Attualità
15/09/2011

Mortalità e biossido di azoto: i dati di EpiAir

Vai all'INTERVISTA a Monica Chiusolo, prima firmataria dello studio


SCHEDA dello studio

Short term effects of nitrogen dioxide on mortality and susceptibility factors in ten italian cities: the epiair study

Chiusolo M1, Cadum E, Stafoggia M, Galassi C, Berti G, Faustini A, Bisanti L, Vigotti MA, Dessì MP, Cernigliaro A, Mallone S, Pacelli B, Minerba S, Simonato L, Forastiere F, on behalf of the EpiAir Collaborative Group
1 Environmental epidemiological Unit, Regional Environmental Protection Agency, Piedmont, Turin, Italy

Environ Health Perspect 2011 May 17 [Epub ahead of print]

Sintesi

Il biossido di azoto (NO2) è uno dei maggiori inquinanti atmosferici. Questo forte irritante delle vie aeree si forma dall’ossidazione dell’ossido nitrico (NO) prodotto nei processi di combustione. Le maggiori sorgenti sono i gas di scarico degli autoveicoli (soprattutto da motori diesel), le centrali termoelettriche, gli impianti di riscaldamento, e, negli ambienti chiusi, le cucine a gas, le stufe e il fumo di tabacco.
Diversi studi condotti in Europa e in Canada hanno dimostrato che aumenti di concentrazione di NO2 in atmosfera sono associati a incrementi delle morti per cause naturali, cardiovascolari e respiratorie. Pochi però sono quelli che, finora, hanno indagato il ruolo di fattori che possono rendere le persone più suscettibili agli effetti dell’NO2. Questo tipo di indagine costituisce lo scopo del presente lavoro.
Dai dati raccolti nelle dieci città italiane che fanno parte del campione compreso nello studio multicentrico EpiAir viene la conferma che il biossido d’azoto aumenta in maniera statisticamente significativa la mortalità per cause naturali, cardiovascolari e respiratorie. Particolarmente suscettibili agli effetti dannosi dell’NO2 sono i cardiopatici e i diabetici.

Obiettivi dello studio 

Due gli obiettivi principali di questo studio: 1. indagare il rapporto tra mortalità e NO2 per specifiche cause di morte; 2. valutare gli aspetti sociodemografici e le condizioni di salute che possono rendere gli individui più suscettibili all’azione del biossido di azoto.

Metodologia

Dai dati di mortalità di 10 città italiane (Bologna, Cagliari, Firenze, Mestare-Venezia, Milano, Palermo, Pisa, Roma, Taranto, Torino), corrispondenti a circa il 12% della popolazione della Penisola, si sono selezionati quelli riguardanti 276 205 soggetti di età >=35 anni deceduti per cause naturali (cardiache, cerebrovascolari e respiratorie) tra il 2001 e il 2005.
Si sono quindi raccolte informazioni riguardanti età, sesso, reddito, status socioeconomico di questi soggetti.
I dati ottenuti dagli archivi regionali ospedalieri hanno permesso di risalire al luogo del decesso (fuori dall’ospedale, entro 4 settimane dalla dimissione, in ospedale, in casa di cura) e di avere accesso alle diagnosi alla dimissione nei due anni precedenti la morte.
Le condizioni di salute nei 24 mesi prima del decesso sono state classificate come acute o croniche.
I dati sull’inquinamento atmosferico sono stati ottenuti da reti di rilevamento gestite dalle ARPA o da autorità locali. Si sono raccolte informazioni sulle concentrazioni di NO2, di ozono e di PM10 secondo metodi validati già impiegati in diversi studi europei. Riguardo alla durata, gli effetti del biossido di azoto sono stati classificati come immediati (entro il primo giorno) ritardati (tra il secondo e il quinto giorno) e prolungati (dal primo al quinto giorno).
L’applicazione di modelli bi-pollutant ha permesso di stimare l’associazione tra NO2 e mortalità al netto degli effetti di PM10 e ozono.

Risultati

Incrementi di 10 µg/m3 di NO2 nell’aria respirata sono correlati ad aumenti statisticamente significativi di mortalità per cause naturali, respiratorie e cardiache: il rischio di morte aumenta del 2.09% (IC95% 0.96-3.24) per tutte le morti naturali, del 2.63% (IC 95% 1.53-3.75) per cause cardiache e del 3.48% (IC 95% 0.75-6.29) per cause respiratorie.
L’associazione è più forte:

  • nella stagione calda, quando l’aumento del rischio passa a +4.46% (IC 95% 3.14-5.8), +4.77 (IC 95% 2.92-6.65) e +9.63 (IC 95% 4.08-15.47) per le cause naturali, cardiache e respiratorie, rispettivamente, e diventa significativo anche quello per cause cerebrovascolari: +7.87% (IC 95% 4.78-11.05);
  • nel caso di persone ricoverate in ospedale nei due anni precedenti il decesso.

Questi effetti sono indipendenti dalla presenza di altri inquinanti (PM10 e ozono).
In sintesi, quando la concentrazione di NO2 aumenta nell’aria sono a maggior rischio di morte:

  • le persone affette da malattie cardiovascolari, in particolare quelle che hanno già avuto un ricovero per questo motivo; );
  • i diabetici; );
  • i soggetti con condizioni croniche multiple; );
  • gli anziani.

Per quanto riguarda gli aspetti socioeconomici, i dati raccolti non permettono di determinare l’influenza esercitata da questi fattori sulla suscettibilità degli individui al biossido d’azoto.

Conclusioni

L’identificazione di un sottogruppo di popolazione affetto da malattie cardiovascolari croniche e diabete, particolarmente suscettibile agli effetti dannosi dell’NO2, costituisce uno strumento prezioso per lo sviluppo di azioni di prevenzione mirate a tutelare questa frazione ad alto rischio.


Intervista a MONICA CHIUSOLO, prima firmataria dello studio

Sono noti i meccanismi fisiologici attraverso i quali l’NO2 fa precipitare le condizioni di salute fino a provocare un aumento di mortalità?
Studi sperimentali e di tossicocinetica confermano la plausibilità degli effetti cardiovascolari e respiratori dell’NO2, anche se non è numerosa la produzione scientifica relativa a questo specifico inquinante. Il biossido di azoto è un irritante e un ossidante con chiari effetti tossicologici: già a dosi moderate provoca tosse, dolore toracico e insufficienza circolatoria. Studi di dosimetria indicano che questo agente inquinante si deposita lungo tutto l’albero respiratorio, ma in particolar modo nella parte distale del polmone. Il principale meccanismo di tossicità dell’NO2 appare coinvolgere la perossidazione lipidica nelle membrane cellulari e le varie azioni dei radicali liberi sulle molecole strutturali e funzionali. Tuttavia gli studi disponibili non hanno chiarito gli effetti dell’esposizione al biossido di azoto sull’uomo a dosi basse e moderate, prossime a quelle dell’ambiente esterno. L’evidenza tossicologica suggerisce l’aumento della suscettibilità alle infezioni, un deficit della funzionalità polmonare e un deterioramento dello stato di salute delle persone con condizioni respiratorie croniche.

Perché l’effetto dell’NO2 è maggiore nella stagione calda?
I risultati del nostro studio vanno a sommarsi alla crescente evidenza nella letteratura epidemiologica di un aumento degli effetti degli inquinanti nella stagione calda. Vero è che nel periodo estivo le concentrazioni atmosferiche degli inquinanti rappresentano in modo più attendibile il livello di esposizione della popolazione, la quale, a causa del clima, passa più tempo all’aperto. Inoltre, il ricambio d’aria nelle abitazioni è più alto che d’inverno e l’esposizione agli inquinanti atmosferici è quindi maggiore. Un altro fattore importante è che la miscela di inquinanti risulta essere particolarmente nociva nella stagione calda con una diversa composizione e dimensione delle particelle e una differente combinazione tra particelle e gas, specie di natura ossidante, quale l’NO2, oltre che l’ozono. Si può ipotizzare quindi un effetto sinergico tra gli inquinanti e l’aumento della temperatura. Va detto inoltre che nel periodo estivo aumentano sia la suscettibilità individuale agli effetti dell’inquinamento ambientale sia la prevalenza di soggetti suscettibili nella popolazione: non si esclude, infatti, una maggiore permanenza in città degli anziani in condizioni di salute più compromesse.

Il fatto che gli eccessi di rischio stimati in questo lavoro siano maggiori rispetto a quanto pubblicato da altri studi (es: MISA2, APHEA2) è spiegabile soltanto dall’utilizzo di diverse metodologie d’analisi? Oppure c’è sotto qualcosa di più reale? Avete formulato delle ipotesi?
La variabilità degli effetti a breve termine degli inquinanti atmosferici tra differenti popolazioni è comunemente accettata e attribuita alle differenti caratteristiche degli inquinanti, delle modalità di esposizione, della suscettibilità individuale o della presenza di un’interazione con la temperatura. Non è chiara invece la possibilità di una variazione temporale dell’effetto in termini di maggiore pericolosità dell’inquinamento attuale rispetto a quello pregresso. Biggeri e Baccini hanno effettuato una valutazione comparativa tra le stime italiane (Epidemiol Prev 2009; 33 (6) suppl 1: 95-102) Sono stati analizzati i dati degli studi MISA ed EpiAir adottando lo stesso metodo di analisi e considerando lo stesso insieme di città ed è stato osservato un aumento delle stime di effetto, per la mortalità naturale, passando dal periodo 1996-2002 al periodo 2001-2005, con un incremento consistente e coerente per tutte le città di maggiori dimensioni. Le ipotesi formulate per spiegare tali risultati sono: a) un miglioramento della rete di monitoraggio della qualità dell’aria che ha portato ad avere dati più accurati di esposizione; b) una relazione dose-risposta non lineare, senza soglia e con tendenza a un plateau ad alte dosi, con rischi maggiori per livelli di concentrazione inferiori; c) che gli inquinanti considerati (NO2, PM10 e ozono) siano in realtà solo surrogati della miscela o dei componenti tossici responsabili degli effetti osservati, e le correlazioni tra questi surrogati e i componenti possono essere differenti a seconda del periodo considerato; d) che anche la composizione della popolazione esaminata può variare nel tempo: per esempio, a causa dell’invecchiamento si può verificare un aumento della suscettibilità dei soggetti esposti.

Può fare qualche commento sull’ipotesi che l’NO2 possa essere un surrogato di altri inquinanti non misurati, come il particolato ultrafine?
Esiste una considerevole correlazione tra i vari inquinanti: PM10 e NO2, CO e PM2.5, PM10 e PM2.5; tutto ciò indica l’esistenza di una miscela tossica fortemente correlata con la frazione più fine del particolato, ossia PM2.5 e PM0.1. In questo studio non è stato possibile analizzare la frazione ultrafine del particolato per l’assenza di dati di monitoraggio nel periodo considerato. Attualmente è in corso lo studio EpiAir2 che vede coinvolte, oltre alle città partecipanti a EpiAir1, nuovi centri, per un totale di 15 città per il periodo 2009-2010. Dove possibile, verranno raccolti i dati di monitoraggio della frazione fine delle polveri (PM2.5) e sarà inclusa una valutazione sulla modificazione della composizione del particolato urbano.

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