Attualità
14/08/2015

Oncogenesi: le teorie e i fatti

Nel commento pubblicato sullo scorso numero di Epidemiologia&Prevenzione,1 Enrico Oddone e colleghi affermano l’esistenza di varie teorie sulla genesi dei tumori, preferendo la Tissue Organisation Field Theory (TOFT) di Carlos Sonnenschein e Ana M. Soto2 alla Somatic Mutation Theory (SMT). Secondo il dizionario Zanichelli “teoria” è una «formulazione rigorosa e sistematica dei principi di una scienza, di una filosofia o di qualsiasi altra forma di sapere: ad esempio la t. della relatività»; secondo l’Oxford English Dictionary una teoria è: «a supposition or a system of ideas intended to explain something, especially one based on general principles independent of the thing to be explained: for instance, Darwin’s theory of evolution». In base a queste definizioni, a me sembra che né la TOFT né la SMT si qualifichino come teorie: da Cairns3 e Armitage4 in poi, il termine teoria non viene correntemente usato da chi ragiona o lavora sulle mutazioni somatiche nei tumori; sono Sonnenshein e Soto2 che ne fanno uso.

Ma passiamo dalle teorie ai fatti. Dal punto di vista storico, pietre miliari sono state la scoperta del gene di fusione BCR-ABL nella leucemia mieloide cronica5 e la giustapposizione anomala di c-MYC e IGH6 nel linfoma di Burkitt. Poi si è scoperto il gene di fusione PML-RARa7 nella leucemia promielocitica acuta (LPA); successivamente tanti altri. PML-RARa si trova nel 98%dei casi di LPA (nei rimanenti vi sono varianti di questo gene di fusione) e non si trova altrove. Ma quel che più conta, ingegnerizzando PML-RARá in topi, questi sviluppano una malattia molto simile alla LPA umana.8 Pertanto, la mutazione PML-RARa è non solo presente, ma causale nella LPA. Non siamo ancora certi se, oltre a questa, altre mutazioni siano necessarie per dare tale malattia. La TOFT, per contro, non ha generato alcuna prova sperimentale paragonabile: non credo sia stato creato un “campo tessutale” che produca regolarmente un tumore. Fra parentesi, in un lavoro pubblicato nel 2008,9 Sonnenschein e Soto ringraziano, tra gli altri sponsors, la Philip Morris International.

Per vari motivi, la dimostrazione di mutazioni somatiche nei tumori epiteliali è venuta dopo la loro scoperta nelle leucemie e nei linfomi, ma negli ultimi dieci anni si sono accumulati dati su migliaia di tumori.10-12 Per questo, parlare oggi di mutazioni somatiche come di «una teoria» mi sembra superato. Piuttosto che un problema di teoria, abbiamo invece un problema di pratica: nella maggior parte dei tumori ci sono così tante mutazioni, che non è sempre facile sceverare quelle causali (driver mutations) da quelle di passaggio (passenger mutations).13 Per riuscirci, la bioinformatica ha elaborato algoritmi appositi,14 ma molto resta ancora da fare, anche perché la dicotomia tra driver e passenger non va intesa come un assoluto: probabilmente esistono mutazioni che non guidano la tumorigenesi, ma se presenti possono contribuire alla progressione del tumore, alla velocità della sua crescita, o alla metastatizzazione. La produzione di tumori mediante l’introduzione di oncogeni mutanti o mediante il knock-out di geni oncosoppressori è stata ormai realizzata in centinaia di combinazioni diverse e in una grande varietà di tumori.15

A Oddone e colleghi dispiacciono anche gli eventi epigenetici: trovano vago il modo in cui ho usato questo termine e accetto la critica. Definirò, allora, evento epigenetico un cambiamento discreto nell’assetto della cromatina tale da modificare l’espressione di uno o più geni. Eventi siffatti sono fondamentali e fisiologici nello sviluppo e nel differenziamento;16 non è strano che possano essere inopinatamente sfruttati dal processo oncogenico, nel corso del quale l’evento epigenetico probabilmente più comune è l’ipermetilazione di un promotore che porta al silenziamento di un gene oncosoppressore.17 (Non ho capito l’ironica analogia con gli epicicli, dove l’unica somiglianza è il prefisso epi: ma sono onorato del paragone con qualche astronomo antico).

Siccome per arrivare a un tumore sono sempre necessari eventi discreti multipli – genetici o epigenetici – non esiste la contraddizione che Oddone e colleghi pensano di aver colto tra il ruolo di questi ultimi e l’affermazione che «non c’è tumore senza mutazione somatica»: perché l’affermazione sia vera basta che uno degli eventi sia mutazionale, e credo proprio che sia così. Con le tecnologie oggi disponibili è divenuto relativamente facile sequenziare l’esoma di ogni singolo tumore.18 Mi sentirei di sfidare chiunque a trovare un solo tumore che non abbia alcuna mutazione.

Infine, considerando la letteratura ormai imponente sulle mutazioni somatiche nei tumori, viene naturale chiedersi perché il loro ruolo risulti a Oddone e colleghi  così fastidioso. Non mi permetto di fare alcun processo alle intenzioni, ma potrei pensare che la loro riluttanza derivi dal fatto che sono note sostanze carcinogene che non sono genotossiche (cioè non sono mutagene). È una questione interessante che, però, a mio modo di vedere, non è in contrasto con il ruolo delle mutazioni somatiche. È necessario, infatti, tenere presente che il numero complessivo delle mutazioni somatiche è M = μD (dove μ è il tasso di mutazione e D è il numero delle divisioni cellulari);19 pertanto, un carcinogeno potrebbe aumentare tale numero o agendo su μ o agendo su D. Nel caso del carcinogeno non genotossico 1,4-diclorobenzene (DCB) è stato dimostrato, per esempio, che tumori renali si sviluppano nei ratti maschi a seguito del legame di DCB con la globulina di origine epatica a-2- urinaria (a2u),20 che forma complessi stabili nel parenchima renale. L’accumulo di a2u provoca morte cellulare, seguita da una sostenuta proliferazione rigenerativa (aumento massivo di D, dove ogni divisione comporta il rischio di mutazione): di qui si originano i tumori renali.

Infine, per quanto riguarda la discussione aperta, siamo certamente d’accordo. Nell’ambito della prevenzione hanno contribuito in modo autorevole su E&P Paolo Vineis e Rodolfo Saracci,21 e Lorenzo Richiardi e Milena Maule.22 Entrambi gli interventi confermano la tesi di Tomasetti e Vogelstein23 che il numero di divisioni cellulari è un fattore nello sviluppo del cancro (sempre perché ogni divisione è a rischio di mutazione). Al tempo stesso, fattori ambientali aumentano questo rischio quando causano un aumento del ritmo delle divisioni stesse e/o quando aumentano il tasso di mutazioni (nella mia terminologia, fattori ambientali agiscono sia su D sia su μ): è così che il fumo delle sigarette e altri agenti ambientali fanno passare l’incidenza del cancro del polmone da 3 a 87 su 100.000.

Per quanto riguarda la terapia, non ho dubbi che continueremo sempre a coniugare gli approcci razionali con un sano empirismo. Se qualcuno riesce a ottenere la reversione del fenotipo tumore agendo sulla matrice extracellulare (come sperano Brock et al,24 citati nell’ultima referenza di Oddone e colleghi), ben venga. Nel frattempo, per tornare all’esempio della LPA, l’impiego dell’acido retinoico è nato dalla base molecolare della malattia,25 mentre l’impiego dell’arsenico triossido26 è nato dall’empirismo cinese. In un altro settore, dopo decenni di frustranti tentativi di immunoterapia dei tumori, i recenti risultati alquanto spettacolari ottenuti in oncologia con i modulatori della funzione delle cellule T (anti-CTLA4, anti-PD-1, anti PD-L1)27 sono nati da applicazioni empiriche della conoscenza approfondita di tali cellule,28 ma appare probabile che ilmeccanismo d’azione di questi nuovi farmaci sia legato in buona parte proprio al fatto che le mutazioni somatiche presenti nei tumori generano nuovi epitopi (veri neoantigeni) riconoscibili dalle cellule T.29 A mio modo di vedere è assai incoraggiante che emerga così una connessione inaspettata: i prodotti delle mutazioni somatiche dei tumori si rivelano a un tempo bersagli potenziali sia di farmaci mirati sia di approcci innovativi che sfruttino la naturale e squisita ultraspecificità del sistema immunitario.

Conflitti di interesse dichiarati: nessuno.

Bibliografia

  1. Oddone E, Modonesi C, Giuliani A. Oncogenesi: solo mutazioni somatiche? Epidemiol Prev 2015; 39(3):158-9.
  2. Soto AM, Sonnenschein C. The tissue organization field theory of cancer: a testable replacement for the somatic mutation theory. Bioessays 2011; 33(5):332-40.
  3. Cairns J.Mutation selection and the natural history of cancer. Nature 1975;255(5505):197-200.
  4. Armitage P. Multistage models of carcinogenesis. Environ Health Perspect 1985;63:195-201.
  5. Groffen J, Stephenson JR, Heisterkamp N et al. Philadelphia chromosomal breakpoints are clustered within a limited region, bcr, on chromosome 22. Cell 1984;36(1):93-9.
  6. Klein G. Specific chromosomal translocations and the genesis of B-cell-derived tumors in mice and men. Cell 1983;32(2):311-5.
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