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31/03/2021

Perché mi firmo epi-economista?

Penso che sotto i baffi di alcuni miei colleghi di genere maschile (le colleghe di solito sono meno competitive) si siano nascosti dei sorrisini, pur sicuramente benevoli, quando hanno letto accanto alla mia firma la definizione di epi-economista. Vorrei spiegarlo peraltro mantenendo un po’ di leggerezza alla mia “trattazione”.

Non mi firmo mai come epidemiologo anche se essendo stato presidente dell’Associazione Italiana di Epidemiologia potrei farlo senza ritegno. Ricordo che negli anni settanta fui bacchettato per essere stato definito, da altri, epidemiologo mentre non ero “neppure” laureato in medicina.

Sul mio sangue di nobiltà esculapiodea potrei dissertare ricordando di essere figlio di due illustri medici e fratello, zio e cognato di altrettanti; di aver fatto una tesi di laurea in Scienze politiche sulla ricostruzione della sanità pubblica dagli stati preunitari all’istituzione del Ministero della Sanità; di aver fatto parte della facoltà di medicina per quarant’anni, come borsista poi ricercatore poi professore, ed aver pubblicato su molte riviste e “persino” su Nature.

Ma la ragione non sta nella purezza accademica ma nella convinzione che oggi occorrono delle figure professionali che sappiano abbracciare, con competenza, più discipline. Se apriamo alcuni manuali di economie applicate possiamo vedere come si parli spesso di economia della domanda e di economia dell’offerta. Chi si occupa di economia dei trasporti tratta sia i temi dell’offerta ad esempio delle ferrovie sia della domanda ad esempio dei pendolari. Anche in sanità c’è una domanda ed una offerta, e della domanda fanno parte molti degli argomenti trattati dall’epidemiologia.

C’è una epidemiologia clinica che sicuramente deve essere riservata a chi conosce bene, e magari ha praticato, la clinica oltre a una buona preparazione metodologica in epidemiologia, ma poi c’è una epidemiologia destinata ad orientare le decisioni di sanità pubblica che spesso trova difficoltà ad essere esercitata da chi non ha una visione sistemica della sanità e non conosce la complessità dei processi politici ed economici.

Il mondo accademico, per ragioni spesso di corporativismo universitario, tende a enucleare le discipline enfatizzandone le separazioni. Sicuramente, soprattutto in medicina, c’è spesso la necessità dell’iperspecializzazione: alcuni chirurghi, ad esempio, fanno solo un determinato intervento che hanno imparato a fare dopo averlo imparato in anni di formazione. Ma non è così per tutte le attività!

In sanità pubblica servono anche esperti capaci di costruire dei ponti su diversi aspetti della realtà sanitaria, ed in particolare per quel che mi riguarda, sull’epidemiologia e sull’economia del sistema sanitario.

Nei politecnici di ingegneria sono stati istituiti dei corsi di laurea in ingegneria gestionale perché in molte aziende non serve un dirigente che sia solo ingegnere o solo economista, serve un ingegnere economista. Nella casa delle facoltà di medicina questo processo non si è ancora sviluppato ed anzi mentre quando mi fu assegnata la cattedra di economia sanitaria questa disciplina era anche nel raggruppamento delle discipline mediche accanto all’epidemiologia, poi, applicando il criterio implicito che è il primo termine del titolo della disciplina che determina il suo raggruppamento, l’economia sanitaria è uscita dai raggruppamenti medici.

È per questi motivi che io, provocatoriamente, mi firmo e continuerò a firmarmi epi-economista per sottolineare l’importanza che ci sia chi riesce per mentalità a costruire dei ponti tra i problemi delle risorse della salute ed i problemi delle risorse economiche. Non entrerò certo mai in una sala operatoria, se non ahimè per essere operato, ma in molti casi sarebbe bene che anche molti medici non eseguissero e firmassero ad esempio un bilancio senza saperne abbastanza di contabilità.

Ho insegnato metodologia statistico-epidemiologica e argomenti di economia sanitaria sia a studenti della facoltà di medicina sia a specializzandi e ho trovato chi era interessatissimo e chi invece subiva distrattamente le mie lezioni. Mi ricordo che visionai i questionari di valutazione dei docenti fatti eseguire agli studenti: il primo questionario definiva il mio come il corso più interessante ed illuminante, il secondo invece come il corso più inutile e svolto maldestramente … non andai oltre nel leggere gli altri giudizi … mi sono risparmiato un’ulteriore depressioine!

Questa pandemia ha mostrato credo inequivocabilmente come i problemi della salute e dell’economia siano tra di loro embricati e come non si possano assumere decisioni di politica sanitaria o di politica economica ignorandosi reciprocamente.

Vorrei solo terminare questa difesa della mia definizione di epi-economista ricordando che nel scoli scorsi molti illustri economisti erano professionalmente dei medici che occupandosi dei problemi della salute delle comunità si erano via via interessati anche ai problemi della povertà e della ricchezza, della produzione e del mercato, cioè dell’economia. Questi alcuni dei più famosi:

Di sicuro la mia foto non sarà tra cent’anni in Wikipedia come epi-economista. Ma mi basterebbe che passasse nella pratica dell’organizzazione sanitaria l’opportunità di inserire tra le competenze necessarie anche quelle di un epi-economista e che nessuno sorridesse se mi garba definirmi così.

Firmato: Cesare Cislaghi, Epi-Economista

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