Attualità
15/09/2011

Processo Eternit: la sentenza è vicina

Il più grande processo per disastro ambientale mai intentato in Europa si svolge a Torino. È cominciato il 10 dicembre 2009 e, se le previsioni saranno rispettate, allo scadere delle celebrazioni del 150° dell’Unità d’Italia, nella città che è stata prima capitale potrebbero sventolare anche i tricolori su cui è stampata la scritta «Eternit: Giustizia». Sventoleranno se il tribunale, presieduto da Giuseppe Casalbore, affiancato da Fabrizia Pironti e Alessandro Santangelo, avrà pronunciato l’attesissima sentenza e, soprattutto, se quel verdetto darà il senso a un’attesa lunga e disseminata di non meno di tremila vittime tra malati e morti.

Il seme di questo procedimento penale, istruito dal pm torinese Raffaele Guariniello, specializzato in reati ambientali di varia natura, e affiancato dai colleghi Sara Panelli e Gianfranco Colace, è germogliato quasi per caso, quando, nel 2003, il dottor Enzo Merler di Padova, da tempo impegnato in un’indagine epidemiologica su italiani emigrati che avevano lavorato all’Eternit svizzera e, tornati in Italia, si erano ammalati di mesotelioma, segnalò al procuratore aggiunto di Torino Raffaele Guariniello il caso di un operaio che era stato dipendente dello stabilimento di Niederurnen e, a distanza di anni, era poi morto di mesotelioma nel capoluogo piemontese. Quella scintilla si trasformò in una deflagrazione: prima a Casale e, via via, anche nelle altre località italiane dove aveva operato a lungo il gruppo Eternit, ci fu una mobilitazione imponente che si sintetizzò, alla fine, in un maxiesposto contenente un migliaio di nomi di ammalati e morti per l’amianto, accompagnati da relativa documentazione medica.

Ad aprile 2009 davanti al gup Cristina Palmesino prendeva avvio l’udienza preliminare in cui il barone belga Jean Louis Marie Ghislain de Cartier de la Marchienne, poco meno che novantenne e in buona salute (legato, per vincoli matrimoniali, a un’altra potente famiglia di amiantiferi, gli Emsens) e il magnate svizzero Stephan Schmidheiny, 68 anni, (di un ceppo industriale che per decenni ha coltivato i suoi maggiori interessi nei settori dell’amianto e del cemento) sono accusati di aver causato un disastro ambientale producendo, negli stabilimenti italiani Eternit di Casale Monferrato (il più vecchio, fondato nel 1906), di Cavagnolo in provincia di Torino, di Bagnoli di Napoli e di Rubiera dell’Emilia, manufatti di amianto senza mettere al riparo i lavoratori e la popolazione dai rischi gravissimi generati dalla fibra di cui si conosceva, sicuramente dagli anni Sessanta, la cancerogenicità. Per la prima volta non sono chiamati a rispondere dei dirigenti, ma gli stessi proprietari dell’Eternit, nonostante le immense risorse impiegate in strategie di pubbliche relazioni finalizzate a proteggere i vertici e a tenerli fuori da qualsiasi azione giudiziaria.

I difensori degli imputati puntarono prima di tutto a sfilare il processo dalle mani dei magistrati torinesi che, ovviamente, avendo condotto passo passo le indagini, conoscono ogni dettaglio delle tonnellate di pagine e di files che compongono l’inchiesta. Il gup Palmesino respinse le istanze e, accogliendo la richiesta di Guariniello, il 6 luglio 2009 mandò a giudizio De Cartier e Schmidheiny con un’accusa ancor più pesante di quella iniziale: si aggiunse, infatti, alla dicitura del reato «disastro doloso ambientale» anche la qualificazione «permanente», particolarmente importante per scongiurare una possibile prescrizione. Ecco l’argomentazione a sostegno di questa integrazione: gli imputati non hanno fatto nulla, anche dopo che lo stabilimento è stato chiuso (a seguito del fallimento nel giugno 1986), per rimuovere lo stato di pericolo, hanno voltato le spalle e non si sono mai più fatti vivi. Un aspetto che Guariniello, con puntigliosa precisione, ha accertato domandando a tutti i sindaci, ai presidenti di Province e Regioni che si sono avvicendati come testimoni, se De Cartier o Schmidheiny, via via negli anni, avessero avanzato offerte per contribuire alla costosissima e tutt’altro che conclusa bonifica. «No, mai» è stata la risposta corale. Questo fino a giugno 2011, quando, con il pedale della sordina inserito, è stato siglato un accordo tra il piccolo Comune di Cavagnolo e gli avvocati di Schmidheiny: lo svizzero ha versato 2 milioni di euro (più 200 mila per le spese legali), ma, ha voluto che si precisasse, anche per iscritto, che si è trattato di una “offerta di intervento sociale” non a titolo di risarcimento perché – si legge testualmente – «Stephan Schmidheiny e le società riferibili al gruppo svizzero Eternit (…) negano qualsiasi responsabilità (…) rammentando che, non solo non hanno percepito profitti attraverso la Eternit spa, ma hanno investito soprattutto per cambiare i metodi di lavorazione al fine di evitare la dispersione di polveri di amianto la cifra, enorme per l’epoca, di oltre settanta miliardi lire». I due milioni, offerti e pagati alla chetichella imponendo il silenzio fino a operazione conclusa, scegliendo solo il comune di Cavagnolo, ed escludendo gli altri, numericamente anche più coinvolti, sono motivati, si legge ancora nel testo di accordo proposto dai legali dello svizzero e accolto dalla giunta di Cavagnolo (all’insaputa della sua popolazione), con il “noto spirito filantropico” di Stephan Schmidheiny. Un altruismo che moltissimi si aspettano venga più proficuamente e generosamente impiegato per incrementare la ricerca medica a livello mondiale in modo da accelerare l’individuazione di una terapia che consenta di guarire dal mal d’amianto.

Dunque, con l’accusa di disastro doloso ambientale permanente il 10 dicembre 2010 si è aperto il processo pubblico nel nome di tremila vittime: 2 200 morti e 800 malati, di cui oltre il 70% nel Casalese; il numero, però, è in difetto, perché, dalla data della chiusura delle indagini, altri purtroppo si sono aggiunti. E molti ancora se ne aggiungeranno, con stime in crescita – se non si troverà un’auspicabile cura che arresti il maleficio – anche oltre il 2020.

Si sono costituite (e ammesse) più di seimila parti civili: i malati, i famigliari delle vittime, più tre regioni –Piemonte, Emilia Romagna e Campania –, 4 Province – Alessandria, Torino, Reggio Emilia e Napoli– diversi Comuni, tra cui i 4 dove avevano sede gli stabilimenti, il Ministero dell’ambiente, enti come Inail e Inps, associazioni, tra cui quelle che riuniscono i famigliari delle vittime di amianto: una sorta di “multinazionale delle vittime” che si contrappone alla “multinazionale dell’amianto”. Oltre agli imputati a titolo personale, sono state chiamate in giudizio come responsabili civili diverse società legate al gruppo belga e al gruppo svizzero, affinché, in caso di riconoscimento di responsabilità dei due accusati, possano contribuire all’eventuale risarcimento, a partire dalle provvisionali se il tribunale penale le dovesse riconoscere.

Nelle quarantasei udienze dell’istruttoria dibattimentale sono sfilati ex lavoratori e sindacalisti, famigliari delle vittime, amministratori e funzionari pubblici, consulenti dell’accusa, delle parti civili e della difesa, alcuni arrivati anche da oltreoceano. È così emerso che la cancerogenicità dell’amianto era sospettata e studiata addirittura da fine Ottocento e da inizio Novecento, indubitabile dai primi anni Sessanta, schiacciante dal 1964 quando Irvin Selikoff, odiatissimo dagli amiantiferi, lo dichiarò, come frutto di ricerche ed esperimenti, alla Conferenza mondiale di New York. Si è altresì appreso che il “cartello” mondiale dei produttori, in cui i gruppi belga degli EmsensDe Cartier e svizzero degli Schmidheiny erano componenti di primo piano, era legato da interessi comuni finalizzati all’approvvigionamento delle materie prime e all’accordo sui prezzi, ma anche, come hanno rimarcato i pm nella requisitoria iniziata il 14 giugno, «nelle strategie per l’occultamento delle informazioni sul rischio causato dalla fibra». Rischio che i produttori conoscevano, – lo si è appreso ancora dalla requisitoria, basata sulla produzione di documenti sequestrati nel 2005 – dal momento che avevano essi stessi «cooptato» (questo il termine usato dai magistrati) degli scienziati perché studiassero le caratteristiche dell’amianto, ma poi avevano impedito la pubblicazione dei risultati di quelle ricerche per non destare allarmismi e continuare la produzione con l’impiego di amianto. All’occultamento delle conoscenze sui rischi gravissimi causati dalla fibra, sia per i lavoratori sia per la popolazione, si affiancava la propaganda finalizzata a sottolineare le qualità positive dell’impiego di amianto nella produzione di manufatti.

Al più si consentiva di sapere che la fibra, a seguito di prolungati periodi di esposizione, causava negli operai l’asbestosi (che, fin dagli anni Quaranta, l’Inail riconosceva come malattia professionale), ma il rischio di mesotelioma, il cancro maligno della pleura (e anche del peritoneo), veniva taciuto. O minimizzato. Uno degli slogan si concentrava in queste parole: «Uso controllato dell’amianto».Tradotto: se si usa con dovute precauzioni, non fa male. Lo hanno fatto credere a lungo, ma questa propaganda non è finita. Prosegue con le stesse argomentazioni nei Paesi in cui la fibra è ancora largamente impiegata (Russia, Cina, Brasile, India, Kazakhistan, Canada). Lo documenta il film Polvere, che porta le firme dei registi Niccolò Bruna e Andrea Prandtsaller, presentato in anteprima a Casale il 28 aprile, giornata mondiale delle vittime dell’amianto, poi proposto al Festival Cinemambiente di Torino e successivamente in altre sale internazionali.

Il rischio (a lungo taciuto, mistificato, minimizzato) non ha riguardato solo i lavoratori delle fabbriche, ma anche la popolazione che con gli stabilimenti non ha avuto niente a che fare. Però ha respirato le fibra, dispersa ovunque. Dopo lunga incubazione silente, questa si sveglia e nessuno, al momento, è in grado di annientarne il corso sinistro e irreversibile. Oggi i malati – una cinquantina di nuovi casi all’anno, solo a Casale e dintorni; 1 200 morti in Italia – sono nella maggior parte cittadini non soggetti a esposizione professionale, ma esclusivamente ambientale.

Alle consulenze della procura e delle parti civili (tra cui quelle significative degli epidemiologi, che hanno sviluppato studi approfonditi fin da quando un gruppo di medici, a inizio anni Ottanta, aveva riscontrato che a Casale i malati di mesotelioma erano in percentuale assai superiore alla media nazionale) si sono alternate quelle della difesa che hanno anche sollevato dubbi sulla validità di una serie di diagnosi di mesotelioma entrate in giudizio. Ma l’impianto accusatorio non mira, in questo procedimento penale, a contestare le singole malattie e morti, bensì l’omissione dolosa di misure si prevenzione e cautela da cui è derivato il disastro ambientale che, ha detto Guariniello nella requisitoria, «continua a manifestarsi giorno dopo giorno sotto i nostri occhi» e che è stato causato «per consapevole volontà dei proprietari dell’Eternit». Per la contestazione dei casi singoli di malattie e morti, Guariniello ha aperto un’altra inchiesta che, giornalisticamente, è stata denominata “Eternit bis”, le cui indagini sono in corso.

Al maxiprocesso di Torino guarda il mondo intero perché è una storia che tocca tutti i continenti: la tragedia italiana si sovrappone, in fotocopia, alle tragedie di numerosi Paesi d’Europa (sono in corso processi anche in Francia, Belgio, Svizzera, Germania) e del mondo dove la fibra non è ancora stata messa al bando: come intende dimostrare il pool di Guariniello, i comportamenti omissivi non erano decisi dai dirigenti dei singoli stabilimenti, ma si trattò di una strategia deliberata voluta dai vertici del “cartello” mondiale degli amiantiferi.

Un mondo senza amianto

In occasione della 6agiornata mondiale delle vittime dell’amianto celebrata a Casale Monferrato il 28 aprile 2011, con la partecipazione di delegazioni provenienti da Stati Uniti, Brasile, Francia, Messico, Spagna, Svizzera, Italia, Gran Bretagna e da numerose regioni italiane, organizzazioni sindacali italiane di altri paesi, si è approvato il seguente appello:

  • Data la nocività dell’amianto, è indispensabile e urgente eliminarlo completamente dall’ambiente umano.
  • In Europa, è stata creata una tragedia di immense proporzioni a causa dell’uso indu striale dell’amianto. Come conseguenza, sono già avvenute centinaia di migliaia di morti. Si tratta di un dato sottostimato, poiché le informazioni su questa tragedia umanitaria sono tragicamente incomplete. Attualmente l’epidemia di malattie causate dall’amianto si è estesa ai paesi in via di sviluppo, che stanno continuando ad usare amianto. L’esistenza di un doppio standard tra paesi industrializzati e in via di industrializzazione è eticamente ingiustificabile e moralmente corrotta. Vi è un imperativo morale ad avviare iniziative di tipo medico e scientifico per prevenire l’insorgenza di malattie causate dall’amianto. Molti cittadini sono a rischio di malattie, a causa della presenza di fibre mortali nei loro polmoni. La ricerca che riguardi la prevenzione deve avere la più elevata priorità. È necessario pervenire ad una strategia che riguardi la diagnosi precoce e protocolli terapeutici (per asbestosi e tumori causati dall’amianto) e che questa venga costantemente aggiornata.
  • Il cosiddetto “uso controllato” dell’amianto è semplice propaganda commerciale che imbroglia le popolazioni non informate e vulnerabili, incapaci di valutare i rischi che pre sentano tutti i tipi commerciali di amianto. È imperativo che il crisotilo (amianto bianco) sia incluso nella Convenzione di Rotterdam tra le sostanze per le quali è richiesto preven tivamente un consenso informato da parte dei paesi che lo ricevono per importazione.
  • L’esposizione ambientale causata dall’estrazione di amianto e dai suoi usi costituisce un’al tra catastrofe umanitaria che coinvolge la salute di questa e delle future generazioni. Nelle aree delle nostre comunità come Casale Monferrato e Bari, Italia, Corsica, Francia, Widnes, UK e Getafe, Spagna, permane un inquinamento diffuso nell’aria, acqua, suolo e edifici.
  • Le comunità colpite che stanno cercando di agire per attenuare gli inquinamenti da amianto devono ricevere e devono ottenere il sostegno delle Agenzie Internazionali, delle Autorità regionali e dei Governi nazionali: è essenziale identificare le aree che sono state inquinate da decenni di sfruttamento dell’amianto e mettere a disposizione i fondi neces sari, rendere disponibile le conoscenze tecniche che sono necessarie per affrontare in ma niera esaustiva il lascito negativo dell’amianto.
  • Il procedimento giudiziario che si è svolto in UK contro la Cape Asbestos ed ora quello in svolgimento a Torino contro gli azionisti di controllo della multinazionale ETER NIT, rappresentano il simbolo concreto delle battaglie per ottenere giustizia da parte delle vittime dell’amianto. Nel procedimento giudiziario in Italia, più di 6000 persone si sono costituite parte civile. Questi procedimenti giudiziari mostrano l’importanza di assumere una prospettiva inter nazionale per quanto riguarda i diritti delle vittime e i crimini legati all’amianto determinati dalle multinazionali.
  • Tutte le vittime di malattie causate dall’amianto (quelle maligne e le altre) hanno il di ritto di essere indennizzate, indipendentemente dal fatto che la malattia si sia determi nata per cause lavorative, ambientali, domestiche o di altro genere. In prima istanza, l’indennizzo deve essere reso operativo in tempi rapidi e deve essere di giusta entità. L’esperienza francese (FIVA) rappresenta un esempio di come questo può es sere raggiunto. Se viene dato avvio ad un fondo, questo deve essere finanziato da contributi che derivino da datori di lavoro privati e pubblici. In ogni caso, deve essere salvaguardato il diritto legale di procedere con cause civili o penali riguardo ai danni e alle responsabilità.

In conclusione, affermiamo che l’industria dell’amianto è una industria criminale, che ha esposto grandi quantità di persone a rischi mortali pur di conseguire un profitto. Domandiamo giustizia.

Casale Monferrato 29 aprile 2011

L’appello è stato firmato anche da Epidemiologia & Prevenzione (elenco firmatari al sito www.afeva.it)

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