Ma Ministro, che ci stai dicendo?
Durante il question time al Senato, del 25 settembre 2025, il Ministro Schillaci, in risposta a un’interrogazione dell'On. Musolino, ha fatto questa affermazione: «Dobbiamo essere onesti con i cittadini, non possiamo promettere sempre tutto a tutti, ma garantire l’essenziale a chi ne ha più bisogno».
Non vorremmo averne capito male il significato, anche perché una frase fuori contesto può essere talvolta fraintesa, ma cogliamo l'occasione per ribadire quali dovrebbero essere, e vorremmo fossero, i fondamenti del Servizio Sanitario Nazionale (SSN).
Ricordiamoci alcune lezioni di economia: i beni e i servizi di cui abbiamo in genere bisogno possono essere acquisiti in diversi modi: o comprandoli direttamente e pagandone il prezzo oppure versando una quota, fissa o proporzionale alle proprie disponibilità, a un’istituzione, pubblica o privata, che provvede poi a fornirceli. Ci sono beni o servizi il cui utilizzo è indivisibile tra tutti i cittadini e quindi è ovvio che non possono che essere forniti da un’istituzione perlopiù pubblica: si tratta, per esempio, delle strade e della loro manutenzione, della pubblica sicurezza e di molti altri servizi pubblici. Gli stessi possono anche essere talvolta forniti da un privato, come avviene per i vari servizi in un complesso edilizio privato.
I beni e i servizi non indivisibili sono perlopiù acquistati direttamente dai consumatori, tranne alcuni beni e servizi che hanno un valore etico riconosciuto dalla comunità, come l'istruzione e la sanità, per i quali non paga chi ne ha bisogno, ma pagano tutti i cittadini proporzionalmente alle proprie capacità. Lo Stato svolge una funzione che potremmo definire da "assicuratore sociale" e che si differenza dagli assicuratori privati, perché i premi assicurativi non sono uguali per tutti gli assicurati, ma proporzionali alle disponibilità di ciascuno e ricavati dalle varie imposte.
Insomma, il principio su cui si basa il SSN è che tutti paghiamo i costi dell'assistenza sanitaria versando le imposte indipendentemente dalle nostre necessità, poi chi ne ha bisogno ne usufruisce liberamente. Questo principio ha però due corollari: la definizione dei bisogni riconosciuti come essenziali, quindi tutelati, e la piccola quota di compartecipazione alla spesa da parte di chi usufruisce di un servizio.
Allora esaminiamo la frase del Ministro: «non possiamo promettere sempre tutto a tutti, ma garantire l’essenziale a chi ne ha più bisogno».
PROMETTERE: non si tratta di promesse, bensì di diritti stabiliti per legge! Non è una liberalità o una beneficenza, ma una regola di tutela della salute di ciascuno.
SEMPRE: non può essere che oggi ci sia un livello di tutela e domani un altro, maggiore o minore. La tutela deve essere legata a ciò che si considera realmente necessario.
TUTTO A TUTTI: tutto certo che no, solo ciò che si definisce necessario, ma a tutti sì, a tutti coloro che, appunto, ne hanno bisogno.
GARANTIRE L'ESSENZIALE: certo, sono i LEA e ci deve essere accordo e trasparenza su ciò che i rappresentanti dei cittadini, in parlamento, hanno definito come essenziale.
A CHI NE HA PIÙ BISOGNO: in che senso? A chi ne ha bisogno sì, ma perché a chi ne ha di più? Che significa? Solo a chi è più malato? Solo a chi è più povero?
Allora è forse giusto permetterci di indicare i rischi di una possibile deriva delle norme del SSN che perlopiù può essere innescata dalla necessità di limitare la spesa pubblica e dalla volontà di dare più spazio alle imprese sanitarie private.
1. Riduzione della proporzionalità al prodotto interno lordo della spesa sanitaria pubblica. Il PIL è la misura di quanto produciamo, quindi di quanto possiamo spendere. Una diminuzione della parte di PIL da destinare alla sanità pubblica significa decidere di restringere la tutela sanitaria dei cittadini rispetto alle altre destinazioni del PIL. Però, nel caso la quota proporzionale di PIL destinata alla spesa pubblica diminuisse, significherebbe che si è abbracciata una politica di contenimento dei compiti dello Stato; mentre, se diminuisse solo la quota di spesa pubblica destinata alla sanità, sarebbe un venir meno della politica per la sanità rispetto ad altri settori.
2. Riduzione dei livelli essenziali di assistenza (LEA). Una riduzione dei LEA corrisponde a una riduzione dell'assistenza e delle opportunità di cura. Le opportunità create dalla medicina sono in continua crescita, quindi ci si aspetta che anche le prestazioni LEA crescano. Può essere opportuna una revisione periodica dei LEA per togliere eventuali prestazioni obsolete e superate, ma la revisione deve soprattutto tendere a inserire le nuove disponibili.
3. Ridurre l'accessibilità a certe categorie di cittadini, magari i meno benestanti, corrisponderebbe a una politica di trasformazione dell'equità in una politica di tipo assistenzialista caritatevole. Rendere eventualmente più oneroso l'accesso a certe prestazioni per chi non avesse un’esenzione per reddito farebbe pensare a un tentativo di spostare verso il privato una casistica sempre maggiore.
4. Rendere l'accesso alle prestazioni più disagevole, o non far nulla perché questo non accada, è anch'esso un modo per favorire l'accesso alla sanità privata e alla copertura conseguente di assicurazioni private malattia.
Se la frase pronunciata dal signor Ministro era a parer mio infelice, ha poi posto delle dichiarazioni di segno opposto come quando ha affermato che «Il carattere universalistico del Sistema sanitario non è in discussione, è la nostra bussola. Universalistico non significa però limitato nelle risorse: vuol dire garantire a tutti i cittadini l'accesso alle cure essenziali, con un uso intelligente e sostenibile delle risorse disponibili». E qui concordiamo in toto e lo invitiamo a trarne le conseguenze in ogni decisione di politica sanitaria.
Il Ministro definisce poi quattro direzioni su cui occorre muoversi. E, se i nostri dubbi riguardano i rischi della prima direzione che conteneva la frase sopra criticata, per le successive speriamo che non siano, come dice il Ministro, fantascienza, bensì un presente in atto. Queste le quattro direzioni da lui elencate: «La prima direzione è governare le aspettative. Dobbiamo essere onesti con i cittadini, ridefinire i criteri di priorità per le prestazioni, identificare i target più urgenti, non promettere sempre tutto a tutti, garantire l'essenziale a chi ne ha più bisogno. Seconda direzione: maggiore efficienza, ottimizzare la rete ospedaliera, riconvertire le strutture frammentate verso i servizi territoriali, accorpare i servizi ambulatoriali. Le case di comunità del PNRR sono questo: il futuro di una sanità più razionale ed efficiente. Terza direzione: aumentare le risorse. Quarta direzione: rivoluzionari servizi, digitalizzazione e telemedicina. Non è fantascienza, ma è il presente."
Ma la preoccupazione maggiore è che manchi oggi, non solo al Ministro, ma a tutta la politica sia di maggioranza sia di opposizione una vera visione globale di ristrutturazione del SSN; spesso si assiste solo a tentativi, perlopiù solo verbali, di cercare di risolvere alcune criticità, ma nell'incapacità di ridisegnare tutto il sistema considerando le nuove necessità, le nuove opportunità, i nuovi bisogni e anche le nuove difficoltà.
È allora anche un compito di noi epidemiologi, assieme a colleghi e colleghe di altre discipline, quello di stimolare il dibattito e avanzare ipotesi ragionate. La sanità non si riforma con decreti di maggioranza, ma con proposte condivise da tutta la popolazione e, in primo luogo, da tutti gli operatori sanitari.