Attualità
22/12/2011

Telefonia & Prevenzione

Il grande pregio della trasmissione Report di domenica 27/11 sull’uso dei telefoni mobili è stato il richiamo – di fronte a indizi non trascurabili di rischi di effetti a lungo termine – alla necessità di limitare l’uso dei cellulari e di educare i nostri figli in tal senso. Non è da poco, in un paese dove, in barba alle raccomandazioni del Consiglio d’Europa, è stata lanciata l’operazione ministeriale “Scuole in WiFi” (vd. Epidemiol Prev 2011; (3-4)35: 173). Un altro pregio è stata la presa di distanze rispetto all’imperante scetticismo sulla rilevanza dell’epidemiologia. Milena Gabanelli ha dato il giusto rilievo ai risultati che – come ha affermato l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) – rendono credibile l’esistenza di un rapporto causa-effetto tra radiofrequenze e tumori nella specie umana, anche se distorsioni, confondimento e il ruolo del caso non possono essere ragionevolmente esclusi (è questa la definizione IARC di «evidenza epidemiologica limitata»). Infine, forse per la prima volta in Italia, il servizio di Report ha toccato il tabù degli interessi che stanno dietro agli studi su ambiente e salute.

Sicuramente, il servizio mostrava qualche squilibrio. Ne ho percepiti almeno due. Ho trovato fastidioso il modo in cui sono stati tagliati  i tempi concessi a chi ha l’opinione che i rischi da telefonia mobile siano contenuti o inesistenti (e il servizio ha anche lasciato passare qualche indebita insinuazione sulla loro integrità scientifica). Non rivendico una irrealistica par condicio. Penso semplicemente che, quando ci sono contrasti scientifici, il non addetto ai lavori – se non lo si vuole plagiare – ha il diritto di conoscerne la sostanza in modo equilibrato. Oltre a una questione di rispetto per le altrui opinioni, ritengo che, quando ci sono contrasti scientifici, capire i passaggi del ragionamento di chi la pensa diversamente da me mi aiuta a rendermi conto di quanto convincenti siano le mie argomentazioni.

Inoltre, Milena Gabanelli ha lasciato l’impressione (a mio avviso erronea) che ogni ricerca finanziata dall’industria sia bacata, anche se condotta nelle istituzioni pubbliche,  anche se controllata da un comitato di garanti indipendenti e anche se resa trasparente di fronte all’opinione pubblica. Vi sono diversi esempi che dimostrano che è vero il contrario, cominciando con molti studi IARC.

Il giornalismo scientifico – in Italia come altrove – tende a concentrarsi quasi esclusivamente sulle meraviglie della ricerca di base. Nelle rare considerazioni di  questioni di salute ambientale, si confonde statistica ed epidemiologia, allarmismo e principio di precauzione. Poco è cambiato dal famoso e provocatorio articolo di Gary Taubes del 1995 «Epidemiology faces its limits» (Science1995; 269(5221:164-169). Il servizio di Milena Gabanelli, pur con qualche sbandamento, oltre che sulle contraddizioni, si è addentrato sulle potenzialità della ricerca in epidemiologia ambientale. Per i cultori della salute pubblica, la strada per intendersi con i non addetti ai lavori sulle sfumature dell’inferenza causale è lunga, ma secondo me il servizio ha segnato un promettente contributo.

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