Attualità
11/08/2018

Trasparenza

L’Environmental Protection Agency (EPA) degli Stati Uniti, a capo della quale è Scott Pruitt, braccio armato di Trump in materia ambientale, ha recentemente presentato per commenti una proposta (Strengthening transparecncy in regulatory science)1 per aumentare la trasparenza dei processi di valutazione delle evidenze da cui derivano regolamenti e standard per il controllo di inquinanti ambientali. Essenzialmente si tratta di rendere «i dati e i modelli» di analisi dei singoli studi «disponibili al pubblico a scopo di validazione». La proposta si ispira al principio, democratico e astratto, del libero accesso alle basi dati; come tutte le proposte tese a tradurlo in pratica, suscita immediatamente la domanda: a quali condizioni?

PRIMO: CONDIZIONI ETICHE E LEGALI. La proposta recita in perfetta ortodossia: «in una maniera consistente con i requisiti statutari per la protezione della “privacy” e della confidenzialità dei partecipanti alla ricerca», ma poi continua «e per la protezione dei dati di proprietà e dell’informazione commerciale [business], e di altri interessi costringenti». Quindi, dati, assunzioni e modelli degli studi epidemiologici devono essere pubblicamente accessibili, mentre quelli degli studi sperimentali confidenziali su molecole prodotte dall’industria se li custodisce lei, e lo stesso vale – presumo – per studi di interesse militare, solitamente considerato come prioritario e costringente.

SECONDO: CONDIZIONI MATERIALI. Su basi di dati pubbliche, chiunque può fare le analisi che ritiene opportune. Ma chi è materialmente in condizioni di farle perché ne ha le risorse, tecniche e finanziarie? Sicuramente una multinazionale interessata agli effetti di un pesticida sulla salute umana è in grado di farle, mentre la popolazione povera di un’area inquinata dal pesticida avrà enormi difficoltà nel riuscirvi.

TERZO: CONDIZIONI OPERATIVE. Alcuni paragrafi del documento danno un’idea di che cosa si debba intendere per “validazione”. Anzitutto, la riproduzione dei risultati degli studi attraverso la rianalisi dei dati usando le stesse procedure, assunzioni, modelli: questi devono, quindi, essere disponibili nella documentazione degli studi non solo in forma esplicita, completa, senza ambiguità (ciò che fa parte di ogni buon protocollo scritto), ma tale che sia consultabile, comprensibile e operabile da qualunque utilizzatore esterno allo studio, e questo va ben al di là del buon protocollo. Implica che tutte le fasi dell’indagine siano pianificate e condotte anche in funzione di questo obbiettivo di consultabilità e utilizzo e richiede tempo e risorse addizionali. Se questo può essere fattibile per studi in atto o futuri condotti in condizioni ottimali, non lo è in larga parte per il passato né per il presente, quando le risorse sono limitate, con la conseguenza che un gran numero di studi su inquinanti dell’ambiente occupazionale e generale possono venire scartati e i loro risultati, quali che siano, ignorati, poiché non “validabili”.

QUARTO: CONDIZIONI SCIENTIFICHE. Ampliando l’ambito della “validazione”, il documento indica la necessità di esplorare un ampio spettro di analisi alternative e sottolinea quelle che possono dimostrare l’esistenza di non linearità nella relazione dose-risposta, con soglia al di sotto della quale gli effetti tossici non si manifestano. L’esistenza di una soglia è uno degli approcci preferiti per negare in pratica il valore dell’hazard identification (come quella che il programma delle monografie dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro fa per i cancerogeni): se anche un composto ha un dimostrato effetto tossico, basta che ci sia una soglia e al di sotto di questa, oplà! Il composto non è più tossico.2 E la moltiplicazione delle analisi di studi osservazionali con una varietà di modelli e di assunzioni, empiriche, meccanicistiche, qualitative e quantitative può quasi sempre produrre almeno un’analisi che non permette di escludere con confidenza l’esistenza di una soglia. Più in generale, la ricchezza delle analisi oggi possibili grazie alla potenza di calcolo disponibile può ugualmente risultare, dipendentemente dalle capacità, interessi, attitudini dei ricercatori e dal contesto scientifico, professionale, tecnico e sociale in cui operano, in un aumento di conoscenza e diminuzione dell’incertezza o, all’opposto, in un incremento di confusione e incertezza.

La proposta dell’EPA può sterilizzare l’utilizzo a fini regolatori degli studi epidemiologici, semplicemente scartandoli in quanto non “validabili” o annegando i risultati in una nebbia di dubbi derivanti dalle molteplici analisi. È significativo che la proposta sia fatta nel nome della trasparenza, termine intrinsecamente equivoco verso il quale ho sempre avuto la massima diffidenza per la banale ragione che il trasparente è tale perché non è in sé visibile, ed è usato proprio per questo: per lasciar vedere, come il vetro della finestra, qualche altra cosa. La proposta dell’EPA fa vedere solo studi perfettamente condotti, documentabili, accessibili per molteplici analisi, dalle più realistiche alle più fantasiose; al tempo stesso, rende trasparenti, cioè invisibili, e quindi inutilizzabili come basi per le decisioni di sanità pubblica, gli imperfetti studi della realtà epidemiologica.

Bibliografia

  1. Federal Register. Strenghtening Transparency in Regulatory Science. Proposed Rules n. 18768-74; 30.04.2018. Disponibile all’indirizzo: https://www.federalregister.gov/documents/2018/04/30/2018-09078/strengthening-transparency-in-regulatory-science
  2. Saracci R. The hazards of hazard identification in environmental epidemiology. Environ Health 2017;16(1):85.
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