Attualità
21/11/2014

Sistemi sanitari: pubblico può essere efficiente, oltre che efficace

Premessa: l’interesse privato è un “motore” necessario nell’assistenza sanitaria?

Molto si è scritto su quanto l’austerity imposta dagli organismi economici internazionali sia sbagliata e pericolosa, da un punto di vista strettamente economico e dal punto di vista della salute pubblica. I molti articoli scritti sull’argomento, anche su questa rivista,1 supportano ampiamente questi concetti, analizzando i rischi legati al funzionamento del sistema economico (in termini di mancati stimoli alla crescita),2,3 gli effetti negativi di breve e di lungo periodo sul capitale umano (sviluppo delle potenzialità, formazione)4 e sulle disuguaglianze sociali,5 e i rischi sulla salute.6
Per valutare meglio tutti gli elementi che spingono verso il dimagrimento del welfare e in particolare del carattere pubblico dell’assistenza sanitaria, proviamo qui per un attimo ad analizzare i concetti cardine e i valori su cui in genere si basano le scelte di finanza pubblica “austere” che i sistemi politici ed economici cercano di adottare in risposta alle crisi, estendendoci poi al punto di vista di chi ritiene l’austerity non solo un’opportunità da cogliere in quanto foriera di trasformazioni politiche ed istituzionali altrimenti inattingibili,7 ma addirittura salutare alla morale pubblica perché foriera di una sorta di rinnovamento della società, ripristinando concetti da “etica protestante”.8
L’austerità serve a ridurre il debito pubblico, che genera interessi da pagare e rappresenta un indicatore di scarsa affidabilità dei “sistemi Paese”, scoraggiando gli investitori in generale, provocando la fuga di quelli nazionali e il mancato ingresso del capitale internazionale. Le politiche di rigore sono ritenute necessarie, in quanto rappresentano un’occasione importante per operare i cambiamenti necessari a rendere le economie più competitive, determinando il taglio degli sprechi e una maggiore efficienza, attraverso privatizzazioni che generano competizione, incentivano il merito e stimolano la crescita economica.9,10 Si tratta evidentemente di concetti non nuovi, di stampo liberale, espressi da parole chiave quali efficienza, privatizzazione, competizione, merito, incentivi. L’eventuale sacrificio di parti del welfare sull’altare dei bilanci pubblici è ritenuto necessario e ne viene proposta una rivisitazione attraverso una maggiore selettività su chi beneficia delle prestazioni e attraverso il trasferimento alla gestione di strutture private che operino su base competitiva. Per quanto riguarda la sanità, secondo questa vulgata la competizione fra privati non può che portare maggior efficienza, qualità e riduzione dei costi, permettendo anche a chi lo volesse di ottenere (pagando) servizi migliori.11 Sono in molti ad accettare questo tipo di ragionamento, anche quando viene proposto nei programmi elettorali: «Visto che con le tasse pago comunque per le cure, preferisco avere una più ampia possibilità di scelta su dove farmi curare».
Premesso che l’assistenza sanitaria rivolta senza distinzioni a tutta la popolazione può considerarsi in assoluto un valore e un segno di civiltà, e che è necessario ragionare su come estendere il più possibile il numero e la qualità delle prestazioni di riconosciuta efficacia alle quali tutti dovrebbero poter accedere, sarebbe utile come punto di partenza non negare a priori un qualche fondamento teorico all’idea che l’interesse e la motivazione possano essere utili per la creazione di servizi per la collettività. È necessario, però, cercare riscontri nella pratica e fare un’analisi più approfondita che consideri i contesti di applicazione. Limitandoci all’analisi dei sistemi sanitari, l’interesse privato è davvero e sempre un motore che genera qualità ed efficienza? E un sistema anche solo in parte “privatizzato” assicurerebbe in modo adeguato il diritto costituzionale alla salute (art. 32) e sarebbe compatibile con il dovere costituzionale della solidarietà (art. 2)? Esiste davvero contrapposizione tra sistemi sanitari nazionali pubblici da una parte e efficacia ed efficienza dall’altra?

Se i privati gestiscono i fondi per l’assistenza sanitaria: esempi buoni e cattivi

I riscontri disponibili ci possono aiutare a valutare meglio l’impatto della competizione e della privatizzazione nel campo della sanità. Tra i cosiddetti Paesi sviluppati il caso degli Stati Uniti è eclatante, oltre che ben noto, ma non si può fare a meno di citare qualche dato al riguardo: in questo Paese, dove la gestione dei fondi sanitari da parte dei privati è notoriamente consistente (anche se circa la metà dell’assistenza è comunque realizzata attraverso programmi pubblici di assicurazione sociale e di assistenza rivolti rispettivamente a ultra 65enni e indigenti), nel 2011 la spesa sanitaria rappresentava il 17,7% del prodotto interno lordo, il dato più elevato tra i Paesi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE). Per avere un termine di paragone, la nazione al secondo posto (l’Olanda) risultava molto ben distanziata, con l'11,9%. L'Italia, con il 9,2%, era nel 2011 appena sotto la media OCSE (9,3%).12
Ciò che fa riflettere sul caso degli Stati Uniti è soprattutto che, nonostante una spesa così elevata, nel 2011 il 16% della popolazione non avesse una copertura assicurativa,13 che non è obbligatoria, fra cui alcune fasce particolarmente esposte, quali le persone che nessuno vuole assicurare per via di uno stato di salute a rischio e i disoccupati (sono comunque compresi anche giovani adulti in buona salute che decidono di non pagare premi assicurativi, situazione che viene definita con il termine “azzardo morale”). Senza contare poi che a una spesa così elevata non corrispondono indicatori di salute particolarmente favorevoli: sempre nel 2011 l'aspettativa di vita negli Stati Uniti era di 78,7 anni e la mortalità infantile (sotto 1 anno di età) del 6,1‰, mentre le medie OCSE erano rispettivamente di 80,1 anni e del 4,1‰, e quelle italiane di 82,7 anni e del 3,4‰.12 Il caso degli Stati Uniti ha caratteristiche che possono essere considerate uniche e ovviamente gli indicatori di salute non sono influenzati solo dall’impostazione dell’assistenza sanitaria, quanto soprattutto dal contesto socio-politico-economico.14 Tuttavia, questo esempio non può essere ignorato nell’affrontare il tema della privatizzazione dell’assistenza sanitaria. Sarà interessante valutare se la riforma recentemente approvata del presidente Obama per espandere l’assistenza sanitaria determinerà sostanziali variazioni nella spesa e negli indicatori sanitari, e di quanto ridurrà le disuguaglianze di accesso ai servizi.
Come detto, il caso degli Stati Uniti è assai peculiare, per non dire estremo. Un grado più o meno elevato di privatizzazione e di apertura alla competizione nel campo della gestione dei fondi per l’assistenza sanitaria, con mutue caratterizzate da contributi obbligatori attraverso i datori di lavoro o assicurazioni private con contributi volontari, esiste comunque anche in altri Paesi (sul fronte dei fornitori di prestazioni la possibilità di scegliere ambulatori e ospedali privati accreditati esiste anche da noi, anche se il nostro sistema è centrato su servizi sanitari pubblici). Occorre ripetere che gli effetti dell’organizzazione dell’assistenza sanitaria, e specificamente la presenza di assicurazioni e operatori privati in competizione fra loro, vanno valutati nel contesto socio-politico-economico in cui operano.
In generale, il livello delle prestazioni erogate e di soddisfazione dell’utenza (aspetto potenzialmente critico per il nostro SSN) non sembrano essere strettamente legate alla modalità di finanziamento per l’assistenza sanitaria (SSN vs. mutue o assicurazioni volontarie), considerando in particolare il buon livello raggiunto sui relativi indicatori in Paesi con SSN come la Gran Bretagna e la Svezia e, in alcuni casi, nella stessa Italia (vd. tabella). Per quanto riguarda i tempi medi di attesa, purtroppo non sono disponibili dati comparativi su esami e procedure nei diversi Paesi, aspetto che potrebbe vedere l’Italia in svantaggio e con un’eccessiva variabilità territoriale, in particolare per quanto riguarda gli esami ambulatoriali.15

Sul fronte della spesa sanitaria, questa tende a essere più elevata in Paesi dove esiste una presenza forte di mutue o assicurazioni private che competono per fornire un’assistenza sanitaria praticamente universale, tra i quali Germania, Francia, Olanda e Svizzera (vedi tabella). Una recente analisi OCSE conferma questa conclusione, sottolineando che quei Paesi tendono ad avere costi maggiori senza che vi siano vantaggi dal punto di vista degli indicatori di salute della popolazione.16 In particolare, in questi sistemi “competitivi” i costi amministrativi sono più alti: si pensi alla necessità di definire l’offerta dei “pacchetti”, di proporli sul mercato attraverso attività di marketing e di venderli dopo un’attenta valutazione del livello di rischio degli associati.16,17 La presenza di profitti può, inoltre, incidere sui costi dell’assistenza, quando i gestori dei fondi sanitari sono enti no-profit (eventuali profitti sono reinvestiti), ma soprattutto quando sono for profit. Regole molto stringenti sono necessarie per evitare che i gestori possano selezionare i loro assicurati lasciando da parte quelli con livelli di rischio troppo elevati (come è avvenuto finora in modo eclatante e drammatico negli Stati Uniti), con conseguenze inaccettabili dal punto di vista dell’etica e dell’uguaglianza di accesso. Ma va detto che negli ultimi casi citati queste regole stringenti sono presenti e sembrano funzionare bene: i contributi per l’assistenza sanitaria sono sostanzialmente obbligatori (esiste, cioè, una forte presenza di mutue), così come è obbligatoria l’assistenza indipendentemente dal livello di rischio; esistono reti di sicurezza per i disoccupati; e le disuguaglianze di accesso e di cura non sembrano superiori rispetto ai sistemi nazionali.16

Le caratteristiche del mercato della salute

Al di là dei riscontri empirici sui costi e sugli indicatori di salute, occorre ragionare sugli elementi che caratterizzano il mercato della salute, considerando il valore a essa attribuito, l’impossibilità di definire in autonomia le scelte di consumo (con la necessità di intermediari sia nelle decisioni sia nel pagamento delle prestazioni pagate) e, quindi, di valutare la corrispondenza tra il valore della prestazione e il suo costo. Senza dimenticare che con la presenza di operatori privati nell’assistenza sanitaria sarebbe essenziale la possibilità per tutti di misurarsi “ad armi pari”, di operare in un mercato trasparente e non “inquinato” dalla presenza di grosse concentrazioni di potere e dalla corruzione. Questo è ovviamente importante per tutti i mercati concorrenziali, ma lo è forse a maggior ragione nell’assistenza sanitaria, considerando la rilevanza di questo settore.
In sintesi, tutti questi elementi portano ad affermare che l’apertura ai privati nella gestione dell’assistenza sanitaria non determina necessariamente una maggiore efficienza e qualità: i costi possono facilmente lievitare per ragioni amministrative, per il surplus legato a eventuali profitti e per la willingness to pay che differenzia questo da altri mercati; inoltre, la presenza di un contesto trasparente, condizione necessaria per un mercato efficiente, non è facile da realizzare, soprattutto in Paesi come il nostro che occupa posizioni poco commendevoli nelle classifiche internazionali sulla corruzione (nel 2013 per Trasparency International, l’organizzazione mondiale anticorruzione, siamo al 69° posto, parecchie posizioni dopo Paesi a “minor tradizione democratica” come il Rwanda e il Lesotho, rispettivamente al 49° e al 55° posto).18 In queste condizioni i possibili benefici della competizione fra privati (come detto, maggiore efficienza e migliore qualità) hanno maggiori difficoltà a dispiegarsi.

In un SSN possono esistere qualità ed efficienza?

Ma i concetti di efficienza ed efficacia non appartengono solo al mondo della competizione fra privati. Un sistema sanitario nazionale può essere efficiente ed efficace? Certamente. Non dobbiamo approfondire più di tanto il concetto che le decisioni di politica sanitaria e cliniche possono grandemente giovarsi della valutazione delle prove di efficacia e sicurezza19 che, pur basandosi solo sulle informazioni disponibili (molte informazioni si perdono per la mancata pubblicazione di ricerche con risultati negativi e/o non utili a chi le finanzia),20 rappresenta il sistema migliore per selezionare le pratiche e gli interventi sanitari efficaci e che, quindi, vanno garantiti a tutti. Inoltre, le gare per l’acquisto di beni e servizi, per esempio dei farmaci, sono un sistema collaudato per selezionare in modo efficiente, tra i prodotti che garantiscono il miglior rapporto tra efficacia e sicurezza, quelli a costo più basso, costringendo le ditte a fare offerte vantaggiose che comunque permettono loro di garantirsi un profitto.21,22 In questo senso, lascia molto perplessi il fatto che le gare in equivalenza per l’acquisto dei farmaci in ambito locale (provinciale o regionale) siano state sostanzialmente bloccate in seguito all’articolo 13 bis della Legge sviluppo (221/2012): questa ha assegnato all’Agenzia italiana del farmaco (AIFA) ogni decisione in merito alle equivalenze terapeutiche. Solo quest’anno è stata definita una modalità per le richieste di autorizzazione, ma rimangono le difficoltà operative, poiché l’AIFA si dà 150 giorni di tempo per rispondere a ciascuna richiesta. Un’altra decisione discutibile, questa volta da parte della Commissione bilancio del Senato, è stata di respingere un emendamento della senatrice Annalisa Silvestro alla legge di stabilità che proponeva l’acquisto diretto, tramite gare da parte delle Regioni, di medicinali equivalenti in fascia A da erogare attraverso le farmacie pubbliche e private.
Questi criteri di efficienza ed efficacia possono, quindi, essere adeguatamente promossi da un sistema sanitario nazionale che ha l’obiettivo di massimizzare la salute della popolazione. Potrebbero in teoria essere promossi anche attraverso una maggiore competizione tra operatori privati, ma sarebbe necessario un contesto trasparente e onesto, scevro dall’influenza di centri di interesse e di lobby, non facile da realizzare.
Tornando alle domande poste prima:

Nell’assistenza sanitaria, l’interesse privato è un motore che genera qualità ed efficienza?

Non necessariamente, se si considera che anche in Paesi dove il tasso di corruzione è basso i costi sono più elevati e gli indicatori di salute non mostrano vantaggi (su questi ultimi, il caso estremo degli Stati Uniti mette piuttosto in risalto il contrario, oltre che confermare in modo clamoroso l’aumento dei costi). Gli indicatori di qualità e di soddisfazione dell’utenza (su alcuni dei quali l’Italia certamente non brilla; vd. tabella) non sembrano essere legati alle modalità di finanziamento della sanità, anche se la presenza di mutue o assicurazioni in competizione tra loro potrebbe, in teoria, facilitare una riduzione nei tempi di attesa.

Un sistema anche solo in parte privatizzato assicurerebbe in modo adeguato il diritto costituzionale alla salute e sarebbe compatibile con il valore costituzionale della solidarietà?

Dipende dal contesto sociopolitico e dalle leggi, ma il rischio di accentuare le disuguaglianze di accesso e di cura è concreto e l’universalismo (copertura del 100% della popolazione) può non essere sempre garantito.

Esiste davvero contrapposizione tra sistemi sanitari nazionali da una parte e efficacia ed efficienza dall’altra?

No, efficacia ed efficienza possono essere adeguatamente promossi in un sistema sanitario nazionale, per alcuni aspetti anche meglio rispetto a sistemi privatizzati, considerando le differenze negli obiettivi principali e la difficoltà di operare in condizioni ideali di trasparenza.

Promuovere l’importanza dell’SSN non basta per promuovere la salute

I Sistemi sanitari nazionali rappresentano una parte importante dei sistemi di welfare, perché assicurano l’assistenza sanitaria a tutti e perché possono farlo utilizzando al meglio criteri di efficienza ed efficacia, favorendo le pratiche e gli interventi di riconosciuta efficacia attraverso l’uso trasparente delle migliori conoscenze disponibili e promuovendo la competizione tra i produttori degli interventi stessi. Su questi aspetti, la presenza di mutue o assicurazioni non sembra determinare vantaggi. Inoltre, un buon livello qualitativo dell’assistenza sanitaria e di soddisfazione dell’utenza non sembra essere una prerogativa dei Paesi dove questa è gestita attraverso mutue e assicurazioni, e non è chiaro quanto tali modalità organizzative potrebbero migliorare la qualità assistenziale nel contesto del nostro Paese, mentre sarebbe molto probabile un aumento della spesa sanitaria.
Un aspetto di importanza non secondaria dei Sistemi sanitari nazionali, inoltre, è quello di favorire la riduzione delle disuguaglianze in senso generale, poiché sono finanziati dalla fiscalità generale che ha un carattere progressivo e che favorisce maggiormente la redistribuzione delle risorse all’interno della società, rispetto ai contributi dati alle assicurazioni o mutue che solitamente rappresentano una proporzione fissa dello stipendio.
Le modalità con cui l’assistenza sanitaria è organizzata all’interno di un Paese rappresenta comunque solo un “pezzo” dei sistemi di welfare e dell’organizzazione sociale, da cui nel complesso dipende la salute degli individui e delle popolazioni.23 L’orientamento delle istituzioni sanitarie e di ricerca è piuttosto chiaro nel sostenere l’importanza dei determinanti sociali della salute: il modo in cui è organizzata la società, le politiche sul lavoro, sull’energia, sulla gestione dei rifiuti, sui trasporti, sull’urbanistica, sulla pubblica istruzione hanno un’influenza determinante sul grado di benessere fisico e mentale delle persone.24,25 Questo è il motivo per cui il welfare nel suo complesso va difeso, non soltanto l’SSN che ne rappresenta solo una parte, per quanto importante. Fa riflettere che considerazioni di questo tipo non siano state espresse solo dai recenti rapporti delle commissioni OMS24 e OMS Europa25 sui determinanti sociali della salute, ma anche, negli Stati Uniti (nazione notoriamente poco “welfarista”), in rapporti sponsorizzati dai National Institutes of Health26 e dalla Robert Wood Johnson Foundation.27
L’importanza dell’SSN e dei sistemi di welfare deve essere promossa con maggior forza da tutti quelli che si occupano di salute. Come? Continuando con l’impegno diretto attraverso analisi, ricerche e proposte operative, ma anche con una maggiore attenzione a creare una più ampia consapevolezza su questi temi, uscendo dai circoli professionali e da riviste di settore (con diffusione limitata agli operatori che già sono consapevoli dei problemi affrontati) e conquistando nuovi spazi e audience attraverso i cosiddetti new media e la stampa a più ampia diffusione, non utilizzando slogan ma dati e ragionamento, in modo da avere un grimaldello in più nei confronti dei decisori, anche attraverso l'opinione pubblica, e favorire il loro ascolto.

Conflitti d’interesse dichiarati: nessuno.

Ringraziamenti: L’autore ringrazia Francesco Taroni (Università di Bologna) per la sua disponibilità e i suoi suggerimenti.

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