Attualità
18/12/2013

Ricercare con cura e pazienza

Nel loro intervento a commento dei dati pubblicati nel Rapporto AIRTUM 2013, Giuseppe Masera e Benedetto Terracini sollevano domande importanti che già il precedente Rapporto (2008) aveva suscitato, inducendo alcuni, soprattutto nella società civile, a parlare di «epidemia di tumori infantili». Uno dei più diffusi settimanali nazionali aveva allora pubblicato un articolo dal titolo SOS Cancro,1 affermando che «c’è la percezione comune, quella che li registra in crescita costante senza riuscire a dare una spiegazione. E ci sono gli specialisti, quelli che cercano di evitare il panico e offrono lunghe dissertazioni tecnico-statistiche per definire quello che sta accadendo. Ma i dati raccolti da L’Espresso non lasciano dubbi sulla realtà: in Italia la crescita dei casi di tumori è a livelli da epidemia». Il tono di queste parole è molto chiaro nella sua ambiguità: gli esperti ci raccontano fumosamente quanto accade anche per fare in modo che noi non capiamo fino in fondo.

Ma la stampa libera restituisce l’informazione completa. Siamo naturalmente grati alla stampa autonoma per il ruolo rilevante che ha ricoperto nelle battaglie civili. Ritengo però che in questo caso non ci sia motivo di pensare a un voluto oscuramento della verità, in particolare da parte degli oncologi pediatri.

Negli ultimi anni alcuni ci hanno accusato di essere troppo tecnici e forse addirittura codardi nel disegnare il «quarto lato del rettangolo di Maccacaro». Sono in debito con Giulio Maccacaro, un ispiratore della mia formazione di “giovane medico democratico”; ma ritengo che questa accusa non sia fondata.

Il rapporto tra ambiente e oncogenesi nell’adulto è ben evidente, con implicazioni sulla prevenzione. La bandiera dei pediatri della mia generazione è stata: «I bambini non sono piccoli adulti». Anche in oncologia, i bambini (per intenderci, la fascia di età 0-14 anni) hanno caratteristiche e comportamenti di malattia francamente diversi da quelli dell’adulto. Gli istotipi nel bambino sono del tutto peculiari, per poi procedere durante l’adolescenza verso un pattern molto più simile a quello dell’adulto.

Parlare di prevenzione dei tumori infantili è qualcosa di molto diverso che parlarne in riferimento agli adulti, addirittura quasi al punto di chiedersi se questo sia un tema su cui davvero possiamo incidere, sulla base di quanto ci è oggi noto.

L’osservazione che il numero complessivo di tumori nel bambino era in ascesa ci ha inquietato, ma anche frustrato, data l’assenza di una spiegazione convincente. Lo studio della leucemia linfoblastica acuta (LLA) ci ha insegnato molte cose. Lo sforzo cooperativo svolto negli ultimi vent’anni dagli oncoematologi pediatri di tutti i Paesi avanzati ha permesso di definire dal punto di vista clinico e molecolare le caratteristiche dei sottotipi di LLA, aprendo le porte a un suo trattamento sempre più razionale ed efficace, ma sempre più volto alla minimizzazione dell’impatto delle cure, specie a lungo termine.

Nel contempo gli elegantissimi studi sui gemelli2,3 hanno permesso di guardare il processo della leucemogenesi in un’ottica completamente diversa, mostrando che alcune alterazioni genetiche, anche relativamente frequenti, fanno da piattaforma costituzionale di rischio per lo sviluppo della leucemia, laddove un secondo evento mutagenico sfavorevole fornisca alla cellula capacità di sopravvivenza/incapacità di morire che le diano un privilegio a cui l’organismo non saprà più opporsi efficacemente.

Le mutazioni colpiscono i geni del nostro organismo in maniera incessante lungo l’arco della nostra vita. Per nostra buona sorte molte di esse saranno neutrali o poco dannose, pertanto ben tollerate; altre, dannose, possono indurre nella cellula l’esposizione di antigeni tali da renderla riconoscibile come non-self, quindi eliminabile dal sistema immunitario. Eccezionalmente le mutazioni possono essere dannose e non rilevabili, portando quindi allo sviluppo di cellule con un vantaggio selettivo di crescita che conduce a un tumore.

Quali fattori possano contribuire allo sviluppo di mutazioni che favoriscono l’oncogenesi, o talora addirittura sufficienti per sé, è argomento che occupa un grande numero di ricercatori in ambito biologico. L’attività umana, specie in ambito chimico-industriale, ha introdotto nel nostro ambiente, più o meno volontariamente, una moltitudine di molecole artificiali. Si pensi alla sintesi di sostanze conservanti che hanno affrancato dalla fame fasce di popolazione permettendo il trasporto degli alimenti a distanza; ma pensiamo anche, come rovescio della stessa medaglia, alla moltitudine di rifiuti chimici generati da processi industriali che hanno entusiasmato la nostra società regalandole il boom economico, che hanno però disseminato il nostro ambiente di nuove molecole dannose (o rivelatesi tali nel tempo), cioè di vecchi “tossici” che si sono accumulati in misura impensabile in passato, tali da rendere il loro smaltimento una sfida sociale. A questi si aggiungono eventi catastrofici che hanno sconvolto l’intero pianeta, come l’incidente di Chernobyl, il cui fall-out non è stato ancora descritto compiutamente.

Non siamo in balia di un’epidemia di tumori infantili

Dopo questo lungo preambolo, vorrei tornare al commento dei dati del Rapporto AIRTUM. A partire dal 1995, è stata registrata una diminuzione significativa della leucemia linfoblastica (Annual Percentage Change - APC: -1,9%); nel periodo più recente (1998-2008) si osserva la diminuzione significativa del complesso dei tumori maligni e delle neoplasie del sistema nervoso centrale, nonché di linfomi e tumori del rene nelle bambine. Il primo dato che ci viene offerto è quindi che fortunatamente la nostra società non è in balia di una «inarrestabile epidemia di tumori infantili», come qualcuno aveva temuto anni fa.

Non vogliamo cedere alla tentazione semplicistica di dire che i tumori diminuiscono. Come oncologo pediatra, per me i tumori pediatrici saranno sempre troppi; ma come ricercatore l’informazione che l’epidemia ingravescente non esiste non può che essere rassicurante, restituendo l’argomento alla dimensione della ricerca paziente, meticolosa e quotidiana.

Ma altri messaggi destano preoccupazione: aumenti annui medi significativi su tutto il periodo sono stati osservati per neuroblastoma (APC: +1,9%), tumori epiteliali e melanoma (APC: +4,1%); tutti tumori di difficile trattamento. Negli adolescenti (15-19 anni) si osserva un aumento significativo per tutte le neoplasie maligne (APC: +2,0%), linfomi (APC: +2,9%) specie di Hodgkin (APC +3,6%), carcinoma della tiroide (APC: +6,1%) e melanoma (APC: +8,1%).

Quali sono le cause di queste tendenze? Si impone una riflessione sull’ambiente. Lungi da noi l’idea di “estraniarci” dalle dinamiche sociali, anche conflittuali, che oggi ci lacerano. Le vicende dell’area di Taranto ci ricordano che lavoro e salute sono due variabili dell’uomo della nostra società che vorremmo non negoziabili (anche se sappiamo che a risorse non infinite l’analisi della sostenibilità diventa un argomento delicato e spinoso, da cui noi tecnici non dovremo esimerci), definite e difese in maniera cristallina dalla nostra Costituzione che qualcuno vorrebbe frettolosamente cancellare, senza averla forse adeguatamente letta e meditata.

Dichiarata quindi la mia appartenenza sociale e politica di medico e ricercatore, e assumendomene i relativi carichi di responsabilità, non vorrei che cedessimo alla lusinga di usare questi dati per sostenere un conflitto sociale che, nobile nei suoi intenti, diventa scientificamente debole qualora volessimo energicamente piegare a questo l’interpretazione dei dati. Non intendo sottrarmi al lavoro incessante di verifica dell’impatto ambientale dei nuovi strumenti di cui l’animale uomo si dota per il proprio benessere, vero o percepito. Le domande incalzanti della società hanno evocato nel tempo studi scientifici sull’impatto di carburanti, condotte elettriche, telefoni cellulari. Questi devono essere condotti in maniera rigorosa e costante, specie quando il disegno implica osservazioni pluriennali, che li rendono meno appealing per la stampa “istantanea” che vuole occuparsi del fenomeno oggi di copertina, ma che i ricercatori sanno bene essere solitamente gli unici che garantiscono numerosità e tempi di osservazione adeguati per offrire risposte a grandi domande insolute dalle osservazioni trasversali.

I campi elettromagnetici hanno rivestito per anni il ruolo dello spauracchio come causa dei tumori infantili del nostro millennio. Studi lunghi e faticosi, oggi giunti anche in Italia all’approdo della pubblicazione dopo circa 20 anni di lavoro, permettono di ridimensionare il tema alle sue giuste e assai limitate dimensioni. In questo senso il gruppo di lavoro dello studio SETIL, patrimonio della collaborazione tra oncoematologi pediatri e oncoepidemiologi italiani, ha scritto una pagina chiara su dati raccolti con minuziosità maniacale che si è spinta fino alla visita domiciliare e alla misurazione dei parametri individuali nella stanza del bambino. Questo studio non evidenzia un ruolo della radioattività e dei campi elettromagnetici.4

Ci troviamo oggi di fronte alla complessità che deriva da una miriade di nuove informazioni generate dall’epidemiologia e dalla genetica. Lo studio delle sempre nuove mutazioni di geni sfida la capacità degli oncologi di valutarne l’impatto nel complesso meccanismo di funzionamento dell’organismo e delle deviazioni che espongono al rischio di tumore.

L’epigenetica, quell’insieme di processi che nell’organismo modificano il funzionamento dei geni codificati nel DNA, con la sua suscettibilità a fattori non solo endogeni ma anche ambientali, offre l’opportunità di valutare un eventuale impatto di fattori inquinanti. Ma non dimentichiamo che i risultati degli eccellenti studi sulla genetica della leucemia infantile, oggi giunti a pochi passi dalla completezza, confermano che il vero ruolo di colpevole è giocato da mutazioni strutturali. Queste sono usualmente somatiche nel clone tumorale, alle quali possono aggiungersi mutazioni germinali, varianti della nostra specie tali da indurre nel soggetto una predisposizione a sviluppare uno o più tipi diversi di tumore.

Il ruolo dell’impatto ambientale su questo contesto non è certo trascurabile nella misura in cui contribuisce a indurre mutazioni nell’organismo che giungerà nel tempo alla soglia critica dello sviluppo di un tumore. Tale meccanismo è meno semplice di quanto piacerebbe alla nostra stampa, e i tecnici epidemiologi, semplificando troppo, possono prestare il fianco a illusioni, alla scoperta della “pistola ambientale fumante”, mentre nella realtà tutto richiede una comprensione maggiore.

Ai ricercatori l’onere di perseguire quotidianamente queste ipotesi, valutandole con la cura e la pazienza indispensabili. Agli opinion maker la saggezza di commentare e ridimensionare alcune “grida di dolore” talora semplicistiche, a volte forse anche – ahimé – strumentalizzate. Su tutti noi grava, al momento ineludibile, il concetto della variabilità delle osservazioni, con possibili fluttuazioni, a cui cerchiamo di rispondere con i metodi statistici.

E non possiamo dimenticare che la significatività delle osservazioni statistiche rimane una convenzione che noi stessi definiamo, per farci aiutare a valutare alcune osservazioni come più o meno rilevanti. Ma l’interpretazione dei numeri, per accurata che sia, non riesce ancora a offrire conoscenze assolute in molti ambiti medici, fra cui certamente quello qui considerato. L’osservazione periodica di cluster, anche recenti,5 rientra in questo concetto di fluttuazione degli eventi.

La buona notizia è che i tumori infantili non sono in fase di inarrestabile epidemia, come qualcuno sosteneva anni fa. Il Rapporto AIRTUM ci ricorda che il numero previsto di casi nel quinquennio 2016-2020 è di circa 7.000 nella fascia d’età 0-14 anni e 4.000 nella fascia 15-19 anni, senza sostanziali differenze rispetto al quinquennio precedente.

Mentre la ricerca prosegue il suo percorso esplorativo sui meccanismi patogenetici, l’altra buona notizia è quindi che, grazie all’impegno quotidiano della ricerca e dell’assistenza qualificata, la probabilità di guarigione continua a crescere, motivando l’impegno degli addetti ai lavori e l’investimento della società in questo ambito, che dovrebbe essere assai maggiore.

Bibliografia

  1. Carra L, Minerva D. Sos Cancro. L’Espresso, 24 maggio 2007. Disponibile all’indirizzo: http://espresso.repubblica.it/visioni/scienze/2007/05/24/news/sos-cancro-1.3739
  2. Pombo de Oliveira MS, Awad el Seed FE, Foroni L et al. Lymphoblastic leukaemia in Siamese twins: evidence for identity. Lancet 1986;2(8513):969-70.
  3. Mahmoud HH, Ridge SA, Behm FG et al. Intrauterine monoclonal origin of neonatal concordant acute lymphoblastic leukemia in monozygotictwins. Med Pediatr Oncol 1995;24(2):77-81.
  4. Miligi L, Benvenuti A, Mattioli S et al; SETIL Working Group, Magnani C. Risk of childhood leukaemia and non-Hodgkin’s lymphoma after parental occupational exposure to solvents and other agents: the SETIL Study. Occup Environ Med 2013;710(9):648-55.
  5. Bisanti L (ed). Rapporto su un cluster di leucemie infantili a Milano nel periodo dicembre 2009-gennaio 2010. Milano, Servizio di epidemiologia della ASL di Milano e la Regione Lombardia, 2010.
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