Attualità
27/06/2012

Mediazioni accademiche: io non ci credo più

L’appello di Ricceri et al. ha suscitato un vivace confronto. Come suggerisce, non va persa l’opportunità di identificare e approfondire i temi che sono centrali in questo momento nel Paese. La profonda crisi che stiamo vivendo, e l’attuata politica dei tagli lineari alla pubblica istruzione, ci fa vedere il precipizio da vicino, ma è anche il momento delle opportunità e quello in cui si presentano alla ribalta nuove generazioni e nuove energie.

Occorrono risposte molto più radicali

Oggi non sappiamo bene quale sarà il futuro della nostra Università e, più in generale, della nostra ricerca. La prima questione è quella dei concorsi. Difficile stupirsi dei casi riportati: la stampa di tutti i tipi, scandalistica, laica o  scientifica, è ricca di aneddoti, processuali e no, ed esiste un filone specializzato sul carattere eredo-familiare delle nomine dei professori universitari. Possiamo davvero pensare che l’appello di Ricceri e colleghi sia espressione di una situazione particolare dell’epidemiologia e che dobbiamo confidare che le riorganizzazioni interne all’accademia risolveranno la questione? Mi dispiace per le speranze che Costa nutre, ma la mia impressione è che  la sostanza sia peggiorata (sicuramente  in parallelo con il decadimento generale della struttura pubblica in Italia). Occorre riflettere sui concorsi, sull’importanza del merito, ma anche sul fatto, come dice Costa, che il potere accademico – e non solo – esiste, che è tradizione in Italia ogni tanto sfidare il potere, ma nella sostanza, piano piano assistere al rientro delle spinte di cambiamento, che si rivelano periodiche fiammate – rumorose, ma poco incisive. Se ho capito il suo ragionamento, il punto che pone Costa è: troppe volte abbiamo protestato e siamo ancora qui. È necessario allora prendere parte alla riforma in atto e, inserendosi in maniera fattiva e propositiva in questo processo, accettare mediazioni con l’Igiene (nel nostro caso); solo così si può ottenere qualcosa per l’Epidemiologia. Io ormai non riesco più a crederci, ma soprattutto a me sembra che le risposte da dare siano ben più radicali, e che le mediazioni accademiche, così spesso corporative e che escludono di fatto  le nuove generazioni, siano assai poco promettenti di un rinnovamento.

I concorsi: oggettività apparente, opacità reale

La prima questione, a me pare,  è quella dei concorsi. Come stupirsi, ci sono libri, inchieste, analisi e, quindi, quando una storia di torti come quella dei nostri epidemiologi ci riguarda, la reazione di protesta è immediata e, per me, condivisibile. Anni fa, prima ancora che l’epidemiologia fosse riconosciuta come disciplina dell’Igiene alcune cattedre furono assegnate per cooptazione accademica,  a pochi epidemiologi: contentini dell’accademia a una disciplina che aveva dimostrato, sviluppandosi prevalentemente fuori dalle Università, di essere  in grado di produrre ricerca di eccellenza. Dopo il riconoscimento della disciplina epidemiologica, tutto ha continuato a funzionare per cooptazione interna, senza considerazione della produzione scientifica, riproducendo il vizio italiano di sempre. Meglio un interno fedele, che ha seguito per anni, pazientemente e spesso senza brillare, un percorso di  servizio, piuttosto che un giovane brillante che ha avuto coraggio, magari all’estero, e che  ha collaborato con gruppi di eccellenza ‘non ortodossi’. In fondo a cosa serve in un Istituto avere un ricercatore di eccellenza, con buon Impact factor, ma soprattutto che abbia seguito una buona scuola scientifica e appreso il metodo epidemiologico? Come ben si deduce dagli atti del concorso è un di più, superfluo. Altre sono le capacità che servono per fare il ricercatore universitario. Quali non è dato sapere. Non ho esperienza di Università, so per la mia attività in una Unità operativa di epidemiologia che la produzione scientifica non basta, serve capacità pratica, sapersi relazionare, avere capacità propositiva e organizzativa nel portare avanti progetti di ricerca. Tutte qualità che devono essere valutate e considerate da chi assume un ricercatore in un gruppo di ricerca ed è per questo, nelle realtà internazionali, che chi dirige  assume la responsabilità di scegliere e rendere conto della scelta dimostrando i risultati del gruppo di lavoro.

Da noi l’apparente oggettività di un concorso pubblico nasconde nella quasi totalità dei casi un arbitrio amorale, perché non trasparente. In fondo è rara, come avviene nel caso in oggetto, una dichiarazione esplicita che afferma che la produzione scientifica non è pertinente. Di solito, ormai lo sappiamo, la gestione è oscura, fatta di molte riunioni, telefonate per invitare a stare casa il giorno delle prove. Per una interessante presentazione di un modo diverso, e a mio parere interessante, di vedere le nostre pratiche di selezione a confronto con l’esperienza internazionale si legga l’inchiesta di Andrea Mariuzzo e nell’insieme i contributi che appaiono nel sito 

 

 

Il sistema attuale con il quale io ho convissuto nella mia carriera professionale, porta a  compromessi e opacità che non ci sono solo nell’Università (il problema dei concorsi esiste in tutto il sistema pubblico come il SSN), talora con l’idea di fare il bene della scienza (assecondo il disegno di uno, ma magari, come effetto secondario, riesco a sistemare una persona che so essere brava).

Un caldo invito a entrare nel merito

Mi piacerebbe quindi che Ricceri e gli altri che hanno promosso e anche condiviso l’appello si esprimessero affrontando cosa pensano sarebbe utile fare, come favorire il passaggio da un precariato che ci sta distruggendo alla selezione per merito.

Entrare nello specifico significa dire come organizzare la presenza di figure come l’epidemiologo nel sistema sanitario pubblico. Senza rimandare ad altri il cui compito sarebbe quello di fare ‘le nuove regole’. Alcune domande sono:

Come la selezione per merito è compatibile con l’apparente oggettività di un concorso pubblico in cui non si può motivare in maniera trasparente chi è bravo e chi serve al gruppo di ricerca per raggiungere i suoi obiettivi?

Ancora:
È compatibile l’intangibilità della posizione di ruolo (ricercatore e professore a vita dopo il pubblico concorso) qualunque sia la produzione scientifica e l’operatività nel gruppo di lavoro?

Mi piacerebbe che l’appello fosse strumento e inizio di una  presa di posizione, non solo di giusta protesta. Temi che non possono essere elusi e che non basta affrontare lamentando le assurdità dell’oggi.  Epidemiologia & Prevenzione è uno spazio disponibile: il richiamo è a una assunzione di responsabilità, non solo dovuto sostegno alla legittima protesta.

Eugenio Paci
direttore scientifico
Epidemiologia & Prevenzione

Leggi anche il nuovo commento di Rodolfo Saracci.

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