L'intramoenia? Ma che cos'è?
Data l’età capita con una certa frequenza di parlare con amici e conoscenti della prenotazione di prestazioni ambulatoriali, e considerato l’argomento si finisce sempre a lamentarsi dei lunghi tempi di attesa per ricevere le prestazioni. Quando la discussione arriva a questo punto c’è sempre almeno uno che la sa lunga e che ti dice: “ma perché non vai in intramoenia? Lì te la fanno subito o quasi subito, e puoi anche scegliere il medico”. Basta questa scintilla perché la discussione ovviamente si accenda e si scaldi, devi dallo specifico e si finisca col litigare di tutto e di più (e non solo del SSN).
Neanche a farlo apposta, proprio poco tempo fa è stato pubblicato un rapporto di Agenas sull’argomento (“Monitoraggi Nazionali ex ante dei tempi di attesa per l’attività libero professionale intramuraria (ALPI) e volumi di prestazioni ambulatoriali e di ricovero erogate in attività Istituzionale e ALPI”) e allora l’occasione diventa buona per farci su qualche ragionamento e qualche riflessione, a partire dalle definizioni e dai fondamentali così come descritti dal Ministero della Salute.
Quella che in gergo si chiama intramoenia è la “Attività Libero Professionale Intramuraria (ALPI, in sigla), cioè la attività (prestazioni) erogata al di fuori del normale orario di lavoro (e delle attività previste dall'impegno di servizio) dai medici di un ospedale pubblico utilizzando le strutture ambulatoriali e diagnostiche dell'ospedale stesso. Questa attività è prevista dal SSN ma sottostà ad alcune regole che la caratterizzano sia dal lato del prestatore d’opera (il medico che la esegue) sia dal lato del cittadino usufruente, ed in particolare:
- Lato erogatore (medico). a) Le prestazioni devono essere erogate al di fuori delle normali attività che il medico è tenuto a compiere nel suo servizio ospedaliero per il SSN: a prescindere dall’ora in cui viene effettuata la prestazione in ALPI deve risultare chiara la sua distinzione dalla normale attività ospedaliera (ore di lavoro in più rispetto a quelle definite dal contratto); b) le prestazioni che possono essere erogate in ALPI sono “le medesime che il medico deve erogare, sulla base del suo contratto di lavoro con il Servizio Sanitario Nazionale, attraverso la normale operatività come medico ospedaliero”; c) l’attività viene svolta nell’ospedale dove il medico svolge normalmente il suo compito, ma sotto certe condizioni può essere svolta anche in altro luogo; d) la prestazione viene remunerata al medico che la eroga, salvo una quota (di solito inferiore al 10%) che viene trattenuta dall’ospedale a copertura dei costi aziendali diretti ed indiretti che deve sostenere.
- Lato usufruente (cittadino). a) Per la prestazione che gli viene erogata il cittadino è tenuto al pagamento di una tariffa; b) il cittadino ha (solitamente) la possibilità di scegliere il medico a cui rivolgersi per ottenere la prestazione; c) il cittadino accede ad una specifica lista di attesa diversa da quella esistente in regime normale di servizio sanitario per la stessa prestazione (è una lista di attesa che generalmente garantisce l’erogazione della prestazione in un tempo inferiore, e spesso molto inferiore, a quello della lista di attesa in regime normale di servizio sanitario).
Ci sono poi altre specificazioni di minore rilevanza ma per quanto segue ciò che si è detto è più che sufficiente. L’ALPI esiste solo nelle strutture ospedaliere di diritto pubblico, si affianca all'offerta istituzionale, è disciplinata dalla normativa nazionale, regionale ed aziendale e rappresenta una specie di attività che potremmo definire “privata all’interno del pubblico” in quanto non segue le regole di compartecipazione (ticket ed esenzioni) previste per le stesse attività in regime normale di servizio sanitario ma ricade come spesa totalmente sulle spalle del cittadino usufruente, con una tariffa che solitamente è diversa (superiore) da quella prevista dal nomenclatore tariffario delle prestazioni vigente in ogni regione. La tariffa delle prestazioni in intramoenia viene usualmente determinata sulla base di importi idonei a remunerare il professionista, l’equipe, il personale di supporto, i costi pro-quota per l'ammortamento e la manutenzione delle apparecchiature nonché ad assicurare la copertura di tutti i costi diretti ed indiretti sostenuti dalla azienda ospedaliera, ma a fronte di questo superiore prezzo da una parte il cittadino può scegliere il professionista a cui rivolgersi (se ce n’è più di uno) e dall’altra viene inserito in una lista di attesa “privilegiata” che gli garantisce un tempo di attesa inferiore a quello della lista di attesa in regime normale di servizio sanitario.
Poco si sa delle attività erogate in regime di ALPI, per questo il citato volume di Agenas risulta prezioso: i dati sono riferiti all’anno 2022 e riguardano in particolare 69 diverse prestazioni monitorate (14 tipi di visite - cardiologica, neurologica, oculistica, … -, mammografia, 13 tipi di TC - torace, addome, …-, 6 tipi di RM, 11 tipi di ecografie, colonscopia, endo-scopia, esofago-gastro-duodeno--scopia, retto-sigmoido-scopia, elettrocardiogramma, test cardiovascolari da sforzo, esame audiometrico, spirometria, fotografia del fundus, ed elettromiografia).
La visita cardiologica risulta la prestazione più erogata (588.343), seguita dalla visita ginecologica (476.643), da quella ortopedica (466.466), dall’elettrocardiogramma (357.526) e dalla visita oculistica (354.319). Nel complesso, nel 2022 in ALPI sono state erogate 4.932.720 prestazioni (contando solo le 69 prestazioni monitorate). A fronte di queste prestazioni erogate in ALPI, il rapporto di Agenas indica in 4.019.765 gli elettrocardiogrammi erogati, che sono la prestazione più erogata in attività istituzionale, seguiti dalla visita ortopedica (3.913.053), dalla visita oculistica (3.863.165), dalla TC (3.549.498) e dalla visita cardiologica (3.423.248). Nell’insieme le 69 prestazioni monitorate hanno prodotto 59.793.294 di erogazioni, il che significa che per le prestazioni monitorate l’attività in libera professione intramuraria rappresenta il 8,25% delle prestazioni erogate nella attività istituzionale, con importanti variazioni però tra le diverse prestazioni: per le visite si va da valori compresi tra il 3%-4% (visita fisiatrica e visita oncologica) fino al 31% (visita ginecologica), mentre per i volumi di “prestazioni strumentali/diagnostica per immagini/altri esami specialistici” ci sono valori compresi tra il 1% (TC, mammografia monolaterale, elettrocardiogramma dinamico (holter), ecografia monolaterale della mammella, fotografia del fundus) e il 36% (ecografia ginecologica).
I dati pubblicati da Agenas permettono anche di valutare la variabilità erogativa tra le diverse regioni: la tabella che segue riporta, ogni 1.000 abitanti, il numero di prestazioni erogate in regime istituzionale, in regime di ALPI, e la loro somma (totale), nonché il rapporto percentuale tra le prestazioni in ALPI e quelle istituzionali.
La figura 1 evidenzia invece la relazione esistente, in termini di prestazioni erogate ogni 1.000 abitanti, tra i due regimi erogativi. Se si esclude la provincia di Bolzano, l’unica che ha un comportamento del tutto difforme da quello delle altre regioni (in quanto presenta elevatissima frequenza di prestazioni istituzionali e bassissima di prestazioni in ALPI), i dati regionali indicano una evidente associazione positiva tra i due regimi di erogazione: all’aumentare della frequenza relativa (ogni 1.000 abitanti) di prestazioni in regime istituzionale corrisponde un aumento della frequenza relativa di prestazioni in ALPI.
Introdotta agli inizi degli anni ’90 del secolo scorso per creare un percorso alternativo alla erogazione istituzionale che presentava segnali di difficoltà dal punto di vista della lunghezza dei tempi di attesa, secondo le rilevazioni di Agenas si deve innanzitutto osservare che l’ALPI ha fallito questo compito perché i dati fattuali indicano che l’intramoenia è maggiormente utilizzata nelle regioni dove anche l’attività istituzionale è più elevata: l’ALPI, quindi, non si sta rivelando alternativa rispetto alla attività istituzionale bensì aggiuntiva a quest’ultima.
Se guardiamo alla erogazione delle prestazioni dal punto di vista dei principi del SSN, è evidente che l’ALPI introduce un netto contrasto con i principi attorno ai quali è stato costruito il SSN: si creano disuguaglianze nel trattamento (ad esempio, con la scelta del professionista e con l’immissione in liste di attesa che hanno tempi di attesa ridotti rispetto alla attività istituzionale), viene introdotto un fattore di esplicita iniquità (si richiede al cittadino l’esborso di un contributo economico molto superiore al ticket che si dovrebbe corrispondere nel regime istituzionale), e privilegiando gli abbienti finisce che l’ALPI non risulta accessibile a tutti.
Tempi di attesa. Considerato che l’ALPI dà luogo ad una lista di attesa più corta per chi richiede prestazioni in intramoenia, automaticamente riduce i tempi di attesa per i pazienti che ne usufruiscono (ed il citato volume di Agenas dà evidenza di questa riduzione). In termini più generali, però, visto che la percentuale di prestazioni eseguite in ALPI è solo attorno al 8% (e che l’ALPI è più frequente dove già l’attività istituzionale è più frequente) vuol dire che le prestazioni in intramoenia risultano complessivamente poco rilevanti nel contribuire globalmente alla riduzione dei tempi di attesa.
Se quindi si prende atto che l’ALPI non sta avendo alcun effetto pratico sulla riduzione dei tempi di attesa, che crea evidenti disparità nell’accesso alle prestazioni, che introduce iniquità e favorisce i cittadini abbienti, e che non rappresenta un percorso alternativo bensì aggiuntivo rispetto al regime istituzionale, nasce spontanea la domanda sulla utilità di mantenere questo regime di erogazione o di mantenerlo nella forma che ha oggi. Questo almeno nell’ottica del cittadino-paziente e del funzionamento del SSN in senso lato. Esiste però anche l’ottica del professionista che eroga la prestazione in regime di ALPI: da questo punto di vista alcuni sostengono che l’ALPI fondi in realtà la sua vera ragione e la sua permanenza nell’opportunità di compensare e giustificare in qualche misura i bassi salari del personale medico e in tale ottica può agire come parziale freno alla fuga dei professionisti dal servizio sanitario nazionale (in particolare verso la sanità privata).
Ma l’intramoenia è ancora veramente tutta “intra”?
Nota di Cesare Cislaghi
Come Rosy Bindi ha dichiarato in una intervista a Sanità Informazione:
l’intramoenia era un modo per affrontare le liste d’attesa e spostare la soddisfazione del paziente dalle cliniche private alle strutture pubbliche, regolamentando il professionista, le tariffe, le entrate fiscali ed ovviamente le liste d’attesa, tant’è vero che si prevedeva che nessun professionista avrebbe potuto sviluppare volumi di attività intramoenia se non si faceva carico di abbattere le liste di attesa.
Ma oggi è sempre e dovunque così? Purtroppo no! Ed allora è opportuno distinguere tra l’intramoenia svolta “intra” utilizzando le strutture e le apparecchiature pubbliche, e l’intramoenia svolta “extra” cioè utilizzando strutture private, seppur convenzionate. In questo caso l’attività non è molto diversa da chi, mettendosi a tempo parziale, svolge attività libero professionale in strutture private convenzionate. Ci sono differenze amministrative ma per il sistema sanitario la differenza non sono rilevanti e comunque sono un modo per incrementare la sanità privata a pagamento, Quando invece l’attività di intramoenia è opportunamente svolta all’interno delle strutture pubbliche allora ci si potrebbe chiedere perché non le svolge il personale dipendente magari remunerato come lavoro straordinario.
In ogni caso se la struttura fosse in grado di offrire prestazioni in intramoenia dovrebbe dimostrare che non ci sono differenze nelle rispettive liste d’attesa. Il contenuto delle prestazioni dovrebbe essere lo stesso e non è neppure chiaro perché solo nell’intramoenia sia possibile scegliere il medico. Ed è veramente inaccettabile, anche se talvolta accade, che ci siano diversi contenuti di qualità, di efficacia, di gradimento tra le prestazioni gratuite e le prestazioni a pagamento in Intramoenia.
Il dubbio che si facciano allungare le liste d’attesa delle prestazioni SSN per favorire il ricorso più celere alle prestazioni in Intramoenia è un dubbio più che legittimo! Per questa ragione sarebbe più che doveroso operare controlli nell’uso dell’intramoenia e per lo meno i tempi di attesa dovrebbero essere simili. Quante persone si sono invece sentite dire al momento di una prenotazione «se lei la vuole molto prima può prenotarla in Intramoenia».
Se l’intramoenia fosse solo un modo per permettere ai sanitari di arrotondare gli stipendi realmente troppo bassi, soprattutto se paragonati con quelli all’estero, allora meglio studiare un modo corretto per permettere e pagare dei lavori straordinari.
Se poi le domande sono maggiori dell’offerta e le strutture e le apparecchiature permetterebbero di produrre poi prestazioni, allora perché non incrementare il personale?
Se invece l’intramoenia sta diventando solo un modo per scaricare sugli utenti parte dei costi, allora magari si pensi ad un sistema di contribuzione (tickets) proporzionale alle capacità economiche degli utenti.
Insomma, sono convinto che se, paradossalmente, oggi Rosy Bindi tornasse a fare il ministro sarebbe più che tentata ad abolire l’intramoenia. Allora forse oggi è più che necessario ridefinire le regole per gestire l’intramoenia e introdurre dei controlli seri sulle modalità con cui queste regole vengono applicate.
Tra sistema sanitario pubblico e sistema privato oggi non si sa da che parte stia l’intramoenia! Meglio allora separare chiaramente i due sistemi e garantire che i livelli essenziali siano garantiti dal sistema pubblico in tempi e in luoghi accettabili.