Editoriali
26/11/2019

Epidemiologia post-terremoto: occorre pensarci prima

Otto meritevoli epidemiologi, clinici e operatori della sanità pubblica italiani hanno prodotto una rassegna sistematica della letteratura, con metanalisi, sulle conseguenze a medio e lungo termine sulla salute dell’esposizione a terremoti nei Paesi ad alto reddito.1 Si tratta di Paesi a rischio sismico perlopiù dotati di sistemi sanitari consolidati universalmente accessibili, di statistiche sanitarie correnti attendibili, e di un’elevata tradizione di competenze epidemiologiche. C’era, quindi, d’attendersi che, sul tema, fosse disponibile un’ampia produzione scientifica. La rassegna dimostra che non è proprio così, ma che quella esistente fornisce elementi importanti.
I criteri di inclusione dei singoli studi sono stati definiti con intelligenza e precisione; ognuno di essi doveva:

  • essere uno studio osservazionale;
  • considerare indicatori di salute, compreso l’accesso ai servizi sanitari;
  • misurare gli indicatori almeno un mese dopo il sisma;
  • includere almeno un gruppo di non esposti per un confronto temporale o geografico
  • riguardare un Paese classificato ad alto livello di reddito dalla Banca mondiale nel 2015.

Le stime metanalitiche hanno tenuto conto sia dell’errore campionario sia dell’eterogeneità tra studi: in linea di principio, dove l’intervallo di confidenza esclude l’unità, una percentuale di variazione alta nulla detrae all’attendibilità dell’associazione.
Tra i quasi 3.000 articoli identificati, solo 52 hanno soddisfatto le condizioni di inclusione. Per altri 39 terremoti di magnitudo superiore a 6.0 che si sono verificati nei Paesi ricchi tra il 1990 e il 2012 (compresi Umbria e Marche nel settembre 1997, Sicilia nel settembre 2002 ed Emilia-Romagna nel maggio 2012) le pubblicazioni disponibili non corrispondevano ai criteri richiesti. Sono stati invece inclusi 10 articoli su l’Aquila 2009, 10 su Kobe e Hanshin-Awaji 1995 e 10 su Higashi-Nihon 2011, che sono tra i 5 terremoti che hanno causato il maggior numero di vittime; altri 5 studi hanno riguardato il sisma di Christchurch in Nuova Zelanda, mentre da 1 e 3 studi ciascuno hanno preso in considerazione altre aree. In tutto, la revisione ha riguardato 13 terremoti.
Dei 52 studi analizzati, 20 erano studi di coorte, 17 erano basati su serie temporali, 15 erano studi a sezione trasversa. Complessivamente, è stata considerata un’ampia gamma di variabili descrittive della salute delle popolazioni colpite, ma solo una parte di esiti erano stati inclusi in più studi indipendenti con modalità tali da potere essere considerati congiuntamente in una metanalisi. Per nessun esito la metanalisi ha potuto includere più di 7 studi (e altrettanti terremoti). Nonostante il focus fossero le stime metanalitiche, il testo e i materiali supplementari riportano anche stime di rischio single (non ripetute in studi indipendenti, non metanalizzabili).
L’indicatore più ovvio della gravità di un terremoto è il numero assoluto dei morti che esso causa. Il rischio di morire è specifico per terremoto, in relazione alla sua magnitudo e alla vulnerabilità delle abitazioni nel territorio colpito. Problematica è l’inclusione, nelle cifre ufficiali, delle morti tardive (per complicazioni di lesioni traumatiche o per “cause naturali” determinate o accelerate dall’esposizione al terremoto). La stima metanalitica, derivata da due studi giapponesi, di un rischio relativo 1,02 (IC 95% 1,01-1,03) di morire entro 24 mesi dall’evento sismico non è estrapolabile ad altri terremoti.
Ben più interessanti, invece, sono le stime di rischio di morire per specifiche malattie.
Una metanalisi di 4 studi basati su confronti temporali (Irpinia 1980, Kobe 1995, Niigata 2004 e Higashi-Nihon 2011, con follow-up tra 3 e 36 mesi) ha stimato un rischio relativo di 1,4 (IC95% 1,2-1,6) di morire per infarto del miocardio. L’osservazione è stata confermata da un quinto studio basato su confronti geografici e da un altro studio che ha considerato come causa di morte l’evento “malattia cardiaca coronarica”. L’eccesso viene attribuito allo stress psicologico causato dal sisma e conseguente attivazione del sistema nervoso simpatico. Incidentalmente, anche a Seveso, limitatamente ai residenti nella zona A, nei primi anni dopo l’incidente del 1976, si era verificato un eccesso di morti per malattie cardiocircolatorie. Ripoll Gallardo et al., in una separata metanalisi dei valori della pressione arteriosa (7 studi, con un numero complessivo di partecipanti ordini di grandezza più piccolo), non hanno rilevato differenze negli esposti a un terremoto rispetto ai non esposti.1 Non credo, tuttavia, che questo riduca molto la rilevanza della stima di rischio di infarto. Interessante, piuttosto, la stima metanalitica (da due studi) di un eccesso del 37% di morti per ictus.
Quattro stime in due studi tra di loro non metanalizzabili hanno coerentemente dimostrato un eccesso di ulcere gastriche, comprese quelle sanguinanti.
Sono state metanalizzate le stime di altre variabili continue di interesse clinico: indice di massa corporea, colesterolo totale, emoglobina glicata, colesterolo DHL, trigliceridi, con metanalisi di un numero di studi compreso tra 4 e 7. Solo per l’emoglobina glicata, l’intervallo di confidenza della stima metanalitica (eccesso del 16%) escludeva l’unità. Gli autori ricordano la segnalazione di eccessi di diabete successivamente a disastri ambientali e la sottostante complessa rete patogenetica.
Interessanti stime di rischio single su altri esiti sono riportate nel testo e nel materiale supplementare. Due studi hanno misurato il rischio di consumo di specifici psicofarmaci, prevalentemente con eccessi (ma anche con qualche deficit) per specifici antidepressivi (assai marcato all’Aquila l’eccesso di consumo di promazina e di amilsulpride). L’unico studio che ha preso in considerazione la variabile insonnia, in Giappone, ha stimato un aumento della prevalenza, mentre uno studio all’Aquila ha mostrato un raddoppio del rischio di sedentarietà. Tre studi hanno misurato la frequenza di malattie infettive: all’Aquila è stata rilevata una diminuzione di rosolia e pertosse, mentre in altre due circostanze sono stati stimati modesti ma significativi eccessi di salmonellosi, febbre tifoidea ed epatite virale. Altri studi single (alcuni all’Aquila) hanno stimato eccessi di disturbi mentali e stress. Per i suicidi, i 4 studi disponibili hanno dato risultati contrastanti.
Alcuni risultati di Ripoll Gallardo e colleghi hanno un potenziale di innovazione non trascurabile. Le stime del rischio di infarto del miocardio, di ulcera gastrica, di ictus e probabilmente di diabete sottintendono meccanismi patogenetici e biologici di valore universale, anche se non completamente compresi, e sono estrapolabili a realtà escluse dalla metanalisi.
I criteri di inclusione degli studi da parte di Ripoll Gallardo e colleghi erano rigorosi, ma non particolarmente esigenti. È evidente che, nei Paesi ricchi, ampi settori della salute dei residenti nelle zone terremotate non sono stati oggetto di stime di rischio (almeno, non ne sono state pubblicate in riviste indicizzate). Un primo grande assente sono i mutamenti che l’esperienza del sisma e relativi disagi possono determinare nei comportamenti e negli stili di vita (unica eccezione: lo studio sulla sedentarietà all’Aquila). Un altro tema che una ragionevole lente epidemiologica non è riuscita a captare è l’utilizzo dei servizi sanitari (un solo grande studio con confronto temporale limitato alle dimissioni ospedaliere per 6 mesi: diminuzione del 3%).
Lo sforzo di Ripoll Gallardo e colleghi dimostra che la sorveglianza epidemiologica (come la cultura) rende. Ovviamente, la resa sarà tanto maggiore quanto più vivace sarà l’interazione tra ricercatori e autorità di salute pubblica, soprattutto prima che avvengano i sismi («non è il momento del terremoto quello migliore per scambiarsi i biglietti da visita» recitava un editoriale sull’argomento di qualche anno fa).2 Gli autori concludono con una serie di suggerimenti per le popolazioni a rischio sismico nei Paesi ad alto reddito: uso coordinato dei dati correnti, maggiore attenzione ai gruppi vulnerabili (compresi i lavoratori impegnati negli interventi conseguenti al sisma), maggiore disponibilità di indicatori (compresi quelli utili per misurare efficacia ed efficienza degli interventi di salute pubblica post-sisma) e – last but not least – un approccio multidisciplinare per una comunicazione efficace alle popolazioni a rischio. Sono proposte che si sovrappongono all’appello dell’Associazione italiana di epidemiologia, emesso proprio all’Aquila nella primavera 2016, per la creazione di un sistema di sorveglianza della salute delle popolazioni colpite da catastrofi. Appello che finora, purtroppo, non ha avuto alcun seguito.

Conflitti di interesse dichiarati: nessuno.

Bibliografia

  1. Ripoll Gallardo A, Pacelli B, Alesina M et al. Medium- and long-term health effects of earthquakes in high-income countries: a systematic review and meta-analysis. Int J Epidemiol 2018;47(4):1317-32.
  2. Paci E, Terracini B, Fabiani L, Valenti M, Bisanti L (eds). L’Aquila: sorveglianza e ricerca dopo il terremoto del 2009. Epidemiol Prev 2016;40(2) Suppl 1:1-108.
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