Editoriali
26/11/2018

Uno sguardo nuovo sul cardiopatico anziano

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L’editoriale di Boccanelli Il cuore nel terzo millennio, pubblicato su questo numero di E&P (pp. 201-204) attesta il deciso passo in avanti nella consapevolezza di come le modifiche demografico-epidemiologiche, registrate negli ultimi decenni, abbiano reso necessario un nuovo approccio alle problematiche dei pazienti cardiovascolari sempre più anziani. Gli autori documentano la necessità di rendere più preciso sia l’approccio sui fattori di rischio sia il disegno e l’interpretazione della ricerca clinica di settore.
Coinvolgendo tutti gli apparati, e indipendentemente dalla presenza di chiare patologie - cardiovascolari e non - il processo di invecchiamento determina una progressiva stenosi dei vari range omeostatici (omeostenosi). Tale peculiarità impone una riflessione su come il trattamento, specie se aggressivo, possa determinare – accanto al risultato desiderato – ulteriori conseguenze, apparentemente indipendenti, su altri apparati, omeostenotizzati, in grado di modificare sensibilmente il livello di autosufficienza, provocando un peggioramento della qualità della vita.
Va affrontato e superato il rischio che, nel nuovo specialista cardiologo, permanga lo spirito basato sul principio del “bisogna salvare vite” indipendentemente dalla considerazione di quale sia la qualità della vita residua dopo il salvataggio. È necessario, dunque, ampliare la discussione su quali debbano essere gli endpoint e, di conseguenza, gli obiettivi da individuare specificamente su singoli individui e non su fasce di popolazione.
A questo proposito, giova citare due esempi riguardanti la cura dell’ipertensione e dello scompenso cardiaco.
Nel caso dell’ipertensione, si confrontano due posizioni: quella del Joint National Committee che nel 2014 segnalava l’opportunità, già dai 60 anni, di limitare il trattamento antipertensivo a pazienti con valori superiori a 150/901 e quella della American Heart Association che nel 2017 segnalava l’opportunità, nei pazienti residenti a casa propria, anche dopo i 75 anni, di un trattamento aggressivo, con l'obiettivo di 120/80,2 per l'evidenza prodotta dallo studio SPRINT, secondo cui tale target avrebbe garantito una significativa riduzione della mortalità e di nuovi eventi cardiovascolari maggiori.3
Oggi le indicazioni derivanti da SPRINT non possono non tener conto dei risultati di altre ricerche, in particolare di un’osservazione del Framingham Study,4 che ha rilevato come nei soggetti ipertesi nella mid-life si realizzi una perdita di anisotropia nei vasi cerebrali quale espressione di una destrutturazione dell’endotelio vascolare con conseguente dilatazione, durante la late-life, degli spazi perivascolari che rende il tessuto cerebrale più vulnerabile alla riduzione della pressione di perfusione. Una precisione nelle scelte terapeutiche si rende ineludibile. Tra l’altro, una maggiore prudenza si riscontra nelle linee guida europee, adottate anche dalle società scientifiche italiane.5 Del resto, la relazione tra terapia antipertensiva e declino cognitivo era già sfuggita nell’interpretazione dello studio SYSTEUR,6 quando, a fronte dell’affermazione che il trattamento antipertensivo con nitrendipina preservasse dal declino cognitivo, non si era considerata l’inappropriatezza dell’uso del MMSE nel valutare il deterioramento cognitivo sottocorticale, prima possibile complicanza di un’ipoperfusione cerebrale da sovratrattamento.
Quanto allo scompenso, la non completa valutazione degli endpoint è alla base dell’introduzione, con fast track per evidente significativa efficacia, degli inibitori della neprilisina nel trattamento dello scompenso cardiaco. Senza attendere che i trial ancora in corso abbiano fornito la benché minima prova dell’assenza di effetti sul meccanismo di scavenger che tale enzima riveste nel tessuto cerebrale nei confronti dell’amiloide coinvolta nella genesi della malattia di Alzheimer.
In sostanza, lo sguardo clinico deve allargarsi in forma periscopica per valutare situazioni non confinate all’ambito della patologia da prevenire o da trattare. La corretta osservazione che è necessario lo sviluppo di una cardiologia geriatrica apre ai nuovi cardiologi scenari complessi, dove i pazienti richiedono una valutazione a 360 gradi della loro peculiarità di pazienti geriatrici.

Conflitti di interesse dichiarati: nessuno.

Bibliografia

  1. James PA, Oparil S, Carter BL et al. 2014 evidence-based guideline for the management of high blood pressure in adults: report from the panel members appointed to the Eighth Joint National Committee (JNC 8). JAMA 2014;311(5):507-20.
  2. Brook RD,Rajagopalan S. 2017 ACC/AHA/AAPA/ABC/ACPM/AGS/APhA/ASH/ASPC/NMA/PCNA Guideline for the Prevention, Detection, Evaluation, and Management of High Blood Pressure in Adults. A report of the American College of Cardiology/American Heart Association Task Force on Clinical Practice Guidelines. J Am Soc Hypertens 2018;12(3):238.
  3. SPRINT Research Group, Wright JT Jr, Williamson JD et al. A randomized trial of intensive versus standard blood-pressure control. N Engl J Med 2015;373(22):2103-16.
  4. Maillard P, Seshadri S, Beiser A et al. Effects of systolic blood pressure on white-matter integrity in young adults in the Framingham Heart Study: a cross-sectional study. Lancet Neurol 2012;11(12):1039-47.
  5. Linee guida europee 2016 sulla prevenzione delle malattie cardiovascolari nella pratica clinica. G It Cardiol 2017;18(7-8):547-612.
  6. Forette F, Seux ML, Staessen JA et al. The prevention of dementia with antihypertensive treatment: new evidence from the Systolic Hypertension in Europe (Syst-Eur) study. Arch Intern Med 2002;162(18):2046-52.
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