Attualità
18/01/2024

Uno screening per tuttә. Come rendere i programmi di screening più inclusivi

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Attualmente gli screening organizzati di popolazione per i tumori della mammella, della cervice uterina e del colon-retto offrono un percorso di prevenzione oncologica secondaria a tutte le persone nella fascia d’età considerata a rischio per queste patologie. Le persone vengono prese in carico e seguite lungo tutto il percorso, che va dall'invito all’esecuzione del test, all’eventuale richiamo per approfondimenti diagnostici, fino al trattamento e al follow-up ove necessari. Il percorso è completamente gratuito ed è monitorato continuamente in tutte le sue fasi. È stato dimostrato che l’accesso allo screening organizzato riduce le diseguaglianze sociali in termini di salute nella popolazione partecipante.1-2 Sulla carta, tutte le persone che risiedono in un determinato territorio hanno le stesse possibilità di accesso al programma di screening di competenza, ma nella realtà questo non avviene. In particolare, esistono alcune fasce di popolazione difficilmente raggiungibili dai programmi di screening. Di chi parliamo? Perché succede questo? Cosa possiamo fare per ridurre le disuguaglianze di accesso a una prestazione garantita da un Livello Essenziale di Assistenza (LEA)? Il Centro di Riferimento per l’Epidemiologia e la Prevenzione Oncologica in Piemonte (CPO) ha organizzato a Torino una giornata di studio nell’ambito del Programma Regionale di Prevenzione (PRP) per tentare di rispondere a queste domande, allo scopo di creare un’occasione di confronto e costruire collaborazioni tra organizzazioni del settore sociosanitario e associazioni di cittadini e pazienti impegnate nell’assistenza di soggetti fragili. I sottogruppi di popolazione difficilmente raggiungibili dallo screening sono molteplici: le persone immigrate e migranti, le persone transgender, la popolazione carceraria, le popolazioni nomadi, gli individui con disabilità, le persone con malattie mentali, quelli che vivono in zone isolate o remote e non hanno facilità di accesso ai servizi sul territorio, solo per citarne alcuni. Nel momento di confronto avuto a Torino sono state approfondite le riflessioni sulle popolazioni migranti e immigrate, sulla popolazione carceraria e sulle persone transgender.

Le persone immigrate e migranti rappresentano una quota rilevante della popolazione potenzialmente interessata dallo screening (8-12 %, a seconda della fascia di età della popolazione bersaglio). Questo gruppo comprende sia le persone con permesso di soggiorno (stranieri regolari), quindi visibili nelle anagrafi sanitarie e considerabili a pieno titolo nella popolazione obiettivo degli screening, sia persone senza permesso di soggiorno (Stranieri Temporaneamente Presenti – STP), che non rientrano negli elenchi anagrafici degli screening. Il primo gruppo, pur ricevendo regolarmente l’invito agli esami di prevenzione, presenta livelli di partecipazione inferiori a causa di barriere linguistiche, culturali e religiose, che spesso limitano la completa comprensione delle informazioni relative all’esame proposto e delle indicazioni per eseguire l’esame stesso. A queste difficoltà si aggiunge un’altra criticità per gli stranieri regolari, ovvero il frequente cambio di indirizzi di domicilio, che rende più difficile la consegna della lettera di invito. Per gli STP, l’unica possibilità di contatto richiede una collaborazione ad hoc con le associazioni che lavorano nel settore. In entrambi questi contesti, la presenza di mediatori culturali informati e sensibilizzati sul tema, nonché di interpreti e di materiali informativi tradotti in diverse lingue, è fondamentale per agevolare l’accesso delle persone immigrate e migranti ai programmi di prevenzione. I luoghi delle associazioni che lavorano con gli stranieri, proprio perché conosciuti e vissuti come ‘luoghi amici’, rappresentano un posto ideale per contattare queste persone e iniziare un percorso di informazione e sensibilizzazione. Per esempio, il programma di screening piemontese Prevenzione Serena collabora con le associazioni “SERMIG - Arsenale della Pace” e “Camminare Insieme” per raggiungere gli STP che, dopo il primo accesso al percorso di screening effettuato tramite questi enti che operano sul campo, rientrano a tutti gli effetti nel percorso di prevenzione secondaria. Questa collaborazione sul territorio di Torino tra istituzione sanitaria e associazioni di volontariato del terzo settore rappresenta un modello virtuoso che ha coinvolto nei programmi di screening non solo molti STP, ma anche stranieri regolarmente iscritti all’anagrafe sanitaria regionale che hanno preferito accedere all’esame di screening attraverso l’associazione di volontariato. L’esportazione di un modello organizzativo di questo tipo in altri contesti territoriali regionali, o forse anche nazionali, potrebbe favorire un’adesione maggiore della popolazione immigrata e migrante agli esami di screening. 

La popolazione carceraria è un altro gruppo spesso non raggiunto dai programmi di prevenzione secondaria. Ogni anno, nelle carceri italiane transitano oltre 100mila persone, alle quali deve essere costituzionalmente garantito il diritto alla salute. Risale al 2008 il trasferimento della competenza sulla tutela della salute dei detenuti dal Ministero della Giustizia al Ministero della Salute e ai Servizi sanitari regionali. La grande carenza di personale sanitario rende però questo obiettivo molto difficile da perseguire. Ad oggi, non sono molte le regioni italiane dove siano state avviate campagne di screening all’interno delle carceri. Esistono però realtà locali dove si sperimentano modelli organizzativi per affrontare questa iniquità di salute. Un esempio che merita menzione è quello della casa circondariale Pagliarelli di Palermo, dove nel 2022 grazie all’iniziativa dei medici di continuità assistenziale della struttura, è stato avviato un progetto per l’estensione ai detenuti e alle detenute di un’offerta per lo screening colorettale.Al Pagliarelli è stato necessario implementare un modello organizzativo ad hoc che ha coinvolto medici, infermieri e operatori sociosanitari. È stato distribuito del materiale informativo e sono stati organizzati incontri in piccoli gruppi (per motivi di sicurezza), o addirittura incontri individuali, al fine di coinvolgere quanto più possibile la popolazione carceraria in questa iniziativa. Questo approccio ha costituito un punto di forza della campagna di screening in carcere: infatti il messaggio che anche detenute e detenuti ricevessero la stessa opportunità di salute offerta alla popolazione generale è stata una strategia comunicativa vincente. Il progetto ha avuto successo e, nel 2022, su una popolazione carceraria di oltre 450 persone hanno aderito allo screening del tumore del colon-retto circa 300 detenutÉ™, raggiungendo un tasso di partecipazione di circa il 65%, ben più alto di quello della popolazione generale. Una delle barriere più rilevanti emerse da questa esperienza è stata la diffidenza iniziale delle persone coinvolte nell’iniziativa. Per superarla si è cercato di sfruttare la collaborazione di chi aveva già deciso di aderire allo screening al fine di raggiungere i più scettici e meno propensi, vista la tendenza molto diffusa in questo contesto di influenzarsi reciprocamente. Altro aspetto critico che si è dovuto affrontare è stato il forte turn-over all’interno della struttura carceraria (es: scarcerazioni e trasferimenti in altre strutture), che non sempre ha consentito di controllare una situazione rapidamente mutevole.

Il terzo grande gruppo al centro dell’incontro torinese è quello delle persone transgender, che spesso incontrano limitazioni e ostacoli all’accesso agli screening oncologici. Da una revisione narrativa pubblicata nel 2023 emerge che rispetto alle donne cisgender, gli uomini transgender aderiscono meno ai programmi di screening per il carcinoma della cervice uterina, così come donne e uomini transgender aderiscono di meno a quelli per il carcinoma della mammella.4 Le principali cause di questa ridotta partecipazione vanno ricercate principalmente negli ambienti in cui vengono offerti i servizi di prevenzione o le prestazioni sanitarie. Secondo una survey italiana, il 32% delle persone transgender ha subito un episodio di discriminazione o disparità di trattamento da parte di professionisti sanitari. Questo avviene più frequentemente nelle persone vulnerabili, come per esempio persone positive al virus dell’HIV o in trattamento attivo con terapia ormonale.5 Gli episodi di discriminazione delle persone transgender in questi contesti alimentano la mancanza di fiducia nei servizi sanitari in una popolazione già gravata dall'esclusione sociale. Un altro elemento emerso dall’indagine è l’insufficiente preparazione che gli operatori sanitari ritengono di avere nel gestire questo tipo di popolazioni. Solo il 19% dei professionisti pensa di avere le competenze necessarie, il 72% vorrebbe ricevere un training specifico sul tema e il 58% ritiene che tale argomento debba rientrare nei percorsi formativi universitari.5 Oltre agli episodi di discriminazione e alla formazione inadeguata del personale sanitario, un’altra barriera di accesso allo screening per le persone transgender è rappresentata dalla mancanza di un collegamento tra le banche dati dello screening con quelle in cui si trovano informazioni sull’intervento di riattribuzione del sesso. Ciò comporta, in alcune specifiche situazioni, un’esclusione automatica delle persone transgender dalla popolazione obiettivo dello screening. Un uomo transgender (con riattribuzione del sesso da femmina a maschio) che cambia sesso all’anagrafe, scompare dalla popolazione obiettivo per lo screening della cervice uterina, nonostante dopo l’intervento di riassegnazione del sesso rimanga una parte della cervice. Pertanto, queste persone dovrebbero poter continuare a essere incluse nel programma di screening per il cancro della cervice uterina, cosa che di fatto non avviene. Le donne transgender (riattribuzione del sesso da maschio a femmina), che si sottopongono all’intervento chirurgico per la riassegnazione del sesso difficilmente fanno una prostatectomia. Se la nuova attribuzione del sesso è anche aggiornata anagraficamente, queste donne sono escluse da qualunque intervento preventivo per il tumore prostatico. Sebbene attualmente non sia ancora prevista l’implementazione dello screening per il tumore della prostata, sono in corso in alcune realtà regionali studi pilota per valutarne l’efficacia ed è probabile che nel prossimo futuro la sua estensione venga ampliata. Le donne transgender (riattribuzione del sesso da maschio a femmina) che hanno avviato il percorso di transizione attraverso una terapia ormonale di affermazione di genere (GAHT - Gender Affirming Hormone Therapy), senza effettuare la riassegnazione di genere all'anagrafe, rappresentano un ulteriore gruppo di persone che possono sfuggire agli screening. In queste donne, il rischio di sviluppare un tumore mammario è sicuramente più alto rispetto agli uomini cis-gender,6 ma l’accesso allo screening mammografico è vincolato al cambio di sesso all’anagrafe, quindi non possibile. In generale, per la popolazione transgender, l’approccio dovrebbe superare lo schema che considera il sesso alla nascita come variabile chiave dell’algoritmo di selezione della popolazione da invitare allo screening. Una valutazione delle strutture anatomiche presenti e un’anamnesi farmacologica-ormonale potrebbero diventare gli elementi chiave per identificare in modo corretto le popolazioni bersaglio, rispettando la regola aurea “se lo hai, controllalo” (“if you have it, check it”). Gli attuali programmi dello screening organizzato non sono in grado di intercettare i casi sopra descritti per diversi motivi, tra cui la mancata interazione tra le diverse fonti dati. Questo è un problema urgente da affrontare, considerando i complessi aspetti della bioetica e della privacy. La giornata di studio organizzata dal CPO Piemonte è stata una preziosa occasione per avviare una discussione sulle disuguaglianze di accesso di alcuni gruppi di popolazione a un servizio di prevenzione che rientra tra i LEA, che quindi per definizione deve essere garantito a tuttÉ™. 

Proposte e progetti

Per ciascuno dei tre sottogruppi di cui siamo riusciti a parlare, sono emerse specifiche barriere di accesso allo screening e per ognuno di essi sono state presentate proposte e progetti per superare tali barriere. L'organizzazione dell'evento non ha avuto la pretesa di trattare tutte le questioni aperte, ma ha voluto porre l’accento su alcune criticità del sistema che non possono più essere ignorate e proporre alcune strategie di correzione. Alcuni obiettivi a breve termine sono già chiari fin da ora: la formazione del personale sanitario, la creazione di ambienti accoglienti rispetto all'identità di genere e più accessibili agli stranieri, e il cambiamento delle strategie di comunicazione per essere più inclusivi, rispettosi e attenti alle esigenze delle minoranze. Inoltre, è fondamentale ampliare le sinergie tra le varie istituzioni, tra il sistema pubblico e il terzo settore, tra il personale sanitario e le associazioni di cittadini e pazienti. A medio e a lungo termine, sarà necessario affrontare le più complesse questioni di bioetica e privacy al fine di procedere con il collegamento di diverse banche dati. La strada da percorrere è ancora molto lunga, ma dal confronto è emersa anche la forte volontà dei partecipanti alla giornata di studio di collaborare e mettersi in gioco per ottenere un contesto sanitario più inclusivo, senza discriminazioni, in grado di accogliere e prendersi cura di una popolazione che ha molte sfumature, con sottogruppi più fragili e difficili da coinvolgere ma che hanno tutto il diritto di ricevere le stesse attenzioni e cure di chi queste fragilità non le sperimenta.

Conflitti di interesse dichiarati: nessuno.

Bibliografia 

  1. Pacelli B, Carretta E, Spadea T et al. Does breast cancer screening level health inequalities out? A population-based study in an Italian region. Eur J Public Health 2014;24(2):280-5. doi: 10.1093/eurpub/ckt119.
  2. Zengarini N, Ponti A, Tomatis M et al. Absence of socioeconomic inequalities in access to good-quality breast cancer treatment within a population-wide screening programme in Turin (Italy). Eur J Cancer Prev 2016 Nov;25(6):538-46. doi: 10.1097/CEJ.0000000000000211.
  3. Abstract book GISCOR 2023 Convegno nazionale Palermo 5-6 ottobre. https://www.giscor.it/wp-content/uploads/2023/09/Abstract-book-GISCOR-2023.pdf
  4. Leone AG, Trapani D, Schabath MB, et al. Cancer in Transgender and Gender-Diverse Persons: A review. Jama Oncol 2023;9(4):556-63. doi: 10.1001/jamaoncol.2022.7173.
  5. Leone AG, Miceli R, Trapani D, et al. Cancer care in transgender and gender-diverse persons: results from two national surveys among providers and health service users by the Italian Association of Medical Oncology. ESMO Open 2023;8(3):101578. doi: 10.1016/j.esmoop.2023.101578. 
  6. Corso G, Gandini S, D'Ecclesiis O, et al. Risk and incidence of breast cancer in transgender individuals: a systematic review and meta-analysis. Eur J Cancer Prev 2023;32(3):207-14. doi: 10.1097/CEJ.0000000000000784.
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