Quale ruolo dell’ISS in una sanità federalista?
«Servono obiettivi condivisi e un gruppo dirigente consapevole della propria funzione». Sono queste, a giudizio di Giorgio Bignami, ex dirigente di ricerca, le due condizioni che hanno consentito all’Istituto superiore di sanità (ISS) di affrontare e superare nel corso degli anni gravi difficoltà: per esempio, di resistere all’ordine di trasferimento al Nord, nel territorio controllato alla fine della seconda guerra mondiale dalla Repubblica di Salò, che avrebbe inevitabilmente portato al suo smembramento. E così di essere pronti ad avviare, proprio negli anni più difficili del dopoguerra, “grandi opere” come la campagna antimalarica e la istituzione delle nuove aree di ricerca affidate ai futuri premi Nobel, Daniel Bovet e Ernst Boris Chain.Era difficile trovare un modo più efficace per concludere dopo oltre cinque ore di interventi e discussioni, il convegno organizzato dall’assemblea del personale dell’ISS su «Il ruolo dell’Istituto superiore di sanità in un sistema sanitario federale». Dal 1978, momento di istituzione dell’SSN, l’Istituto costituisce l’organo tecnico-scientifico del Servizio sanitario nazionale. Si tratta della dizione che sintetizza il senso di una missione primariamente legata ai bisogni di salute dei cittadini. È utile ribadire questo aspetto, in quanto anche persone che dovrebbero conoscere l’ISS, spesso lo connotano scorrettamente come organo del Ministero (o del Ministro) della salute, perdendo così il riferimento sia alla garanzia di autonomia, sia alla prospettiva della sua azione. Gli elementi essenziali del suo ambito di attività sono stati ricordati, nell’introduzione alla giornata, sia da Nicola Vanacore e Francesca Cirulli, a nome dell’assemblea del personale, sia da Filippo Belardelli, in rappresentanza dei direttori dei 7 dipartimenti e 8 centri dell’ISS. Solo per ricordarne alcuni, si va dalle malattie infettive all’ambiente, dalle nuove terapie cellulari alla veterinaria, dal controllo sui vaccini a quello sugli alimenti, dalla ricerca alla formazione, dalla consulenza alla definizione di norme e procedure.E oggi, a circa 80 anni dalla sua istituzione, l’ISS si trova ad affrontare un ulteriore riordino che dovrà ridefinirne la missione, l’organizzazione, e l’entità delle risorse finanziarie e di personale.
Non esistono pasti gratis
Come per tutto il settore della ricerca, l’ISS deve fare i conti con una progressiva e continua riduzione dei finanziamenti pubblici ordinari. Per intendersi, quelli che una volta venivano stabiliti nelle leggi finanziarie. Sono parallelamente aumentati i fondi ad hoc, per esempio provenienti da bandi di ricerca o da convenzioni con istituzioni, prevalentemente pubbliche, che richiedono collaborazioni scientifiche e consulenze all’ISS. A prima vista si tratta dell’infattibile quadratura del cerchio: in un contesto di difficoltà per i bilanci pubblici, si riducono i finanziamenti alle istituzioni pubbliche, in quanto è possibile raccogliere “sul mercato” risorse alternative per il funzionamento.
Sfortunatamente non esistono pasti gratis. È cioè vero che l’ISS, grazie alla qualità dei suoi ricercatori, è in grado di competere in un mercato sempre più ristretto quanto a risorse disponibili. Ma questo avviene al prezzo di introdurre due distorsioni: la ridefinizione implicita delle finalità (tutte orientate allo scopo del finanziamento) e il ricorso a contratti di lavoro precario.
La prima distorsione può condurre a uno snaturamento della missione dell’ISS. Se questa viene ad essere determinata come somma di tanti (relativamente) piccoli finanziamenti, nulla impedisce che diventino marginali (o vengano dismesse) funzioni indispensabili, per le quali siano insufficienti i finanziamenti ordinari.
La seconda è una conseguenza pressoché inevitabile dei finanziamenti ad hoc in un contesto di blocco delle assunzioni. Solo in ISS operano, insieme alle 1.540 persone a tempo indeterminato, circa 560 tempi determinati e CoCoPro, oltre a 280 borsisti e a circa 100 persone con varie forme di ospitalità. Qui non c’è solo la situazione di incertezza, a volte drammatica, per la vita delle persone coinvolte: basti pensare che è arrivata a 10 anni la mediana di permanenza in ISS per tempi determinati e CoCoPro. Le istituzioni che utilizzano estesamente e per periodi prolungati questa opzione, creano le condizioni per una inevitabile aspettativa di stabilizzazione, o di vere e proprie sanatorie, delle persone coinvolte. Si rinuncia così, semplicemente, all’idea di adottare procedure di selezione per l’arruolamento del personale che siano trasparenti e basate sul merito.
Cosa cambia in un ISS federale
Sono stati significativi, come contributo di conoscenza e stimolo alla discussione, gli interventi di Vittorio Mapelli, dell’Università degli studi di Milano, e di Giovanni Fattore, dell’Università Bocconi. Mapelli ha inquadrato il tema del federalismo in sanità in una prospettiva internazionale. Se ce ne fosse stato bisogno, ancora una volta si è chiarito che dietro un’idea apparentemente univoca di federalismo ci sono approcci profondamente diversificati nei diversi paesi. Ciò che conta, se si intende evitare equivoci, è di chiarire quali sono i servizi ai quali i cittadini hanno diritto indipendentemente dalla loro residenza, quale equilibrio trovare fra risorse locali e funzione di riequilibrio centrale, come e quando intervenire se un ambito regionale non è in grado di garantire i livelli di assistenza all’interno dei vincoli di spesa.
Qualunque sia il modello concreto di federalismo adottato, rimane il fatto, ha ricordato Fattore, che l’ISS deve sempre di più concepire la propria funzione come interlocutore delle Regioni e non solo del governo centrale. Per citare un esempio, i servizi sanitari regionali si trovano continuamente ad affrontare decisioni su a quali nuovi interventi proposti (procedure, dispositivi) deve essere garantito l’accesso ai cittadini. Tuttavia, solo su una parte relativamente limitata vi sono informazioni di efficacia. Nella maggior parte dei casi, poi, mancano confronti affidabili fra opzioni alternative in termini di efficacia, costi diretti e impatto complessivo sul SSN. Sarebbe ovviamente privo di senso cercare di replicare queste valutazioni – come quelle riguardanti i livelli di polveri sottili nell’aria che respiriamo, o di contaminanti nelle acque potabili, o di qualità di un farmaco generico – in ciascuna regione. È invece naturale che su queste attività si realizzi un ruolo di consulenza, di sostegno, di coordinamento, da parte di una istituzione centrale come l’ISS.
Ma le Regioni cosa si aspettano dall'ISS?
L’assessore alla sanità della Regione Lombardia, Luciano Bresciani, e il responsabile dell’attuazione dei “piani di rientro” della Regione Calabria, Gianluigi Scaffidi, devono innanzitutto essere ringraziati per avere partecipato a tutta la discussione e per avere richiamato l’ISS anche a un rapporto più stretto con le Regioni. L’assessore della Lombardia ha ricordato l’importanza di un sistema sanitario regionale in grado di garantire prestazioni di qualità ai cittadini senza accumulare deficit. Ha anche esposto gli interventi adottati in ambito regionale per coordinare le attività di ricerca pubbliche, e di creare un contesto che favorisca gli investimenti privati, attraverso un modello di integrazione pubblico-privato. Proprio questo modello è stato anche proposto come potenziale soluzione per le difficoltà prevedibili nei finanziamenti pubblici per l’ISS (come per le altre istituzioni di ricerca pubbliche).
Per le ragioni già discusse in precedenza – la distorsione delle finalità e la precarizzazione dei rapporti di lavoro – si tratta di una strada già oggi percorsa, che difficilmente può rappresentare una soluzione per l’ISS. Tuttavia, va fatto ogni sforzo per evitare che la discussione si areni sulla contrapposizione ideologica fra favorevoli e contrari alle sinergie pubblico-privato. Sia chiaro, non è questo il punto. Non è dai finanziamenti privati che potrà arrivare la soluzione, innanzitutto perché non si può chiedere ai privati di caricarsi compiti tipicamente pubblici. La prima ragione è che vi sono molti ambiti di ricerca, potenzialmente utili per le decisioni cliniche e di sanità pubblica, nei quali può mancare qualunque interesse commerciale e, di conseguenza, legittimamente, qualunque investimento privato. La seconda ragione riguarda la gestione dei possibili conflitti di interesse che possono sorgere da collaborazioni pubblico-privato. È evidente che non è indifferente se la collaborazione – ad esempio in ambito di farmaci o alimenti o ambiente – riguarda un dipartimento universitario anziché un organismo che svolge funzioni di controllo o che stabilisce le procedure operative e gli standard di applicazione delle norme. In un Paese come gli Stati Uniti, che certamente non può essere accusato di ostacolare le collaborazioni pubblico-privato, un dipendente dell’agenzia di controllo sui farmaci (l’FDA) non può neppure essere invitato a spese di una istituzione pubblica straniera, figuriamoci di aziende private.
In conclusione: alcune assenze e una buona notizia
La discussione sui temi affrontati in questa affollata e appassionata assemblea proseguirà nei prossimi mesi, in tutta la fase di elaborazione degli interventi legislativi previsti per il riordino dell’ISS (da effettuarsi entro novembre 2011). È un peccato che non sia riuscito intervenire il Ministro della salute, o un suo sostituto, in quanto il livello della discussione avrebbe potuto fornire spunti utili di riflessione per i previsti interventi. È anche un peccato che Presidente e Direttore generale dell’ISS non abbiano trovato un momento per affacciarsi all’incontro. Non c’è bisogno di avere la lungimiranza di Steve Jobs per capire che oggi la principale risorsa di una istituzione è rappresentata da persone qualificate, disponibili a contribuire nella definizione di una prospettiva di sviluppo. Per tornare all’intervento di Bignami, la buona notizia è che oggi i ricercatori, tecnici e amministrativi dell’ISS hanno mostrato che si può avere consapevolezza diffusa della propria funzione insieme a una prospettiva su quale debba essere un rinnovato Istituto superiore di sanità al servizio del Servizio sanitario nazionale.