Autonomia in sanità? Ma in che senso, e perché?
Il dibattito sull'autonomia differenziata, e in particolare in relazione alla sanità, è ormai entrato nella fase decisiva in quanto l'iter della proposta di Calderoli (PDF) è stata approvata dal governo e presentata alla conferenza delle Regioni.
Molta parte del dibattito purtroppo si riduce semplicemente a uno scontro politico da parte sia della maggioranza sia dell'opposizione, e anche al loro interno, e spesso si intravvede più una difesa aprioristica dell'unità nazionale o della propria identità regionale che non una analisi serena dei vantaggi e dei pericoli che questa riforma potrebbe introdurre.
Credo sia opportuno articolare la proposta sul piano dei diritti civili, delle risorse impiegabili, delle norme regolatorie, degli aspetti di gestione.
I DIRITTI in sanità
Qual è il territorio all'interno della quale si ritiene debbano esserci uguali diritti civili relativi alla sanità? È difficile non rispondere che l'area dovrebbe essere il mondo intero: il diritto alla vita, il diritto al proprio stato di salute, il diritto a poter riceve l'assistenza necessaria, ecc. sono certamente diritti che non dovrebbero differenziarsi tra tutti gli esseri umani. Ma sicuramente buona parte di questi diritti non vengono riconosciuti se non ai cittadini di alcuni stati. E allora qual è l'ambito entro il quale dovrebbero almeno essere riconosciuti uguali diritti sia nella loro forma sia nella loro sostanza e intensità?
I diritti civili necessariamente sono riconosciuti nell'ambito di una sovranità: se un tempo era il sovrano che riconosceva i diritti, oggi, almeno in occidente, sono le democrazie sovrane che riconoscono i diritti enunciandoli innanzitutto nelle loro carte costituzionali, e poi declinandoli nelle diverse loro normative.
Ci sono stati federali o confederali (come, ad esempio, gli Stati Uniti o la Svizzera) dove possono anche non coesistere uguali diritti tra tutti gli stati che ne fanno parte. Si pensi solo ad esempio alla presenza della pena di morte che non è più in vigore in 22 degli Stati Uniti, mentre lo è negli altri 28 anche se, tra questi, 13 hanno introdotta attualmente una moratoria, e quindi sono 15 gli Stati Uniti in cui vengono eseguite sentenze capitali.
Come riteniamo incredibile che possa esserci tale disomogeneità su un diritto alla vita negli USA, altrettanto potremmo ritenere che nell'ambito dell'Unione Europea non ci dovrebbe essere disparità di diritti relativi alla salute, ma la sovranità non è della UE, ma degli Stati che la compongono e quindi una parità dei diritti potrebbe essere decisa solo con l'adesione di ciascuno Stato sovrano. Se è lo Stato sovrano che riconosce i diritti, sembra logico che questi non dovrebbero differenziarsi almeno al suo interno.
Ma come vengono definiti questi diritti? Non è infatti sufficiente una dichiarazione sommaria, ma occorrerebbe che venissero dettagliati operativamente. Nella definizione, ad esempio, dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) non vengono infatti definiti dei diritti, ma semplicemente le prestazioni che possono essere erogate per soddisfare i bisogni. Ad esempio, non si può dire che "si abbia diritto ad avere una TAC" ma solo che la TAC può essere prescritte se il medico ritiene che sia necessaria per il paziente. Non si ha cioè "diritto a consumare" bensì si dovrebbe aver "diritto a essere curati”, ma è pressoché impossibile articolare le modalità, i tempi, le condizioni, ecc. delle cure.
E allora chi definisce i diritti deve assumersi il compito di fornire le risorse necessarie per soddisfarli nonché predisporre tutto ciò che è necessario perché lo siano, non farlo equivale a negare i diritti che a parole si sono affermati.
Se autonomia differenziata volesse dire differenziazione dei diritti all'interno dello Stato, ciò significherebbe abbandono di una parte della sovranità da parte dello Stato e dovrebbe sicuramente essere contrastata. Altra cosa è invece se non si differenziano i diritti, ma solo alcune delle modalità per garantirli, cioè i modelli organizzativi e gestionali.
LE RISORSE in sanità
Non può però esserci uguaglianza di diritti se non vi è uguaglianza di risorse disponibili per soddisfarli. L'autonomia in sanità non può comportare differenti attribuzioni di risorse attuata sia con un riparto delle risorse centrali non equo nei criteri, sia lasciando localmente la disponibilità dei tributi locali. Un problema complesso riguarda le questioni di efficienza in quanto a uguali quote di risorse spesso non corrispondono uguali capacità di rispondere alle necessita assistenziali. Taluni vorrebbero allora che il criterio fosse quello di massimizzare l'efficienza e quindi di assegnare le risorse proporzionalmente alla capacità di trasformarle in assistenza; in tal caso ahimè le popolazioni assistite in condizioni di minor efficienza avrebbero ancor meno risorse e quindi ancor meno capacità di assistenza.
Le risorse quindi anche in condizioni di autonomia differenziata devono essere assolutamente ripartite a livello centrale e proporzionalmente ai bisogni delle aree ed eventualmente considerando anche i costi differenti dei processi assistenziali: non si può certo valutare ugualmente le risorse necessarie per il riscaldamento delle strutture sanitarie a Livigno e a Lampedusa!
Pensare che le risorse pubbliche debbano rimanere dove sono prodotte potrebbe comportare delle situazioni di assurde disequità; è come se in famiglia potesse mangiare solo chi porta lo stipendio. Un conto diverso è invece considerare le diverse giuste esigenze dei componenti: ma chi decide quali sono? Lo decide chi ha il "potere" di farlo e allora si ritorna a ragionare in termini di titolarità della sovranità.
I MODELLI assistenziali
Una discussione da tempo in corso riguarda la necessità di avere modelli assistenziali uguali tra le Regioni o la possibilità di differenziarli a seconda delle necessità o delle specificità sistemiche locali. Vi devono essere modalità erogative e organizzative uguali in tutto il paese o le singole comunità possono scegliere anche modalità differenti? La risposta a questo problema è complessa, ma si devono comunque escludere differenze di modelli assistenziali che comportano differenza consistenti di diritti. Non sembra invece che possano sempre essere del tutto negative le scelte di alternative differenti cui corrisponda però uguale efficacia. Talvolta le differenze sono indispensabili come, ad esempio, i modelli di organizzazione dei servizi tra aree urbane ed aree rurali o montane; talaltra le differenze possono essere dovute a situazioni economiche come la presenza di imprenditori sanitari privati che possono convenzionarsi con il servizio sanitario pubblico. Talvolta, ancora, le differenze sono solo legate a condizioni storiche o culturali che spesso è bene che vengano rispettate.
Le diversità di modelli organizzativi e assistenziale dovrebbe però avere una valutazione del Governo centrale che stabilisca, in fase sia di progettazione sia di implementazione, se i diversi modelli mantengano la parità di diritti e di soddisfazione dei bisogni. Se ad esempio in una Regione si pensasse di passare a un modello di sanità assicurativa e/o mutualistica, questa azione modificherebbe sostanzialmente i diritti e quindi dovrebbe assolutamente essere vietata.
Sicuramente l'autonomia potrebbe comportare il pericolo di trasformazioni del modello di sanità portando alcune Regioni ad abbandonare non solo alcuni aspetti organizzativi, ma anche i principi istitutivi del Servizio Sanitario Nazionale come definiti dalla legge 833. Ma questo pericolo potrebbe rovesciarsi qualora fosse invece il Governo Centrale che volesse privatizzare la sanità mentre alcune Regioni cercassero, in virtù dell'autonomia, di mantenere l'attuale impostazione. In entrambi i casi se il cambiamento del modello grazie all'autonomia cercasse di modificare i diritti unitariamente definiti, anche paradossalmente migliorandoli, sarebbe comunque un’operazione da contrastare.
Quindi l'autonomia differenziata non deve poter condurre a introdurre modelli che creino disparità di diritti o a priori disparità di capacità di soddisfare i bisogni della popolazione, e quindi lo Stato deve mantenere assolutamente la capacità di intervenire per correggere eventuali situazioni che potrebbero crearsi.
Le responsabilità della GESTIONE
Ci si deve chiedere inoltre quale sia l'ampiezza ottimale di una struttura gestionale locale del Servizio Sanitario Pubblico considerando anche che i problemi gestionali sono sempre anche associati ai problemi di responsabilizzazione amministrativa.
Un esasperato centralismo amministrativo gestionale non può certo dare buoni risultati, ma la decisione è se procedere per decentramento amministrativo e per creazione di autonomie gestionali.
La soluzione non può che essere nel cercare l'equilibrio tra l'ampiezza ottimale ai fini gestionali del servizio sanitario locale e i rischi di unitarietà del sistema sanitario. Ci si dovrebbe anche chiedere se sia efficiente una disparità di ampiezza dei sistemi regionali come quello della Lombardia e della Valle d'Aosta. In ogni caso l'aspetto gestionale è quello che maggiormente può trovare vantaggi dall'autonomia.
Anche in questo caso il Governo Centrale dovrebbe conservare la capacità di intervenire nelle situazioni deficitarie della gestione sanitaria, deficitarie sia se nell'efficienza sia se nell'efficacia dell'assistenza.
Non si può certo dire che l'attuale sistema di governo stia dimostrando la capacità di mantenere uguale efficienza e uguale efficacia tra le aree del Paese. Non è però detto che l'autonomia differenziata possa invece realizzare minori differenze, ed è forse più probabile che invece ne crei delle maggiori. Ciò comporta la necessità che rimanga allo Stato il compito di valutare e contrastare le disuguaglianze.
Quindi, in conclusione?
Innanzitutto, si dovrebbe ripulire il dibattito da preconcetti partitici: l'autonomia non è necessariamente una bandiera della destra o della sinistra! E infatti mentre il richiamo al centralismo è sempre stata una battaglia della destra, proprio oggi è la destra a volere le autonomie differenziali. Non si può peraltro scordare che il dibattito era sorto tempo addietro come desiderio di una forma quasi di secessione a cui la sinistra aveva risposto modificando la costituzione nella speranza di tamponare queste istanze separatiste. Peraltro, la richiesta di autonomia è stata avanzata da Regioni sia di destra sia di sinistra.
Occorre forse ricordare che i valori importanti sono giustizia ed equità, e non sempre vengono garantiti da una uguaglianza formale. Equità è avere gli stessi diritti e poter avere uguale soddisfazione rispetto ai propri bisogni. E non è detto che non ci possano essere modi diversi per ottenere soddisfazioni uguali mentre invece modi uguali non è detto che non possano talvolta produrre soddisfazioni diverse!
In Italia non ci sono certo istanze separatiste come in molti stati europei, quelle ad esempio che hanno comportato la fine della repubblica della Jugoslavia, ma anche quelle che sorgono in Catalogna, nei paesi Baschi, in Corsica, In Irlanda, ecc. Tutte queste istanze tendono a disgregare l'unità delle Nazioni e quindi nulla hanno, o dovrebbero avere, a che fare con la questione delle autonomie. Se la richiesta di autonomia fosse un modo per rendere più facile la strada delle secessioni, certamente sarebbe una richiesta da bloccare con fermezza. Ma perché non succeda deve essere del tutto chiaro che la sovranità appartiene interamente allo Stato che può delegarla, ma non può abbandonarla.
Invece sarebbe necessario studiare modalità efficaci perché le autonomie portassero a maggiori responsabilità e maggiori efficienze nel servizio sanitario, ma questo può avvenire solo in presenza di un governo centrale forte e capace di intervenire se necessario per correggere situazioni che non garantiscano effettive parità di risposta ai bisogni della popolazione.
Il problema allora non è tanto se autonomie sì o no, ma quale tipologia di autonomie, quali regole e quali rapporti tra centro e periferia. In ogni caso la sovranità è e deve rimanere unica e centrale ed è da evitare assolutamente il suo spacchettamento che porterebbe a situazioni certamente di disparità di diritti ben superiore a quelli di una autonomia differenziata ma ben controllata.
E soprattutto l'autonomia differenziata non dovrebbe comportare difficoltà o addirittura arretramenti per le Regioni già oggi in difficoltà, ma anche non dovrebbe consentire un miglioramento della sanità solo nelle Regioni più capaci di ottenerlo. In ogni caso sarà indispensabile rafforzare un sistema valutativo che sappia misurare efficacia, efficienza, gradimento, attraverso dati ed indicatori accessibili a tutti i cittadini che dovrebbero essere messi in grado di esser capaci di giudicare i governi locali della sanità.
Insomma non è tanto se autonomia sì o autonomia no, bensì quale autonomia e soprattutto quale autonomia in quale assetto centrale dello Stato. Il vero pericolo è quello di una autonomia rilasciata a Regioni "forti" in presenza di uno Stato "debole" che non sappia farsi carico dei problemi delle Regioni meno forti. Ma si deve contrastare anche la tendenza a preferire la critica delle attività centrali che permette di non evidenziare le responsabilità delle cattive gestioni locali.
Per capire comunque come si svolgerà l'introduzione dell'autonomia differenziata sarà indispensabile attivare un sistema informativo capace di descriverne esaustivamente i risultati. E se questi saranno negativi si dovrà esser capaci di correggere la criticità o addirittura di ridurre l'autonomia almeno per alcuni dei settori per i quali è stata introdotta.