Editoriali
26/11/2016

Epidemiologia della globalizzazione

Molti intuiscono che la ventata di globalizzazione portata dagli sviluppi dell’economia e della finanza può avere (e probabilmente ha) un potente impatto su molti aspetti della nostra vita quotidiana e in particolare sulla salute. Quanto di tale impatto sarà positivo e quanto negativo è assai difficile immaginare. Tra i segnali positivi vi sono, per esempio, le iniziative private o congiunte pubblico-privato, come la vaccinazione contro la polio da parte della Gates Foundation oppure il network GAVI. Ma molti hanno espresso forti preoccupazioni per gli impatti negativi. Un esempio è un sorprendente pronunciamento del Royal College of Physicians inglese, organismo abitualmente moderato, che in un editoriale dell’anno scorso significativamente intitolato «Warning: TTIP could be hazardous to your health»1 mette in guardia dalle conseguenze negative dei trattati commerciali internazionali, in perfetta sintonia con l’articolo di Roberto De Vogli che E&P pubblica in questo numero. Il Royal College propone poi alcune strategie (molto diverse da quelle sostenute dal neoliberismo) per difendere la salute.2 Il fulcro di queste strategie sta nel riconoscimento del nesso tra danno ambientale, politiche strutturali e salute, e nello sviluppo di iniziative orientate ai cosiddetti co-benefici (co-benefits). Queste proposte sono coerenti con recenti documenti molto influenti come i due rapporti di Lancet del 2015, uno sul cambiamento climatico e uno sulla salute planetaria (la commissione Rockefeller).3

In uno scenario complesso e costantemente in mutamento è difficile identificare delle priorità. Le conclusioni di COP21 sul cambiamento climatico sono state molto chiare, anche se non c’è ancora un’agenda stringente. Un tema che è emerso poco finora, ma che potrebbe essere vincente è quello dei co-benefici, cioè interventi in settori chiave che consentono sia di mitigare il cambiamento climatico sia di prevenire le malattie: approcci sistemici possono essere molto più efficaci e costo-efficaci di interventi settoriali. Talvolta si sostiene (erroneamente) che i costi delle politiche di mitigazione del cambiamento climatico sono troppo alti e incompatibili con la crescita economica. Tuttavia, vi sono diversi motivi per argomentare che questo non è vero, uno dei quali sta negli ampi dividendi che possono venire da una politica incentrata sui co-benefici. Vediamo alcuni esempi.

  • I trasporti contribuiscono per la maggiore quota di gas serra nelle aree urbane. Il trasporto attivo (in bicicletta o a piedi) non solo comporta una minore immissione di gas serra, ma, aumentando l’attività fisica, ha benefici sullo stato di salute. Un aumento dell’attività fisica previene il diabete, l’obesità, l’ipertensione e le malattie ad esse associate. È stato stimato che la combinazione tra il trasporto attivo e la diffusione di veicoli a basse emissioni porterebbe a una significativa riduzione degli anni di vita perduti per malattie ischemiche del cuore (fino al 10-19% a Londra e 11-25% a Delhi).4 Camminare 30 minuti al giorno costituirebbe in molti casi una forma di attività fisica sufficiente a contrastare lievi sbilanciamenti energetici e prevenire l’obesità.
  • Nei Paesi in via di sviluppo l’uso di vari combustibili organici (biomassa) per cucinare e per il riscaldamento è una fonte molto importante di inquinamento e di malattie. Vi sono ora modelli di stufe che utilizzano la biomassa in modo molto efficiente e 150.000 di queste stufe sono state distribuite dal governo indiano per abbattere (di 15 volte) l’inquinamento da fumi contenenti idrocarburi policiclici aromatici. L’inquinamento atmosferico (in particolare quello domestico) è la principale causa di morte di origine ambientale nei Paesi in via di sviluppo, e spiega 3,5-4 milioni di morti ogni anno.5 Anche in questo caso i benefici per la salute si assocerebbero a benefici per il clima.
  • La produzione di carne è altamente inefficiente energeticamente, poiché richiede una grande quantità di acqua e di suolo per unità di produzione. Un quinto dei gas serra è dovuto alle emissioni di metano dagli allevamenti di bovini. Tuttavia, come mostra il global calculator (http://tool.globalcalculator.org) sviluppato dei ricercatori dell’Imperial College, il problema della carne va molto al di là del metano e si riferisce più in generale a un consumo del suolo e delle risorse incompatibile con gli equilibri del pianeta. La riduzione nei consumi di carne, tuttavia, avrebbe anche non marginali effetti per la salute. Nello studio EPIC abbiamo calcolato che l’adesione alle linee guida del World Cancer Research Fund International (WCRF) per la prevenzione del cancro porterebbe a una riduzione del la mortalità del 34%, e queste linee guida comportano anche una sostituzione parziale della carne con altri alimenti, in particolare legumi. È stato stimato che una riduzione del 30% degli allevamenti in Inghilterra porterebbe a prevenire il 15% degli infarti.6 Inoltre, una riduzione degli allevamenti avrebbe come ulteriore co-beneficio un contenimento dei serbatoi di virus a RNA (negli allevamenti aviari e suini).
  • Infine, fonti di energia non rinnovabili, per esempio il carbone, sono importanti sorgenti di inquinamento e di gas serra e, nello stesso tempo, contribuiscono a un importante carico di malattie. Un esempio di quanto si può fare nei Paesi in via di sviluppo viene dalla provincia dello Shanxi (Cina), dove una serie di azioni volte ad abbattere l’inquinamento da carbone (inclusa la chiusura di numerose piccole fabbriche obsolete) ha portato i livelli di PM10 nella città di Taiyuan da 196 μg/m3 nel 2001 a 89 μg/m3 nel 2010: livelli molto alti per gli standard occidentali, ma pur sempre molto ridotti rispetto a pochi anni prima. Uno studio epidemiologico ha stimato che questo abbattimento ha portato a una riduzione del 57% dei Disability- Adjusted Life Years (DALY).7 D’altra parte, il quinto rapporto dell’IPCC identifica nella sostituzione delle fonti non rinnovabili di energia con fonti rinnovabili una delle maggiori opportunità per una politica orientata ai co-benefici.

Per concludere, secondo molti imboccare questa strada dei co-benefici non solo ha il vantaggio di rispondere agli obiettivi sia di COP21 sia della politica delle Nazioni unite per le malattie non trasmissibili (obiettivo «25x25»), ma è forse l’unica speranza per realizzare successi di qualche entità in campo ambientale. Come spiega molto chiaramente De Vogli, la tendenza neoliberista implicita nei trattati internazionali è, invece, antitetica a queste politiche razionali. Conflitti di interesse dichiarati: nessuno.

Bibliografia

  1. Weiss M, Middleton J, Schrecker T. Warning: TTIP could be hazardous to your health. J Public Health 2015;37(3):367-69.
  2. The Faculty of Public Health of the Royal College of Physicians. Start well, live better: a manifesto for the public’s health. Disponibile all’indirizzo: www.fph.org.uk
  3. Whitmee S, Haines A, Beyrer C et al. Safeguarding human health in the Anthropocene epoch: report of The Rockefeller Foundation-Lancet Commission on planetary health. Lancet 2015;386(10007):1973-2028.
  4. Woodcock J, Edwards P, Tonne C et al. Public health benefits of strategies to reduce greenhouse-gas emissions: urban land transport. Lancet;374(9705):1930-43.
  5. Gordon SB, Bruce NG, Grigg J et al. Respiratory risks from household air pollution in low and middle income countries. Lancet Respir Med 2014;2(10):823-60.
  6. Friel S, Dangour AD, Garnett T et al. Public health benefits of strategies to reduce greenhouse-gas emissions: food and agriculture. Lancet 2009;374(9706):2016-25.
  7. Tang D, Wang C, Nie J et al. Health benefits of improving air quality in Taiyuan, China. Environ Int 2014;73:235-42.
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