Attualità
02/02/2018

Precarie le persone, precaria la ricerca, precaria l’epidemiologia

Il tema del precariato sta molto a cuore a E&P come dimostrano la pubblicazione di contributi sul tema1,2 e lo spazio autogestito «Epidemiologia & Precariato» ospitato sul sito web della rivista.3 Siamo molto preoccupati per il presente e il futuro di chi ha vita precaria, della ricerca scientifica in generale e della ricerca, per l’epidemiologia e la sanità pubblica in particolare. Da alcuni decenni la ricerca è sostenuta, sovente in modo indispensabile, da ricercatori con rapporti di lavoro precario, persone molto spesso formate e capaci. Temiamo che questa vicenda stia compromettendo in modo non sanabile il futuro della ricerca scientifica e delle istituzioni che fanno epidemiologia. Durante il recente congresso annuale dell’AIE tenutosi a Mantova, per ogni contributo scientifico presentato è stata palesata la quota di lavoro a carico di ricercatori precari: si tratta di percentuali variabili dal 50% al 90%. Fabrizio Minichilli, presentando il suo intervento, ha oscurato il viso (vedi fotografia) per dare un segnale di come loro, i precari, vengano oscurati nel loro presente e nel loro futuro. Intervistare Fabrizio non è semplice: ora lui è fortemente impegnato attraverso la sua azione e quella dei suoi colleghi nel richiamare l’attenzione della politica sulla loro vicenda, temendo che nel 2018 non ci sia per loro il rinnovo del contratto con il quale prolungare il rapporto di lavoro.

Da quanti anni vivi in una condizione di precariato?

Sono un ricercatore del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) precario da 16 anni. In questo lungo periodo ho ottenuto l’idoneità per ricercatore con contratto a tempo indeterminato, ma, come spesso succede, le graduatorie non scorrono a causa dei turnover bloccati. Migliaia di lavoratori degli enti di pubblica ricerca (EPR) hanno storie molto simili alla mia.

Quanti anni hai? Quante persone vivono del tuo stipendio? Come vivi emotivamente questa situazione?

Ho 42 anni, sono sposato e ho tre figli con un’età che va dai 6 ai 12 anni e l’unica fonte di reddito è il mio stipendio.
Inizialmente è normale vivere in una condizione di precariato, dato che ti stai formando ed è necessario specializzarsi e tutto ciò avviene su un banco di prova vivibile e sopportabile. Passato qualche anno in cui, oltre a formarti, hai lavorato duramente per poter portare avanti progetti sia nazionali sia internazionali, la precarietà comincia a pesare sulla condizione psicologica e lavorativa del ricercatore, andando a intaccare il benessere non solo personale, ma anche del gruppo di lavoro. Ritrovarsi con più di 10 anni di precariato senza avere la possibilità di lavorare in modo dignitoso nonostante il tuo lavoro sia stato fondamentale al miglioramento del benessere della collettività è una condizione logorante.

Come si è arrivati a questa situazione?

L’alta percentuale di precariato degli ultimi anni dipende da un sistema di arruolamento che non funziona, poiché basato principalmente su procedure concorsuali insufficienti a fronte di migliaia di ricercatori aventi diritto in quanto aventi alte capacità professionali. Il blocco del turnover, che dura da diversi anni, ha aggravato ulteriormente questa situazione.
L’offerta di lavoro nella ricerca pubblica è molto limitata e tale limitazione è dovuta principalmente a una scelta non condivisibile, quella di centellinare i finanziamenti alla ricerca pubblica. L’Italia investe poco più dell’1% del PIL in ricerca, a fronte di una media europea del 2,1%.4 Se vogliamo essere competitivi in progettualità a livello mondiale, è necessario investire in ricerca pubblica, che è la base per l’innovazione tecnologica e lo sviluppo del benessere collettivo.

Quando parliamo di precariato, che cosa intendiamo dal punto di vista del rapporto di lavoro? Quali e quanti tipi di condizione precarie esistono?

Con il termine “precariato” si intende una condizione di instabilità lavorativa. Negli EPR ci sono diverse forme di precariato, dagli assegni di ricerca (meno tutelati) ai contratti a tempo determinato (più tutelati). Negli ultimi anni, a causa dei tagli al fondo ordinario degli enti (FOE) con cui lo stato finanzia gli EPR, si è verificato un abuso dei contratti atipici che ha portato ad avere più del 50% della forza lavoro di natura precaria (il settore della ricerca è oggi caratterizzato da un tasso di precarizzazione elevatissimo rispetto ad altri settori). Ancora più grave è che spesso chi ha un contratto di lavoro a termine svolge lo stesso lavoro (anche di responsabilità) di chi ha un contratto a tempo indeterminato.

Quante persone impegnate nella ricerca epidemiologica sono nella tua situazione?

Negli EPR ci sono circa 10.000 precari tra ricercatori, tecnologi, tecnici e amministrativi. Al CNR si stimano circa 4.500 precari su un totale di circa 9.000 lavoratori. I precari hanno mediamente 10 anni di precariato sulle spalle.

La legislazione recente ha ulteriormente aggravato la vostra situazione oppure è stata migliorata per alcuni e non per altri?

Dopo una sentenza europea che stabilisce che dopo tre anni di lavoro precario si ha diritto a un contratto a tempo indeterminato, il Parlamento italiano ha approvato una legge per il superamento del precariato storico nelle pubbliche amministrazioni, compresi gli EPR.5 Tuttavia, tale legge non prevede lo stanziamento di fondi, rimandando ai singoli enti il reperimento delle risorse finanziarie, rischiando quindi di restare disattesa. L’applicazione della legge deve necessariamente passare per un incremento del FOE degli EPR da parte del Governo, con stanziamento di fondi vincolati alla stabilizzazione del personale degli EPR. La legge di bilancio, attualmente in approvazione al Senato, prevede il finanziamento di poche migliaia di posti di lavoro nei vari EPR vigilati dal Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca (MIUR), a fronte dei 10.000 necessari a livello nazionale. Qualora venissero mantenuti questi numeri, il futuro della ricerca pubblica italiana sarebbe definitivamente compromesso, in quanto verrebbe a mancare la forza lavorativa necessaria per portare avanti ricerche fondamentali, tra cui quella epidemiologica. La mancata acquisizione di risorse altamente qualificate rappresenterebbe, quindi, una sconfitta scientifica, sociale e culturale.

Che danno provoca la vostra condizione di precariato alla capacità di ricerca in Italia? Chi dirige le ricerche? Chi propone le ricerche? È ancora possibile promuovere studi di lunga scadenza come studi di reclutamento di coorti?

I gruppi di ricerca negli EPR investono molto tempo nel reperimento di fondi esterni per coprire i contratti dei lavoratori precari, tempo che potrebbe essere investito nel miglioramento della qualità della ricerca e, di conseguenza, nell’approfondimento di conoscenze su tematiche fondamentali utili al miglioramento del benessere della collettività. Se avessimo la possibilità di assumere i ricercatori, i fondi esterni che vengono reperiti potrebbero essere utilizzati per acquistare strumenti di lavoro più performanti. Negli ultimi anni, essendo sempre più difficile trovare fondi, si è costretti a lavorare su progetti sottopagati rispetto alla mole di lavoro necessaria. Di conseguenza, ogni ricercatore, per pagarsi lo stipendio, si ritrova a seguire tanti progetti contemporaneamente su tematiche molto variegate, con conseguente perdita di concentrazione e qualità.

Che cosa sai della condizione dei rapporti di lavoro in altri Paesi europei?

Nel 2014, in Europa la percentuale dei contratti flessibili nel pubblico impiego è pari a circa il 34% (al CNR la percentuale è significativamente più elevata: 50%). In tale settore, il rischio di precarietà è il più elevato. In Francia, nel 2014 solo il 14% dei lavoratori aveva forme contrattuali diverse dal tempo indeterminato. In Germania le percentuali di precarietà sono molto elevate, come in Italia, ma, a differenza dell’Italia, in Germania il precariato ha una durata media significati­vamente inferiore.6

Che cosa vorresti dire alla classe politica e dirigente del nostro Paese? E a noi?

Alla classe politica vorremmo dire che un ricercatore che si è specializzato deve avere la possibilità di continuare a lavorare, altrimenti siamo di fronte a uno spreco di soldi pubblici. Vorremmo dire che senza investimenti nella ricerca pubblica non può esserci innovazione tecnologica, fondamentale per migliorare il benessere della collettività nel rispetto dell’ambiente e della tutela della salute dei cittadini. Alla classe politica e dirigente chiediamo di definire e attuare un piano di assunzioni basato sia sulle leggi vigenti sia sullo sblocco dei turnover, che consentirebbe il superamento del precariato negli EPR e il contestuale rilancio della ricerca pubblica. Il piano di assunzioni deve necessariamente basarsi su uno stanziamento di fondi vincolati alle assunzioni dei precari. Per le stabilizzazioni e per bandire concorsi riservati, basterebbe il 2% dei fondi stanziati dalla legge finanziaria, pari al costo di qualche F35. Alle società scientifiche e alle associazioni di ricerca vorremmo dire che devono assolutamente prendere posizioni decise e condivise sul problema del precariato, diffondendo le ragioni della nostra causa attraverso i loro canali di divulgazione quali riviste, congressi, siti internet e social network.

Bibliografia

  1. Baili P. Il ruolo dei precari nella ricerca sanitaria italiana: dati bibliometrici di un IRCCS pubblico. Epidemiol Prev 2017;41(2):73.
  2. Ferrante G, Fratini F. Ricercatori precari: la storia di un successo. Epidemiol Prev 2017;41(2):74.
  3. precariato-home
  4. Istat. La ricerca e sviluppo in Italia. Disponibile all’indirizzo: https://www.istat.it/it/archivio/205617
  5. D.Lgs. n. 75 del 25.05.2017 (cosiddetta Legge Madia). GU Serie Generale n. 130 del 07.06.2017.
  6. Parlamento europeo. Precarious employment i Europe. Part 1: Patterns, Trends and Policy Strategies. 2016. Disponibile all’indirizzo: http://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/STUD/2016/587285/IPOL_STU(2016)587285_EN.pdf
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