Attualità
14/04/2015

Registri e sorveglianze: lacune e prospettive

, , ,

La collana ISTISAN, che raccoglie i rapporti dell’Istituto superiore di sanità, ha recentemente pubblicato i due volumi del rapporto dedicato a registri e sorveglianza in sanità pubblica.1,2

Tale rapporto si inquadra nel contesto dell’elaborazione da parte del Ministero della salute di una proposta di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (DPCM) sull’istituzione di registri e sorveglianze, secondo l’articolo 12 del Decreto sviluppo bis 2012.

La norma richiede di istituire nuovi sistemi di sorveglianza e registri su proposta del Ministero della salute, previa intesa della Conferenza Stato-Regioni e dopo aver acquisito il parere del Garante per la protezione dei dati personali. Il tutto secondo i principi vincolanti di assoluta pertinenza, non eccedenza, indispensabilità e necessità di questi dati.

Al fine di valutare, dunque, il fabbisogno conoscitivo in tema di sorveglianze e registri in Italia e di proporne linee di sviluppo, l’Università di Torino, l’Istituto superiore di sanità e l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas), su mandato di un’azione centrale del Ministero, hanno effettuato una ricognizione delle definizioni e degli approcci utilizzati in sanità pubblica e consultato i principali esperti italiani, perché revisionassero lo stato dell’arte in più di 20 tra settori nosologici, fattori di rischio e livelli di prevenzione.

Perché una persona dovrebbe essere stimolata a leggere o consultare un documento che parla di definizioni, regole, privacy eccetera?

Intanto è il primo tentativo di disegnare un’architettura di fonti informative che possa soddisfare il fabbisogno conoscitivo dell’epidemiologia italiana. In particolare, la prima parte generale del rapporto permette di conciliare le domande della sanità pubblica e del governo dei sistemi sanitari con le potenzialità delle fonti informative sanitarie, secondo i metodi dell’epidemiologia, rispettando i principi della tutela della privacy. Dovrebbe, quindi, essere una buona base di partenza per le scelte di regolazione e programmazione, che non riguardano solo la necessità di stabilire la lista di registri e sorveglianze da istituire nel DPCM, ma anche le future priorità di programmazione e investimento/ disinvestimento in materia a livello nazionale, regionale e locale.

In proposito, la bozza di DPCM che è all’esame del Garante non sembra voler cogliere l’opportunità di disegnare un quadro di riferimento per gli sviluppi dei registri e sorveglianze e si limita a definire la lista di sorveglianze e registri da istituire con decreto. A livello regionale si potrebbe manifestare una maggiore lungimiranza: allora le indicazioni strategiche del rapporto potrebbero tornare utili.

Criticità

Il lavoro analitico di revisione dei registri e sorveglianze ha messo in luce criticità attuali in questo momento in cui si discute del ruolo dell’epidemiologia nell’SSN. Ruoli e compiti sono una fonte importante di incertezza organizzativa. Infatti, il modello più diffuso prevede una responsabilità regionale di organizzazione del registro/sorveglianza (realizzato con risorse regionali o locali), una centrale regolatoria (osservatorio nazionale) e una intermedia e tecnica di armonizzazione, di disseminazione e di valorizzazione scientifica. A chi tocchi giocare questo ruolo intermedio può essere oggetto di controversia; più spesso potrebbe essere il centro di epidemiologia di un istituto nazionale come il Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute (CNESPS) dell’ISS o come l’Agenas o l’Associazione italiana del farmaco (AIFA), oppure potrebbe essere una Regione cui viene delegato tale compito di riferimento (per esempio, l’Osservatorio nazionale screening), oppure ancora potrebbe essere un’associazione scientifico- professionale cui viene attribuito il mandato (come AIRTUM); probabilmente la soluzione più ragionevole è quella che utilizza tutte e tre le possibilità seguendo in modo opportunistico la distribuzione di competenze e capacità.

Spesso è controverso anche il grado di copertura che devono avere registri e sorveglianze: stante che una copertura di tutto il territorio non è sostenibile, la soluzione più ragionevole è quella di almeno due livelli, uno a copertura universale che funzioni con standard di accuratezza e completezza meno ambiziosi facendo uso integrato dei sistemi informativi sanitari correnti, l’altro che si proponga standard più rigorosi, tra cui anche l’obiettivo di validare la performance del modello precedente e che funzioni anche con rilevazioni ad hoc ma a copertura campionaria. L’adozione di una strategia simile potrebbe incontrare ostacoli da un lato nella retorica del pubblico che vorrebbe un registro ovunque come risposta a ogni preoccupazione, dall’altro nella tentazione professionale di costruire, con l’alibi di tale domanda, piccoli centri di potere. I registri e le sorveglianze corrono il rischio di istituzionalizzarsi nella consuetudine e di non essere più capaci di riflettere sulla loro utilità e, quindi, di resistere al cambiamento. Dunque, soprattutto in una congiuntura economica non favorevole, gli investimenti su nuovi sistemi o sull’ampliamento di quelli esistenti devono essere valutati con cautela. La domanda cruciale da vagliare in ogni situazione dovrebbe essere: «In che cosa il registro/ sorveglianza fa davvero la differenza in termini decisionali o di rendicontazione di responsabilità sui risultati?»

Questa è una domanda che spesso le proposte di nuovi sistemi d’indagine non sanno soddisfare con prove adeguate, tanto più che la norma che dovrebbe istituire i registri e le sorveglianze è tenuta a prendere decisioni a costo zero.

Ciò significa che il DPCM si dovrebbe limitare a legittimare e correggere il funzionamento di fonti già coperte da finanziamenti e solo in un secondo momento istituire nuove fonti a patto di disinvestire su fonti di pari valore. La principale opportunità di disinvestimento (per un reinvestimento in nuovi sistemi) potrebbe derivare dalla correzione delle molte diseconomie che sono state imposte ai registri dalla regolamentazione sulla privacy e che potrebbero essere risolte sia con l’integrazione tra le fonti correnti (per esempio, con un sistema di anonimizzazione nazionale per le fonti sanitarie e non sanitarie utili) sia con miglioramenti nella governance tra livelli diversi di responsabilità.

L’analisi di tutti questi aspetti porta a concludere che, per quanto attiene la titolarità, mediante il DPCM si dovrebbe disciplinare soprattutto l’articolazione collaborativa tra livello nazionale e regionale, salvaguardando e rispettando il lavoro già compiuto dalle Regioni: laddove sulla fattispecie in esame esista un registro regionale già istituito, la raccolta dei dati dal registro nazionale dovrebbe avvenire per il tramite del registro regionale, che avrebbe comunque l’autonomia di raccogliere ulteriori informazioni rilevanti per l’ambito regionale. Tra l’altro, la legge oggi prevede che le Regioni possano istituire solamente registri diversi da quelli nazionali, ma dei registri già istituiti in precedenza con leggi regionali non dice nulla.

Come previsto da molti dei sistemi esaminati nel rapporto, alle Regioni dovrebbe comunque essere garantito l’accesso ai dati individuali dei propri cittadini, raccolti a livello centrale (per esempio, il dispositivo della rete delle malattie rare).

Un altro aspetto critico che la bozza del decreto all’esame del Garante non sembra ancora aver considerato è la necessità di armonizzare la disciplina dei registri e delle sorveglianze con le principali architetture informative già disciplinate da norme come il Nuovo sistema informativo sanitario (NSIS) soprattutto per la necessaria coerenza di regia che sarebbe richiesta su tutti i flussi di competenza dell'SSN, il Sistema statistico nazionale (SISTAN) per le implicazioni sui requisiti di qualità necessari quando i dati rilevati debbono essere considerati di rilevanza statistica (senza contare, poi, che l’ISTAT ha compiti di integrazione delle politiche di digitalizzazione ex art. 2 della Legge n.221/2012 e potrebbe, quindi, giocare un ruolo importante nel favorire molte delle proposte di sviluppo avanzate nel rapporto ISTISAN) e il Sistema informativo nazionale per la prevenzione (SINP) per gli aspetti ancora in corso di elaborazione sui rischi e danni nei luoghi di lavoro.

Il lettore può constatare che tutti i problemi documentati in questa revisione su registri e sorveglianze toccano i nervi scoperti della definizione dei contenuti di un livello essenziale di assistenza (LEA) di epidemiologia nell’SSN: finora la programmazione sanitaria ha omesso di definire in cosa consista un LEA di epidemiologia a livello regionale e nazionale e da questa omissione dipende anche l’eterogeneità dell’offerta di servizi epidemiologici nell’SSN. Registri e sorveglianze sono un elemento costitutivo di questo LEA da cui derivano anche le potenzialità di sviluppo dell’epidemiologia italiana; il rapporto ISTISAN contribuisce a colmare questa lacuna con una buona base di riflessione.

Conflitti di interesse dichiarati: nessuno.

Bibliografia

  1. 1. Costa G, Salmaso S, Cislaghi C (eds). Misurare in sanità pubblica: registri e sorveglianza. Aspetti generali. Rapporti ISTISAN 14/23 Pt. 1. Roma, Istituto superiore di sanità, 2014. Disponibile all’indirizzo: http://www.iss.it/publ/index.php?lang=1&id=2848&tipo=5
  2. 2. Costa G, Salmaso S, Cislaghi C (eds).Misurare in sanità pubblica: registri e sorveglianza. Situazione attuale e prospettive. Rapporti ISTISAN 14/23 Pt. 2. Roma, Istituto superiore di sanità, 2014. Disponibile all’indirizzo: http://www.iss.it/publ/index.php?lang=1&id=2849&tipo=5
Approfondisci su epiprev.it Vai all'articolo su epiprev.it Versione Google AMP