Mediazioni accademiche: io non ci credo più
L’appello di Ricceri et al. ha suscitato un vivace confronto. Come suggerisce, non va persa l’opportunità di identificare e approfondire i temi che sono centrali in questo momento nel Paese. La profonda crisi che stiamo vivendo, e l’attuata politica dei tagli lineari alla pubblica istruzione, ci fa vedere il precipizio da vicino, ma è anche il momento delle opportunità e quello in cui si presentano alla ribalta nuove generazioni e nuove energie.
Occorrono risposte molto più radicali
I concorsi: oggettività apparente, opacità reale
La prima questione, a me pare, è quella dei concorsi. Come stupirsi, ci sono libri, inchieste, analisi e, quindi, quando una storia di torti come quella dei nostri epidemiologi ci riguarda, la reazione di protesta è immediata e, per me, condivisibile. Anni fa, prima ancora che l’epidemiologia fosse riconosciuta come disciplina dell’Igiene alcune cattedre furono assegnate per cooptazione accademica, a pochi epidemiologi: contentini dell’accademia a una disciplina che aveva dimostrato, sviluppandosi prevalentemente fuori dalle Università, di essere in grado di produrre ricerca di eccellenza. Dopo il riconoscimento della disciplina epidemiologica, tutto ha continuato a funzionare per cooptazione interna, senza considerazione della produzione scientifica, riproducendo il vizio italiano di sempre. Meglio un interno fedele, che ha seguito per anni, pazientemente e spesso senza brillare, un percorso di servizio, piuttosto che un giovane brillante che ha avuto coraggio, magari all’estero, e che ha collaborato con gruppi di eccellenza ‘non ortodossi’. In fondo a cosa serve in un Istituto avere un ricercatore di eccellenza, con buon Impact factor, ma soprattutto che abbia seguito una buona scuola scientifica e appreso il metodo epidemiologico? Come ben si deduce dagli atti del concorso è un di più, superfluo. Altre sono le capacità che servono per fare il ricercatore universitario. Quali non è dato sapere. Non ho esperienza di Università, so per la mia attività in una Unità operativa di epidemiologia che la produzione scientifica non basta, serve capacità pratica, sapersi relazionare, avere capacità propositiva e organizzativa nel portare avanti progetti di ricerca. Tutte qualità che devono essere valutate e considerate da chi assume un ricercatore in un gruppo di ricerca ed è per questo, nelle realtà internazionali, che chi dirige assume la responsabilità di scegliere e rendere conto della scelta dimostrando i risultati del gruppo di lavoro.
Da noi l’apparente oggettività di un concorso pubblico nasconde nella quasi totalità dei casi un arbitrio amorale, perché non trasparente. In fondo è rara, come avviene nel caso in oggetto, una dichiarazione esplicita che afferma che la produzione scientifica non è pertinente. Di solito, ormai lo sappiamo, la gestione è oscura, fatta di molte riunioni, telefonate per invitare a stare casa il giorno delle prove. Per una interessante presentazione di un modo diverso, e a mio parere interessante, di vedere le nostre pratiche di selezione a confronto con l’esperienza internazionale si legga l’inchiesta di Andrea Mariuzzo e nell’insieme i contributi che appaiono nel sito
Il sistema attuale con il quale io ho convissuto nella mia carriera professionale, porta a compromessi e opacità che non ci sono solo nell’Università (il problema dei concorsi esiste in tutto il sistema pubblico come il SSN), talora con l’idea di fare il bene della scienza (assecondo il disegno di uno, ma magari, come effetto secondario, riesco a sistemare una persona che so essere brava).
Un caldo invito a entrare nel merito
Mi piacerebbe quindi che Ricceri e gli altri che hanno promosso e anche condiviso l’appello si esprimessero affrontando cosa pensano sarebbe utile fare, come favorire il passaggio da un precariato che ci sta distruggendo alla selezione per merito.
Entrare nello specifico significa dire come organizzare la presenza di figure come l’epidemiologo nel sistema sanitario pubblico. Senza rimandare ad altri il cui compito sarebbe quello di fare ‘le nuove regole’. Alcune domande sono:
Come la selezione per merito è compatibile con l’apparente oggettività di un concorso pubblico in cui non si può motivare in maniera trasparente chi è bravo e chi serve al gruppo di ricerca per raggiungere i suoi obiettivi?
Ancora:
È compatibile l’intangibilità della posizione di ruolo (ricercatore e professore a vita dopo il pubblico concorso) qualunque sia la produzione scientifica e l’operatività nel gruppo di lavoro?
Mi piacerebbe che l’appello fosse strumento e inizio di una presa di posizione, non solo di giusta protesta. Temi che non possono essere elusi e che non basta affrontare lamentando le assurdità dell’oggi. Epidemiologia & Prevenzione è uno spazio disponibile: il richiamo è a una assunzione di responsabilità, non solo dovuto sostegno alla legittima protesta.
Eugenio Paci
direttore scientifico
Epidemiologia & Prevenzione
Leggi anche il nuovo commento di Rodolfo Saracci.