berrino, con un disegno di studio innovativo per la presenza di una banca di campioni biologici, da utilizzare nel tempo. A questa esperienza si è ispirato lo studio europeo EPIC (European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition), coordinato alla Internazional Agency for Research on Cancer di Lione da un altro epidemiologo italiano, Elio Riboli, con il sostegno di Rodolfo Saracci. E nel progetto EPIC convergono cinque coorti italiane che si consorziano con un’altra decina di coorti europee per avviare quello che è considerato ancora oggi (a quasi 25 anni dal suo inizio) non solo uno studio dal disegno innovativo, ma anche un’indagine di grande importanza informativa per l’accuratezza dei dati raccolti sulle abitudini alimentari dei 500.000 cittadini europei che tiene sotto osservazione. La collaborazione EPIC-Italia diventa un’officina di ipotesi di studio sul tema dell’alimentazione, includendo anche una grande attenzione a temi di necessaria integrazione conoscitiva come l’analisi dei determinanti socioculturali o dell’interazione con la genetica o l’epigenetica (il gruppo torinese che si sviluppa intorno alle attività di ricerca di Paolo Vineis fa da capofila). L’opportunità di uno studio di coorte così disegnato ha stimolato anche l’attivazione di una componente cardiovascolare (lo studio EPICOR, che l’autore di queste note ha coordinato insieme a Vittorio Krogh) o il diabete (all’interno dello studio INTERACT europeo), cui il gruppo di Domenico Palli ha dato un contributo prezioso.

Approfondimenti metodologici

Con queste esperienze la ricerca epidemiologica italiana apre la stagione dei grandi studi di coorte su alimentazione e salute (in ORDET 11.000 donne osservate, in EPIC/EPICOR circa 50.000 individui di ambo i sessi). Queste indagini aprono anche una nuova stagione di approfondimento metodologico riguardo all’analisi di dati che vede lo sviluppo di analisi di tipo caso-controllo innestato nella coorte e caso-coorte. E contestualmente un insieme di studi metodologici su accuratezza e riproducibilità delle indagini alimentari. In particolare, diventa un classico la valutazione delle indagini alimentari dei centri EPIC italiani, che fa del questionario alimentare di questo studio un riferimento per molti studi e indagini fatti in Italia successivamente, cui hanno contribuito, oltre a molti degli epidemiologici già citati, anche Paola Pisani e Fabrizio Faggiano. Diretti discendenti di queste esperienze sono le sperimentazioni sull’efficacia della terapia nutrizionale per migliorare la prognosi dei cancer survivors, iniziate da oltre quindici anni da Franco Berrino sui tumori mammari, e che rappresentano una nuova frontiera e una sfida per gli epidemiologi italiani. Naturalmente, il quadro che ho delineato risente tantissimo della mia esperienza e partecipazione personale a molti degli studi citati, e certamente non ho la possibilità di citare tutte le iniziative che gli epidemiologi italiani hanno avviato nel corso degli ultimi anni, per farlo occorrerebbe molto più spazio; tuttavia questo è, a mio parere, il percorso principale per quanto riguarda malattie cardiovascolari e tumori.

Con la necessaria attenzione alla complessità

Il XXXIX congresso dell’AIE testimonia la fervida attività sui grandi temi che ruotano intorno al rapporto tra alimentazione e salute, allargando lo sguardo fino al rapporto con le condizioni socioculturali e ambientali, che influenzano lo stile di vita e l’assetto qualitativo del cibo che mangiamo, oltre che la sostenibilità di questo stile. Insomma, la necessaria attenzione alla complessità del tema trattato, come è tradizione della cultura dell’Associazione. Infine, non potevano mancare le nostre riflessioni sulle criticità e le possibili soluzioni che attengono alla prevenzione attraverso la promozione di stili alimentari salutari e sostenibili.

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