Lo screening che guarda al futuro
Intervista di Eva Benelli a Paola Mantellini, Direttrice dell’Osservatorio Nazionale Screening, ISPRO (Firenze)
Strumento potente di prevenzione e prestazione di riferimento nei livelli essenziali di assistenza (LEA) già da molti anni, lo screening oncologico viene spesso richiamato all’attenzione ampia di operatori e cittadini più per i risultati che non riesce a raggiungere che per la vivacità con cui invece si evolve e si indaga, soprattutto sugli aspetti cruciali della qualità delle prestazioni. Anche il recente appello Non possiamo fare a meno del servizio sanitario pubblico a firma di 14 esperti del mondo sanitario,1 per sottolineare l’insufficiente investimento in prevenzione, stigmatizza: «il che spiega in parte gli insufficienti tassi di adesione ai programmi di screening oncologico che si registrano in quasi tutta Italia». Ma è davvero così? O la realtà dell’offerta dello screening oncologico nel nostro Paese si merita un’analisi più precisa e dettagliata?
Ne abbiamo parlato con Paola Mantellini, direttrice dell’Osservatorio Nazionale Screening e responsabile della SC Screening e Prevenzione Secondaria dell’Istituto per lo Studio, la Prevenzione e la Rete Oncologica (ISPRO) di Firenze.
Il 2021 ha confermato di essere, in continuità con il 2020,2 un anno di resilienza importante e con risultati significativi per una buona parte dei programmi di screening italiani. Nel 2022 l’indicatore di copertura del Nuovo Sistema di Garanzia calcolato per le macroaree Nord, Centro, Sud e Isole sottolinea, invece, che c’è stato qualche problema di tenuta per lo screening mammografico e per lo screening colorettale, in particolare al Nord, mentre si registra una tendenza all’aumento della copertura dello screening mammografico al Sud e nelle Isole. I dati del 2023 non sono ancora disponibili (il dato sugli aderenti a seguito dell’invito nel 2023 si raccoglie fino a fine aprile 2024), ma la sensazione è che vi sia un andamento positivo simile a quanto osservato nel 2021.
Come ha reagito il mondo dello screening all’impatto della pandemia?
La comunità dello screening si è adoperata fortemente per contenere i ritardi determinati prima dal lockdown di marzo-aprile 2020 e poi dai tempi di erogazione dei test che, per garanzie di sicurezza, dovevano essere inevitabilmente più dilatati. Non sono mancate, però, esperienze innovative, soprattutto dal punto di vista organizzativo, e, pur nella drammaticità di questi anni, si è fatto di tutto per facilitare l’accessibilità al servizio, ottimizzando al massimo le risorse disponibili. Alcune Regioni, per esempio, hanno attivato piattaforme web per permettere alle persone di verificare direttamente la propria posizione di invito, prenotare o spostare un appuntamento. In altri casi, i call center hanno avuto l’incarico di raggiungere telefonicamente tutta la popolazione che ne aveva diritto. Mentre là dove i servizi erano più in crisi e depauperati di personale, si è puntato sulla consegna per posta della provetta per la ricerca del sangue occulto fecale o sono nate iniziative sul campo come l’invio del dispositivo di auto-prelievo per HPV o la disponibilità di unità mobili con mammografia a cui le donne potevano accedere nel corso di una intera giornata. Insomma, lo screening ha dimostrato di essere vivo e vitale.
In diverse occasioni, però, è emerso l’allarme per il ritardo diagnostico che si sarebbe determinato a seguito dei lockdown.
È vero. Anche se l’impegno è stato ed è rilevante, bisogna riconoscere che non tutti i programmi sono stati in grado di recuperare tutto il ritardo e che nella maggior parte dei casi si è determinato un allungamento del round di invito di qualche mese. In sostanza, nel 2021 molti programmi sono stati in grado di garantire l’offerta a tutta la popolazione che ne aveva diritto nel 2020 solo effettuando uno slittamento al 2022 di una parte di inviti del 2021. A questo si aggiungono situazioni particolarmente critiche in cui si è proprio saltato un round: si è perso, cioè, un intero anno di inviti. È evidente che maggiore è il ritardo accumulato e non recuperato, maggiore è la probabilità di ritardo diagnostico.
A conferma che purtroppo alcune differenze si sono amplificate, i dati del sistema di sorveglianza PASSI mettonoin evidenza che nel periodo 2020-2021 c’è stato un aumento delle disuguaglianze, in particolare per stranieri e persone con basso livello di istruzione.
Ci sono, però, esperienze che affrontano esattamente gli aspetti delle disuguaglianze, con un’attenzione particolare alle popolazioni più fragili, come i migranti.
Come indicano gli studi pubblicati in questo numero di E&P, cruciale è la qualità dell’organizzazione per facilitare l’accesso dei gruppi fragili. A conferma di questo, il fatto che la partecipazione agli screening della popolazione proveniente da Paesi a forte pressione migratoria nelle Regioni del Nord e di alcune del Centro è superiore alla partecipazione della popolazione nativa nelle Regioni del Sud, che scontano serie problematiche di tipo organizzativo e gestionale. Certamente, come richiama Francovich,3 vi sono poi altri elementi che depongono a favore di una maggiore partecipazione: il tempo di residenza in Italia, per esempio, o l’avere un partner italiano.
Molto interessante anche l’osservazione della realtà pratese per quanto riguarda lo screening cervicale,4 che ha messo in evidenza che nelle donne migranti iscritte da più di 5 anni alla Anagrafe Assistibili la partecipazione era maggiore rispetto a quelle iscritte da meno di 5 anni. Non solo, l’acquisizione del medico di medicina generale (MMG), condiziona la partecipazione: infatti, l’adesione allo screening cervicale delle donne assistite da un MMG è risultata 4 volte maggiore rispetto alle donne straniere che non avevano rapporti con un medico di famiglia.
«Fintanto che una grossa fetta di popolazione avrà come priorità trovare una casa, mantenere dignitosamente i figli e risolvere condizioni economiche e lavorative estremamente precarie, la prevenzione è e rimarrà un lusso che molte donne non possono permettersi», chiosa lo stesso articolo, che include anche alcune analisi qualitative.
Il coinvolgimento effettivo e fattivo degli MMG è un tema ricorrente quando si ragiona dell’efficacia dell’offerta di screening.
Sì, già nel 2010, a cui risale l’esperienza di Prato, la questione del ruolo del medico di medicina generale era considerata rilevante. Non c’è dubbio che vada incentivato il loro ruolo di “portatori di tutele e diritti”. Sappiamo bene che già la sola firma del MMG sulla lettera di invito5 aumenta la partecipazione, ma possiamo tranquillamente sostenere che un supporto “passivo” non è sufficiente, anche in considerazione dell’aumento della complessità che si è registrato nell’ambito della salute negli ultimi 10-15 anni. Diventa, quindi, necessaria una modalità maggiormente proattiva e più strutturata di affrontare il problema, rifacendosi ai principi, al momento un po’ abbandonati, del chronic care model. La medicina di iniziativa, con le sue varie strutturazioni, può rappresentare un modello operativo che permette al MMG di svolgere funzioni di promozione anche nei confronti di quella fetta di popolazione oggetto dello screening che di solito non vede nel proprio ambulatorio. Sappiamo, infatti, che soggetti sani e ancora in età lavorativa hanno pochissimi, per non dire nulli, contatti con il MMG, che non può quindi esercitare le sue funzioni di counselling a favore di tutti gli interventi di prevenzione, screening compresi. Certo è che chi si occupa dell’organizzazione dello screening deve tenere ben presente che la medicina generale è un aspetto cruciale e che le iniziative di formazione, comunicazione, monitoraggio e rendicontazione sociale devono coinvolgere anche questi professionisti.
Ci sono altre figure o altre realtà della prevenzione che può essere strategico coinvolgere?
Data la complessità a cui mi riferivo prima, credo che la visione debba allargarsi e tenere presente che possiamo senz’altro considerare il ruolo di altri stakeholder e di altri modelli, purché in maniera sistematica e strutturata. A questo proposito, anche per agganciare utenti e cittadini che si recano poco dal MMG, la rete delle farmacie può rappresentare un valido supporto per una promozione efficace dello screening. La maggior parte delle Regioni italiane, a seguito dell’esperienza progettuale della Farmacia dei Servizi hanno incentivato e sottoscritto accordi con le associazioni dei farmacisti con l’intento di facilitare la partecipazione allo screening del colonretto.6 Certamente, non si può confinare il ruolo del farmacista alla consegna di una provetta, ma anzi vanno sfruttare tutte le potenzialità di questa professionalità a supporto di tutta la prevenzione.
E ancora, pensare di integrare lo screening nelle logiche del Workplace Health Promotion (WHP) potrebbe essere un’opzione interessante, in particolare per alcune tipologie di utenti (per esempio, la popolazione cinese che è molto concentrata sulla attività lavorativa e che lo fa in grandi capannoni); da un lato strutturando interventi informativi e comunicativi, dall’altro facilitando la partecipazione attraverso la consegna della provetta per la ricerca del sangue occulto fecale o l’offerta del dispositivo di autoprelievo per HPV.
E, sempre avendo in mente la WHP, incentivare e intensificare le interazioni tra mondo dello screening e medici competenti permetterebbe di creare un nuovo punto di riferimento per la rete.
In sostanza, quello dello screening è un mondo in fermento, che, tuttavia, vuole andare oltre le emergenze e le difficoltà e al quale, si spera, il Piano nazionale di prevenzione 2020-2025 e il Piano oncologico nazionale 2023-2027 recentemente approvato possano essere di supporto congiuntamente alle innovazioni che il PNRR porterà con sé.
Bibliografia
- Davini O, Alleva E, De Fiore L et al. Non possiamo fare a meno del servizio sanitario pubblico. Scienza in rete, 02.04.2024. Disponibile all’indirizzo: https://www.scienzainrete.it/articolo/non-possiamo-fare-meno-del-servizio-sanitario-pubblico/ottavio-davini-enrico-alleva-luca-de
- Giorgi Rossi P, Carozzi P, Falini P et al. The impact of the COVID-19 pandemic on Italian population-based cancer screening activities and test coverage: Results from national cross-sectional repeated surveys in 2020. Elife 2023:12:e81804.
- Francovich L, Di Napolli A, Giorgi Rossi P, Gargiulo L, Giordani B, Petrelli A. Cervical and breast cancer screening among immigrant women resident in Italy. Epidemiol Prev 2017;41(3-4) Suppl 1: 18-25.
- Epifani C, Manca MC, Lacheb A et al. L’adesione ai programmi di screening della popolazione migrante. Salute&Territorio 2010;180:183-87.
- Giorgi Rossi P, Camilloni L, Cogo C et al. HTA report – Metodi per aumentare la partecipazione a programmi di screening oncologici. Epidemiol Prev 2012;36(1) Suppl 1.
- Della Valle PG, Deandrea S, Battisti F et al. The community pharmacy model for colorectal cancer screening: Policy insights from a national programme. Res Social Adm Pharm 2023;19(12):1595-601.