Post dei blog
15/09/2025

COVID-19: dati credibili? Insomma...

Oggi sui dati relativi all'epidemia di COVID-19 circolano informazioni molto confuse. C’è chi dice che il COVID sia ormai sparito, chi afferma l’opposto. I dati pubblicati non aiutano a ridurre le incertezze, perché non danno molta fiducia e c’è chi pensa che non dicano il vero.
Per questo forse è il caso di riflettere ancora su come si originano i contagi e su come i contagi vengono contati. Quale significato ha l’attuale crescita dei numeri relativi ai contagi COVID? Dobbiamo prenderli sul serio?

Si deve innanzitutto riconoscere che, grazie all'impegno del Ministero della Salute, dell'Istituto Superiore di Sanità e del Dipartimento della Protezione Civile, è da più di cinque anni che disponiamo, prima giornalmente, ora settimanalmente, del numero di contagi di COVID-19 in Italia, con dettaglio di Regioni e Province. Ma come si formano questi dati? E sono veritieri o per alcuni aspetti non riflettono esattamente la situazione epidemiologica?

Dobbiamo quindi chiederci come si originano i contagi e quali sono i fattori che determinano una grande variabilità sia nel tempo sia nello spazio. Ci verrebbe talvolta da pensare che tutto dipenda solo da come il virus si sparpaglia sul territorio e, dove arriva, la gente si infetta; in realtà, le modalità sono molto più complesse e qui cerchiamo di elencarne almeno una parte. 

Popolazione

Il totale dei contagi (TC) che osserviamo in un determinato lasso di tempo dipende da molti fattori e chiaramente in primis dalla popolazione che si sta osservando. È evidente che più numerosa è la popolazione – a parità degli altri fattori – più contagi accadranno. Ma molto dipende anche dalle caratteristiche demografiche della popolazione, che determinano l'esposizione al rischio di infezione: innanzitutto, l'età e il genere delle persone che la compongono. Per diverse patologie la probabilità di infettarsi non è uguale per tutte le età, ci sono malattie che riguardano quasi solo l'infanzia e altre in cui l'aggravarsi e l'incidenza sono maggiori negli anziani. Pare che per il COVID sia così, come mostra, per esempio, il grafico seguente pubblicato nel monitoraggio COVID 255 del Ministero della Salute relativo all'estate 2024. È comunque lecito chiedersi se qui siano presenti tutti i contagi o soltanto quelli diagnosticati e registrati.

Fonte: https://www.salute.gov.it/new/sites/default/files/imported/C_17_monitoraggi_255_0_fileNazionale.pdf

Ma un'altra caratteristica della popolazione sono le modalità con cui gli abitanti si distribuiscono sul territorio. Spesso, infatti, sono più a rischio di infettarsi le popolazioni che vivono in condizioni di maggior accentramento, come chi vive nelle città rispetto a chi vive in campagna o in montagna. Quando si vuol confrontare le incidenze dei contagi tra diverse popolazioni, sarà sempre necessario considerare le strutture per età e genere e le condizioni di accentramento.

Contagiosità del virus

Molto spesso, in questi anni di pandemia, i virologi ci hanno avvisati che il virus, mutando, ha prodotto varianti con caratteristiche diverse dalle precedenti e quasi sempre veniva attribuita alle nuove una maggior potenziale contagiosità, come in questi giorni per la variante chiamata Stratus. A prescindere dalle modalità con cui si può arrivare a definire sperimentalmente in laboratorio la contagiosità di una variante, in realtà spesso le attese sono state smentite e alcune delle varianti hanno prodotto meno contagi della precedente. È comunque quasi impossibile, con metodi epidemiologici, confrontare l'impatto di diverse varianti in modo avulso da tutti gli altri possibili determinanti e non si può certo ipotizzare uno studio sperimentale in tal senso. Facciamo comunque buon uso degli avvertimenti dei virologi, ma non utilizziamo questa facile colpevolizzazione delle varianti del virus per coprire le responsabilità della popolazione per i suoi comportamenti improvvidi.

Fattori ambientali

Per le epidemie simil-influenzali, i fattori ambientali sono certamente un determinante molto rilevante. Quando arrivano il freddo, l'inverno e l'umidità, l'influenza si diffonde sempre più; con l’avvicinarsi della primavera, invece, si osservano sempre meno casi.

Epicentro (ISS) rileva la diffusione delle sindromi simil-influenzali mediante il contributo dei medici e dei pediatri cosiddetti sentinella e nei vari anni si è sempre evidenziata la stagionalità delle epidemie simil-influenzali.

Fonte: https://respivirnet.iss.it/pagine/rapportoInflunet.aspx

Ci sono anni in cui il picco dell'epidemia è arrivato in anticipo e anni in cui ha ritardato, ma sempre si è manifestato un andamento stagionale. Il COVID, invece, in questi quasi sei anni non ha mostrato una regolarità stagionale, ma non è detto che le condizioni ambientali non possano aver giocato un ruolo nel facilitare o nel contrastare i contagi. Si può ipotizzare, per esempio, che temperature e umidità possano influenzare la sospensione nell'aria del virus negli ambienti chiusi. Si sono sempre osservati aumenti dei contagi in agosto e a inizio gennaio, ma è probabile che queste crescite non dipendano dalle condizioni meteo-ambientali, ma dalle situazioni vacanziere nelle quali si moltiplicano i contatti interpersonali anche tra persone solitamente tra di loro estranee.

Contatti interpersonali

Quando un agente infettivo può essere trasmesso – come accade per il COVID – solo da uomo a uomo, ne consegue che la frequenza dei contagi sarà molto correlata alla frequenza dei contatti interpersonali. Dall'inizio della pandemia, si è ritenuto che il principale veicolo di contagio fossero le goccioline di saliva emesse quando si parla o si tossisce e si consigliava di mantenere una distanza tra persone di almeno un metro (distanza alla quale le goccioline sono perlopiù cadute a terra). Ancora oggi si trovano, in molti locali pubblici o anche sui marciapiedi delle stazioni, dischi distanziati tra loro di un metro che indicavano dove dovevano disporsi le persone in attesa. Un'altra forma di contagio possibile è quella mediante il contatto con superfici contaminate e per molti divenne un'abitudine detergersi periodicamente le mani con disinfettanti tipo Amuchina. Le conoscenze riguardo alle modalità dei contagi interpersonali portarono molte strutture sanitarie a organizzare un’attività di contact tracing per isolare precocemente le persone contagiose e interrompere così la catena di trasmissione. Il servizio di contact tracing non diede però gli effetti sperati, perché, essendo effettuato in modo manuale, quando il numero di contagiati aumentò, vennero oltrepassate le capacità operative dei servizi di sorveglianza. 

Non si è mai potuto definire univocamente quando un contagiato sia contagioso, anche perché probabilmente molto dipende dalle condizioni particolari di ogni soggetto contagiante.

Si è però arrivati alla certezza che ci siano dei "super diffusori" e che, tra questi, ci siano addirittura soggetti asintomatici, i più pericolosi, perché non identificabili come untori.

La prevalenza più elevata di soggetti positivi è stata registrata il 23 gennaio 2022 con 2.734.906 soggetti, cioè una media in Italia di circa un positivo ogni 21 persone. Chi non viveva da isolato in casa propria, uscendo nei negozi, al lavoro, a scuola, sui mezzi pubblici, incrociava di sicuro molto più di 21 persone, quindi aveva la certezza di incrociare almeno un soggetto positivo; eppure, non sempre ci si contagiava, il che significa che c'erano altri elementi al di là del semplice incontro affinché il contagio si producesse. Infatti, ora si è dimostrato che il virus può anche rimanere sospeso nell'atmosfera degli ambienti chiusi e per questo si consiglia di provvedere ad arearli frequentemente, soprattutto se si tratta di ambienti molto frequentati.

Immunità della popolazione

Alcune persone non hanno mai avuto un contagio diagnosticato da virus SARS-CoV-2, il che significa che alcuni soggetti avevano probabilmente una sorta di immunità individuale propria, condizione che però non si è arrivati mai a dimostrare. Via via che l'epidemia si è svolta, l'immunità acquisita delle persone è cresciuta sia per aver avuto un precedente contagio sia per essersi vaccinati. L'immunità acquisita, però, sicuramente non è totale; infatti, sono molte le persone che si sono infettate più di una volta. A livello di popolazione, sicuramente vi è una sorta di immunità collettiva non completa, ma in grado di ridurre i rischi di contagio. Sembra peraltro che questa immunità collettiva stia diminuendo per il tempo trascorso per la maggioranza delle persone dall'ultimo richiamo vaccinale.

Frequenza reale di contagi e contagi registrati

Se questi possono essere stati i determinanti principali dell'incidenza dei casi positivi al virus SARS-CoV-2, le frequenze dei casi registrati perlopiù non corrispondono a tutti i casi reali di contagio, vuoi perché per molti non è stata effettuata una diagnosi, vuoi perché le diagnosi non sono state sempre registrate, soprattutto negli ultimi tempi dell'epidemia.

 I dati forniti dal Ministero della Salute riguardano sia i nuovi casi, sia la prevalenza di positivi, sia la prevalenza di ricoverati positivi, sia i decessi attribuiti al COVID-19. Si può subito dire che si può ritenere credibile il dato della prevalenza di positivi solo sino a fine 2023, perché da allora le notifiche di negativizzazione sono via via state tralasciate e rese non più obbligatorie. I grafici seguenti mostrano il rapporto tra prevalenza e incidenza dei positivi che dovrebbe stimare la durata dello stato di positività. Dopo il 2023, il rapporto diventa chiaramente inaffidabile, superando valori assolutamente impossibili. Se invece si esamina l'andamento dell'indicatore durante il solo anno 2022, si osserva una media di 22 giorni, forse eccessiva, ma credibile e probabilmente dovuta al ritardo di notifica della negativizzazione di alcuni soggetti.

Diagnosi di positività

L'attività diagnostica mediante tamponi, sia molecolari sia antigenici, svolta dal SSN ha avuto intensità molto differenti negli anni della pandemia e ultimamente si è molto ridotta. Le variazioni del numero di tamponi non corrispondono esattamente alle variazioni del numero di nuovi positivi; infatti, risulta molto variabile anche la percentuale di positività. Queste variazioni dipendono probabilmente sia dalla presenza simultanea di sintomatologie simili al COVID, come quelle di altre sindromi simil-influenzali, sia dall'aspettativa delle persone di potersi contagiare; infatti, al termine di un’ondata di contagi, la percentuale di positivi diminuisce, mentre il numero di tamponi rimane elevato ancora per un po'. Ultimamente i tamponi registrati sono quelli effettuati quasi esclusivamente nei pronto soccorso e questo spiega almeno in parte la crescita della percentuale di positività nelle ultime settimane dell'estate 2025.

Il rapporto tra tamponi e casi diagnosticati è forse meglio descritto dai seguenti scatter plot:

Registrazione delle diagnosi

Nei primi tempi dell'epidemia, i test molecolari erano effettuati solo negli ospedali o nei laboratori di analisi e questi inviavano alle strutture di sanità pubblica (ASL e, da qui, al Ministero/Protezione Civile) tutti i referti degli esami effettuati. Successivamente, anche le farmacie iniziarono a effettuare i test antigenici e anche loro trasmettevano i risultati alle ASL. Sono poi stati resi disponibili i tamponi "fai da te", acquistabili persino nei supermercati: i dati di questi tamponi, ovviamente, non sono stati registrati. Un indicatore che si può ritenere sensibile alla completezza della registrazione è il rapporto tra la prevalenza dei contagi e la prevalenza dei ricoverati positivi.

Come già accennato prima, dopo il 2023 la prevalenza dei casi è un dato non affidabile, perché non venivano più comunicate le negativizzazioni. Ma nel 2021, grazie all'obbligo del green pass, è probabile che entrambi gli indicatori di prevalenza fossero affidabili. Se è così, allora risultavano più di cento casi positivi al giorno per ogni ricoverato in ospedale positivo. Se questa percentuale fosse rimasta costante, a una prevalenza di ricoverati positivi che oggi si aggira giornalmente sui cinquecento, dovrebbe corrispondere una prevalenza di casi positivi attorno ai cinquantamila, sia sintomatici sia paucisintomatici e asintomatici.

Insomma, ci si può fidare dei dati del Ministero?

Si deve innanzitutto ringraziare il Ministero per aver creato un sistema di documentazione dei dati relativi alla pandemia di COVID-19 e per averlo lasciato accessibile a tutti.

Detto questo, però, l'unico momento in cui probabilmente i dati pubblicati corrispondevano alla realtà è stato il periodo in cui è stato reso obbligatorio il green pass, per cui quasi tutti i cittadini venivano sottoposti al test di positività; prima e dopo, invece, la completezza delle registrazioni e delle diagnosi non è stata certamente affidabile.

Ciononostante, si può ritenere che, confrontando i dati nel breve periodo, si possa ottenere una buona indicazione dell'andamento della circolazione del virus e quindi una corretta indicazione dell’attuale progressiva crescita dei contagi, che non può e non deve essere né taciuta né minimizzata né enfatizzata. L'attuale crescita deve semplicemente essere tenuta sotto controllo e la popolazione deve essere invitata a seguire le corrette precauzioni per contenerne un’eccessiva progressione.

Auspichiamo anche che il Ministero preveda, in caso di ulteriore crescita o di diversa epidemia, di affiancare alla rilevazione dei casi per via assistenziale altre forme di rilevazione dell'intensità della circolazione del virus. Ci si riferisce, per esempio, all'analisi delle acque reflue, alla rilevazione dei casi attraverso medici sentinella, all'esecuzione di indagini di prevalenza trasversali magari telefoniche, al controllo della vendita di test o di farmaci specifici. Alcune di queste rilevazioni, almeno localmente, sono state qui o là avviate, ma non sempre se ne conoscono i risultati. Insomma, si dovrebbero migliorare da parte del Ministero e delle Regioni le attività di conoscenza epidemiologica, permettendo l'accesso a tutti i dati rilevati, pur nel rispetto della privacy.

Nella situazione attuale, lontana da una situazione emergenziale, non si può certo pensare a provvedimenti che creino divieti o obblighi, ma è indispensabile che il Ministero arrivi a diffondere indicazioni precise sui comportamenti che ogni contagiato o ogni soggetto con sintomi sospetti dovrebbe seguire. Invece, leggendo i monitoraggi ministeriali, si ha il sospetto che oggi si voglia minimizzare il rischio di una crescita della diffusione del virus. Nessun allarmismo sarebbe opportuno, ma la popolazione deve essere correttamente informata così da poter meglio adeguare i propri comportamenti e non è certamente opportuno minimizzare ciò che sta accadendo solo per garantire la tranquillità delle persone.

Vai all'articolo su epiprev.it Versione Google AMP