Attualità
30/03/2022

Screening e COVID-19: cosa fare e come fare di necessità virtù?

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Partiamo dai numeri: dall’inizio dell’epidemia di SARS-CoV-2 fino a metà febbraio 2022, in Italia, sono stati diagnosticati oltre 12 milioni di casi positivi all’infezione con 149.300 decessi.1 La pandemia ha pesantemente influenzato la nostra vita quotidiana e, inevitabilmente, anche l’organizzazione e l’accesso alle procedure sanitarie (di prevenzione e terapia). L’emergenza ha costretto a una completa riorganizzazione a tutti i livelli dei servizi sanitari, imponendo l’attuazione di azioni rapide e rendendo palesi alcune criticità strutturali di sistema. 
A marzo 2020, l’attività degli screening oncologici di mammella, cervice uterina e colon retto è stata sospesa per circa tre mesi su tutto il territorio italiano. Poi l’attività è ripresa. Lentamente.
La lentezza era (è) dovuta alle misure di distanziamento sociale e di contenimento della diffusione, alla necessità di igienizzare i dispositivi sanitari, alla carenza di operatori, spesso ancora dirottati sul fronte del virus. Poi si sono susseguite la seconda, la terza e la quarta ondata. E la lentezza della ripresa è continuata, seppur non uguale in tutte le regioni.
L’Osservatorio nazionale screening (ONS), che, da quando è scoppiata la pandemia di Coronavirus, porta avanti il monitoraggio dei programmi di screening attraverso specifiche indagini che misurano quantitativamente il ritardo accumulato e le capacità di recupero dei programmi in ogni regione, è arrivato alla quarta (per adesso) indagine. Quest’ultima indagine analizza l’andamento dell’attività di screening dal 1° gennaio 2020 al 31 maggio 2021.2 
In modo molto sintetico, ecco il quadro: in questo periodo per i tre programmi di screening abbiamo avuto, rispetto all’attività pre-pandemica del 2019, una riduzione tra il 20% e il 28% degli inviti, una riduzione tra il 28% e il 35% degli esami e tra le 3.500 e 7.700 diagnosi mancate. Se vogliamo esprimere il ritardo in mesi, possiamo dire che si è avuto un ritardo negli inviti tra i 4,8 e i 6 mesi. La situazione è migliorata rispetto all’indagine precedente e questo andamento riflette sia un parziale ritorno alla normalità sia la messa in atto di strategie di recupero efficaci.2 
La variabilità tra i tre programmi di screening è modesta (un po’ peggiore la situazione dello screening della cervice uterina per quello che riguarda inviti, esami e mesi complessivi di ritardo, decisamente doppio il numero di lesioni mancate per lo screening del colon retto rispetto ai due femminili, rappresentato prevalentemente però da adenomi avanzati), ma le differenze tra le 21 Regioni e Province Autonome italiane sono decisamente marcate.2 
Questa eterogeneità non deve stupire, in quanto si iscrive all’interno di un quadro nazionale già in precedenza caratterizzato da una spiccata disomogeneità. Per avere un’idea, è sufficiente fare riferimento all’ultimo rapporto nazionale di attività pre-COVID relativo al 2019, dove, a coperture da invito pressoché ottimali nelle regioni centro-settentrionali per tutti e tre i programmi di screening, si affiancano coperture sensibilmente più basse nelle regioni meridionali (benché il trend fosse in miglioramento rispetto agli anni precedenti).3 Questo gradiente Nord-Sud si mantiene anche sul versante dell’adesione, che passa dal 61% al 40% per lo screening mammografico, dal 43% al 27% per quello cervico-vaginale e dal 49% al 26% per quello del colon retto. Tale disparità persiste anche integrando i dati della Sorveglianza Passi, che prendono in considerazione anche gli esami effettuati al di fuori dei programmi di screening.3 La situazione di partenza risulta quindi localmente differente, anche se ovunque il margine di miglioramento in termini di partecipazione è evidente.
L’emergenza pandemica è deflagrata all’interno di questo scenario, non perfetto, esacerbando le differenze e mettendo a nudo le criticità organizzative e strutturali preesistenti.  

L’impatto della pandemia sull’attività di screening

Da quando è scoppiata la pandemia di Coronavirus e da quando l’attività di screening ne è stata pesantemente toccata, la prima domanda sorta spontanea è stata: quanto impatto avranno queste riduzioni sul futuro quadro epidemiologico di queste neoplasie? Sull’incidenza? Sulla mortalità? Sulla tipologia degli interventi? Quali sono stati i costi sociali e sanitari?
E subito dopo la domanda più operativa: cosa si può fare per ridurre/azzerare questo ritardo? Per recuperare i mancati inviti, i mancati esami, le mancate lesioni?
Al momento, è difficile dare una risposta alla prima domanda se non con stime (come quelle elaborate dall’ONS sulle diagnosi mancate) o con modellizzazioni matematiche.
Un recente studio del gruppo del Dipartimento di salute pubblica dell’Università Erasmus di Rotterdam ha messo in evidenza che, considerando un’interruzione dei servizi di screening di sei mesi e senza un’adeguata strategia di recupero, dobbiamo aspettarci nei prossimi 10 anni un aumento di 2,0, 0,3 e 2,5 morti ogni 100.000 persone per tumore della mammella, della cervice uterina e del colon retto, rispettivamente.4 
Il modello suggerisce che la strategia di ripresa col migliore rapporto costo-efficacia è quella che ritarda lo screening per tutti, ma che incrementa l’età di fine dello screening di tanto tempo quanto è durata l’interruzione per assicurare a tutte le persone lo stesso numero di test di screening durante la loro vita.4 Recuperare immediatamente il ritardo per tutte le persone che avrebbero dovuto essere invitate durante l’interruzione è molto oneroso da un punto di vista organizzativo e di risorse necessarie, quindi poco praticabile, anche se rappresenterebbe la strategia a minor impatto sull’eccesso di mortalità. 
A tutto ciò, si aggiunge il fatto che non tutti i programmi sono stati in grado di ripartire a piena capacità a causa delle già citate misure di sicurezza e carenze di personale. Pertanto, la maggior parte della popolazione avrà un ritardo nello screening superiore all’effettiva durata dell’interruzione. D’altro canto, comprendere il reale impatto della pandemia su programmi di screening che prevedono inviti ripetuti nel corso della vita è complesso; per esempio, un ritardo di alcuni mesi nell’eseguire una mammografia sulle 15 a cui è invitata mediamente una donna nell’arco della sua vita potrebbe avere un effetto limitato. Naturalmente, questo ragionamento è tanto più valido quanto più prontamente sono messe in atto misure correttive adeguate.

Cosa mettere in atto per recuperare?

A meno di avere a disposizione risorse illimitate, le singole misure di recupero, se prese separatamente, non sono di per sé risolutive, ma possono, se attuate in modo sinergico e coordinato, contribuire a ridurre il ritardo che si è creato.
Nella politica degli inviti, molti programmi hanno adottato liste di priorità, ovvero hanno tenuto conto, per la ripresa dello screening, di logiche basate su una disamina scientifica delle varie opzioni. Per esempio, anziché seguire l’ordine delle agende annullate o ritardate, hanno dato la precedenza a chi ha già aderito in passato o a chi potrebbe uscire per limiti di età oppure, come nel caso dello screening della cervice uterina, hanno posticipato l’inizio dei controlli a 30 anni per le donne vaccinate contro l’HPV oppure hanno allungato l’intervallo dopo un test per sangue occulto nelle feci negativo o deintensificato l’offerta per lo screening mammografico nelle donne tra 45-49 e 70-74 anni, viste le attuali raccomandazioni delle Linee guida europee.5
In alcune realtà sono stati adottati approcci diversi rispetto a quelli tradizionali nella metodologia di invito e/o nel tipo di test utilizzato, come il ricorso al self-sampling per lo screening cervicale, che ha comportato la revisione di vari aspetti della logistica e del processo organizzativo.6 
Il self-sampling, oltre a contribuire a mantenere il distanziamento sociale e a ridurre l’impiego di operatori sanitari può essere visto anche come un approccio in grado di migliorare la partecipazione allo screening nelle donne non aderenti, soprattutto nei gruppi di popolazione più fragili.6,7
Una preoccupazione comune a livello internazionale è, infatti, che nel corso della ripresa post-pandemia le ineguaglianze nell’accesso ai servizi sanitari possano riacutizzarsi8,9 e che i gruppi più deboli della popolazione ne paghino il prezzo più elevato. Per scongiurare che ciò accada è indispensabile sperimentare l’introduzione di nuove tecnologie, come il self-sampling, e riallacciare i rapporti con il terzo settore per la definizione di iniziative di sensibilizzazione.  
È importante, però, che questi nuovi approcci, prima di essere adottati, siano attentamente valutati non solamente nei termini di potenzialità di recupero e contenimento del danno, ma anche nei termini di ripercussioni nelle fasi più a valle del processo di screening. Infatti, nonostante l’attività di secondo livello sia stata sempre garantita (seppur tra mille difficoltà) durante l’intero corso della pandemia, un suo incremento indotto da un aumento dell’attività di primo livello rischia di rappresentare un considerevole collo di bottiglia. Vi è quindi una necessità di riorganizzazione anche in questo ambito, esplorando la possibilità di potenziare le capacità esistenti, ottimizzare le aree sottoutilizzate, implementare nuovi investimenti e definire nuovi criteri di priorità per il triage per l’accesso agli esami di secondo livello.
Altro punto cruciale per la ripresa è (sarà) la messa in atto (reale) di un coordinamento adeguato all’interno dei programmi di screening. È, infatti, nel settore interno degli screening oncologici che si può giocare una partita molto importante. Ragionare in un’ottica di condivisione di risorse strumentali e umane, in una logica di rete, anziché in quella della competizione,10 può essere la base su cui ricostruire la nostra ripartenza. Troppo spesso, i tre screening oncologici sono organizzati come compartimenti stagni che non comunicano, utilizzano impianti organizzativi simili ma non identici, risorse strumentali e professionali separate, inconsapevoli del fatto che molte economie di scala potrebbero essere attuate nell’ottica di costruire delle entità più robuste e con maggiore massa critica, quindi impatto sulle decisioni di sanità pubblica e sulle scelte.

La comunicazione durante la pandemia

Durante la pandemia, il problema della comunicazione è emerso come una delle criticità più difficili da gestire sia sull’asse interno (comunicare relativamente alla pandemia) sia sull’asse esterno (comunicare relativamente “all’altra sanità” durante la pandemia). Sul primo versante, si è arrivati addirittura a parlare di infodemia, termine usato dall’OMS per indicare una smisurata «abbondanza di informazioni, alcune accurate e altre no, che rendono difficile per le persone trovare fonti affidabili quando ne hanno bisogno».11
Sul versante esterno, in questo ginepraio di messaggi e informazioni sulla pandemia, gli screening oncologici hanno sofferto, almeno in una primissima fase, del fenomeno opposto, cioè una mancanza di comunicazione lungo la traiettoria che parte dai programmi di screening e va verso la popolazione. È mancata una comunicazione tra le autorità sanitarie e il pubblico, elemento essenziale per garantire che tutte le parti avessero compreso i bisogni, le sfide e i cambiamenti generati da questo scenario COVID-19. La pandemia ci ha trovati impreparati, come molti altri settori sanitari, nel fornire una comunicazione tempestiva e onesta.
In un secondo momento, durante la seconda ondata della pandemia, i media e la stampa scientifica hanno passato lo sconcerto iniziale, cominciato ad attirare l’attenzione anche sulla sanità “altra” e “il caso degli screening oncologici” con il loro arresto/rallentamento a causa dell’emergenza è stato fortemente messo in risalto. Nel 2021, la Union for International Cancer Control (UICC) ha parlato anche di pandemia dentro la pandemia.12
Questo interesse da parte del mondo scientifico e dei media sull’interruzione degli screening ha avuto il grande merito di sensibilizzare i decisori politici, ma anche di far emergere le criticità preesistenti dei modelli comunicativi utilizzati dai programmi di screening.
Il sistema comunicativo degli screening è vecchio, lento, affidato a schemi comunicativi non più attuali. A parziale giustificazione del suo persistere, possiamo evocare la rigidità di talune macchine organizzative, la cronica carenza di personale/risorse e, soprattutto, le maglie strette dell’attuale normativa sulla privacy. Ma è una giustificazione solo parziale. La pandemia di SARS-CoV-2 ci ha insegnato che le cose si possono fare, basta volerlo. 
Anche la paura per il rischio di contagio ha pesato sensibilmente, durante la pandemia, sulla riduzione dell’accesso ai servizi sanitari non di urgenza. Si stima che circa la metà dei pazienti abbia preferito ritardare l’accesso a servizi diagnostici o terapeutici non essenziali.13,14 Pertanto, si rendono necessarie iniziative di sensibilizzazione e di comunicazione a livello di popolazione con l’obiettivo di tornare almeno a livelli di partecipazione pre-pandemia. Il rapporto di fiducia con l’utenza, che a fatica i programmi di screening hanno creato in questi anni, deve essere salvaguardato con tempestività e trasparenza.
È importante sottolineare che qualunque iniziativa di comunicazione venga intrapresa, rimane cruciale adottare un approccio sistematico e incrementare la collaborazione con le associazioni di cittadini e pazienti. 

Coordinamento e collaborazione

Al di là delle azioni che possono essere intraprese nell’ambito degli screening oncologici, riveste un ruolo cruciale anche un coordinamento adeguato oltre a questo settore sanitario specifico. È noto che, dopo un disastro, l’ambiente caotico che spesso ne consegue rende difficile procedere con un regolare coordinamento delle attività di assistenza sanitaria al di là della risposta immediata all’evento. Pertanto, il coordinamento e la collaborazione in tutto il settore sanitario e con altri settori come i media e le autorità governative locali sono fattori importanti per garantire la continuità o il ripristino dei servizi.15,16 Il coordinamento è essenziale per ottimizzare le fonti e riprendere i servizi, rendendoli più resilienti e prepararsi a future interruzioni. Per esempio, nei Paesi Bassi, da quando la risposta all’emergenza COVID-19 ha portato alla riallocazione di molti professionisti dello screening, il ripristino dei servizi di screening ha richiesto un coordinamento con altre aree del sistema sanitario per riportare un numero sufficiente di personale dedicato allo screening e assicurando al tempo stesso la continuità della difesa da COVID-19.15,16 Inoltre, la garanzia di un ambiente sicuro per gli operatori sanitari e il pubblico in generale è fondamentale in questo periodo dove la pandemia, anche se rallentata, continua;15 la messa a disposizione di adeguati dispositivi di protezione personale e ambientale e i triage pre-esame devono continuare a essere garantiti sia per ripristinare la fiducia degli utenti sia per non compromettere la risposta alla pandemia.
Il coordinamento deve essere garantito anche con il sistema delle cure primarie. Tra le lezioni imparate nel corso dell’emergenza COVID-19, vi è stata senza dubbio la necessità di procedere alla riorganizzazione della rete territoriale, messa particolarmente a dura prova soprattutto nelle prime fasi della pandemia.17 Il bisogno di un coordinamento più stretto è emerso anche nell’ambito degli screening. Come si discute ormai da tempo, il ruolo che i medici di medicina generale possono svolgere in questo settore è particolarmente prezioso. Questi professionisti possono, infatti, essere validi alleati per quanto riguarda la partecipazione (al primo e secondo livello), il follow-up dei casi screen-detected e la comunicazione in generale con gli utenti, in particolare durante questa difficile fase di ripresa. Di conseguenza, riprendere i progetti già avviati in tal senso e/o avviarne di nuovi diviene un imperativo. 

Il ruolo della sanità privata

In molti ambiti sanitari, già prima della pandemia, il privato accreditato svolgeva un ruolo rilevante; ruolo che è diventato sempre più evidente durante l’emergenza COVID-19.18 Nell’ambito dello screening oncologico, il possibile apporto del settore privato, anche se non deve essere demonizzato, va considerato molto attentamente. Se da un lato può fornire un valido supporto nella fase della ripartenza per il recupero del ritardo accumulato, dall’altro devono essere garantiti i medesimi protocolli operativi e gli stessi meccanismi di monitoraggio propri degli screening di popolazione. Inoltre, la crescente diffusione del privato in tutti gli ambiti sanitari (acuita dalla pandemia) impone considerazioni più generali su cosa questo possa voler dire per il futuro del Servizio sanitario nazionale, nell’ottica di garantire per tutti il principio universalistico di parità di offerta di tutela sanitaria.    
Tra i tanti articoli scritti su questa pandemia e sugli effetti di questa sulle nostre vite future, ne vorremmo citare uno di Ángel Luis Lara (sceneggiatore e studioso di cinema) apparso all’inizio dell’emergenza su Il Manifesto. Lara, dopo un’analisi dettagliata delle probabili cause che hanno portato alla pandemia, conclude: «Se la clausura ha congelato la normalità delle nostre inerzie e dei nostri automatismi, approfittiamo del tempo sospeso per interrogarci su inerzie e automatismi».19
La pandemia ha fatto emergere la necessità di considerare la ripresa dei servizi di screening oncologico post-COVID come un’opportunità di rinnovamento e trasformazione e non una semplice restaurazione della condizione precedente. In tal senso, le soluzioni innovative implementate e l’impulso di accelerazione dato alla ricerca scientifica in questo periodo rappresentano l’occasione non solo per superare l’arretrato accumulato, ma per raggiungere un miglioramento generale nell’ambito della prevenzione e della cura oncologica. Focalizzare i nostri sforzi nel migliorare le modalità di approccio allo screening rappresenta una delle sfide più pressanti. Utilizzare i sistemi elettronici per la gestione di un invito via SMS, pensare a collegamenti diretti tra centri di screening e CUP, rafforzare le conoscenze e l’utilizzo del fascicolo sanitario per ricevere le risposte del test di screening, mandare promemoria telefonici per ricordare l’appuntamento sono solo alcune delle strategie comunicative che si possono sperimentare al fine di velocizzare e incrementare l’accesso agli screening.

Tutti gli sforzi da mettere in campo nel prossimo futuro andranno fatti con il rinnovato proposito che gli screening oncologici raggiungano i loro obiettivi di salute e che il loro valore come livelli essenziali di assistenza (LEA) diventi non solo una sigla, ma un valore reale in cui credono per primi i nostri decisori politici. Contestualmente, attraverso l’attuazione di investimenti a lungo termine pianificati, predisponiamoci a sperimentare nuove vie, a confrontarci con altri settori sanitari, a rimettere sul tavolo delle discussioni la necessità di identificare delle priorità e a misurare l’impatto del nostro passato sul nostro futuro.

Conflitti di interesse dichiarati: nessuno.

Bibliografia

  1. EpiCentro. Sorveglianza integrata COVID-19: i principali dati nazionali. Disponibile all’indirizzo: https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/sars-cov-2-sorveglianza-dati
  2. Mantellini P, Falini P, Gorini G et al. Rapporto sui ritardi accumulati dai programmi di screening italiani in seguito alla pandemia da Covid 19. Quarto Rapporto al 31 Maggio 2021. Disponibile all’indirizzo: https://www.osservatorionazionalescreening.it/sites/default/files/allegati/Report%20ripartenza%20IV.pdf
  3. Osservatorio Nazionale Screening. Rapporto 2019. Disponibile all’indirizzo: https://www.osservatorionazionalescreening.it/content/rapporto
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  17. Enrichens F. I pilastri di una nuova rete territoriale. La pandemia lo ha reso ancor più evidente: il riordino della sanità deve passare attraverso la riorganizzazione della rete territoriale. Forward. Luglio 2021. Disponibile all’indirizzo: https://forward.recentiprogressi.it/it/rivista/numero-22-prossimita/articoli/i-pilastri-di-una-nuova-rete-territoriale/
  18. Mapelli V. Pubblico e private nella sanità italiana. Pharmacoeconomics – Italian Research Articles 2012;14 Suppl.1:11-20.
  19. Lara AL. Covid-19, non torniamo alla normalità. La normalità è il problema. Il Manifesto, 05.04.2020. Disponibile all’indirizzo: https://ilmanifesto.it/covid-19-non-torniamo-alla-normalita-la-normalita-e-il-problema/
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