Alessandro Liberati: un riferimento nazionale e internazionale per l’epidemiologia clinica e la ricerca sanitaria
Non mi dilungherò sugli aspetti della carriera e della storia di Alessandro Liberati, che sono già stati in parte toccati dallo stesso Iain Chalmers. Cercherò di concentrarmi sul contributo che Alessandro ha dato all’epidemiologia italiana, permettendomi anche qualche riflessione più personale.
Ho conosciuto Alessandro all’inizio degli anni Novanta. Un pomeriggio della primavera del 1995, venne a trovarmi a casa dove stavo con mia figlia Simona, nata da pochi mesi. Mentre lei ci guardava dal suo seggiolino, Alessandro mi fece vedere con grande entusiasmo il primo floppy disk della Cochrane Library e mi raccontò le magiche proprietà di quel dischetto, dove erano pubblicati in un unico articolo (le allora sconosciute “revisioni sistematiche”) tutti i risultati dei singoli, talvolta molti, studi primari sull’efficacia di un intervento sanitario. Alessandro ci ha convinti che la sintesi e la revisione critica delle conoscenze scientifiche disponibili fosse una funzione essenziale dell’epidemiologia e preliminare alla pianificazione di un nuovo studio epidemiologico.
Era l’alba del movimento dell’EBM, di cui Alessandro fu certamente pioniere, ma mai fanatico. Ha sempre messo in guardia da facili e pericolosi dogmatismi. Negli ultimi anni abbiamo discusso insieme, in molte occasioni promosse e facilitate anche dall’AIE, la necessità di superare la semplicistica dicotomia tra studi sperimentali e studi osservazionali; ai nostri incontri faceva spesso vedere una diapositiva, in cui metteva in discussione il concetto di “gerarchia” delle evidenze. Era dell’idea che si dovesse «rovesciare l’ordine dei fattori: dalla domanda al tipo di evidenza e non viceversa», fino alla possibilità di «abolire il termine/concetto» di gerarchia, che forse non trovava facilmente posto nel suo vocabolario. Quindi, non «quali sono le migliori prove» ma «quali sono le prove più rilevanti (per le decisioni da assumere) e la loro qualità».
L’assenza di prove, per molte delle decisioni rilevanti per i pazienti, è stato il suo più recente cavallo di battaglia, come testimonia l’ultimo editoriale pubblicato sul Lancet e ripreso anche dal ricordo di Iain Chalmers in questo stesso numero di EPdiMezzo. Ha sempre puntato l’indice sulle incertezze in medicina; è sua la diapositiva che molti di noi usano ai convegni e che descrive l’alta proporzione di interventi sanitari per i quali non esistono prove di efficacia. Sosteneva che una delle funzioni principali delle revisioni sistematiche fosse proprio l’identificazione delle aree di incertezza della ricerca sanitaria. Non ha mai ritenuto che questa incertezza fosse eliminabile, piuttosto, che con l’incertezza bisognasse confrontarsi, con profondo senso etico e con la massima trasparenza. L’incertezza non doveva in nessun modo rappresentare un alibi dietro il quale nascondere conflitti non necessariamente commerciali, ma anche professionali e accademici.
Quello che colpiva di Alessandro era lo sguardo curioso, vivace, sempre attento a tutto quello che lo circondava, si percepiva che quegli occhi vedevano dove altri non riuscivano a vedere. È stato un pioniere nella sua visione del ruolo del servizio sanitario nella pianificazione della ricerca scientifica; la definizione esplicita dei temi di ricerca, il confronto aperto e trasparente sui metodi della ricerca, a cui neanche l’accademia avrebbe dovuto sottrarsi. In Emilia Romagna ha trovato quel terreno fertile, che gli era mancato a livello nazionale, per porre le basi di un modello di governo della ricerca sanitaria, che ci si augura possa oggi svilupparsi ulteriormente, superando anche quei confini territoriali.
È sempre stata una persona dalle mille sorprese. E ci ha sorpresi anche nel modo in cui ci ha lasciati. Da maggio, quando è stato ricoverato per il suo terzo autotrapianto di midollo, ha voluto aprire un blog per mantenere un contatto con i tanti amici e colleghi con i quali ha condiviso, fino agli ultimi giorni, opinioni politiche, professionali, spirituali, personali, grazie anche al grande supporto della moglie Mariangela e delle figlie Elisa e Valeria.
Ci sarebbe molto di quel blog che varrebbe la pena divulgare e sappiamo che verrà fatto, ma mi permetto qui di riportarne una piccolissima parte che testimonia quella straordinaria visione acuta e di prospettiva e la sua profonda familiarità con l’epidemiologia. Si intitola: «Equità, trasparenza e coraggio di comunicazione». In quella sezione ci parla della manovra finanziaria Monti in questo modo: «un approccio sistemico e strutturale ai problemi, al quale troppo facilmente si contrappone la considerazione dei singoli casi, molti davvero sfortunati,che pare rimandi all’estenuante discussione che nel campo della medicina e della valutazione degli interventi sanitari contrappone il beneficio “per il singolo paziente” al beneficio “di sanità pubblica”». Alessandro, in quel “post” del 7 dicembre del 2011, suggerisce che «saper comunicare in modo esplicito la natura degli effetti attesi di una serie di interventi strutturali sulla economia è un dovere e non un’opzione. Un dovere che deriva dalla consapevolezza che il governo sta presentando un progetto che andrà verificato e validato nei suoi effetti positivi e negativi. Cercando, come si fa con la buona epidemiologia, di proteggere in modo esplicito i sottogruppi che altrimenti pagheranno troppo e rendendo esplicito che questo non si fa per mediazione politica ma per disegno».
Ringraziamo Alessandro per l’opportunità che ci ha dato di confrontarci con le sue idee e di discuterne insieme, tutto questo ci mancherà.