Attualità
03/06/2015

L’epidemiologia e la prevenzione ai tempi del Piano nazionale di prevenzione 2014-2018

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Introduzione

Le malattie non trasmissibili (MNT), tumori e malattie cardiovascolari in particolare, sono diventate un problema di salute prioritario. Con la riduzione della mortalità per malattie trasmissibili nei Paesi in via di sviluppo, oggi nel mondo 3 persone su 5 muoiono per MNT. Le principali ragioni di questa emergenza sono l’aumento dell’attesa di vita media, che ha raggiunto i 70 anni nel 2010, 6 anni di più rispetto al 1990, e il controllo della malattie infettive.1 Il Global Burden of Disease (GBD) Study2 ha stimato che in Italia nel 2010 c’è stato un carico di malattia di circa 14.318.000 anni di vita persi per morte o disabilità precoce (DALY), causati da fattori strettamente legati a MNT,3 che rappresentano l’88%di tutti i DALY per l’Italia. Il 58%di questi è attribuibile a 7 fattori di rischio modificabili attraverso cambiamenti di stile di vita: dieta, ipertensione, fumo, sovrappeso, sedentarietà, iperglicemia, ipercolesterolemia.

Il quadro demografico e quello epidemiologico conseguente rendono irrinunciabile per la sostenibilità del welfare un forte investimento dell’SSN nella riduzione di questi fattori di rischio.4 Il modo con cui oggi il servizio sanitario affronta questa priorità si rifletterà sulla capacità di resilienza all’invecchiamento e al suo impatto sulla salute della popolazione italiana.

Obiettivo di questo contributo è riflettere su alcuni aspetti critici del sistema preventivo direttamente associati alla risposta all’emergenza delle MNT e sul contributo che può dare l’epidemiologia per valutarne il livello di preparazione.

Il sistema preventivo nell’emergenza MNT

Le malattie non trasmissibili hanno in comune, oltre alla natura cronico-degenerativa, l’essere associate a fattori di rischio a cui gli individui sono esposti per tutto il corso della vita. Il meccanismo di azione di questi fattori, seppure non direttamente cumulativo, rende il tempo di esposizione linearmente associato con l’accrescersi del rischio di malattia.

Perché le strategie di prevenzione messe in atto dall’SSN abbiano l’impatto voluto sulla salute della popolazione, devono essere assicurate 4 condizioni essenziali:

1. l’efficacia degli interventi;
2.
l’elaborazione di strategie di prevenzionemultisettoriali e integrate;
3.
la copertura della popolazione,5 in particolare al fine di ridurre le disuguaglianze (in gran parte dovute a fattori prevenibili);
4.
ilmonitoraggio degli interventi attuati dai servizi sanitari regionali (SSR) attraverso la costruzione e gestione di un database nazionale nelle strategie di miglioramento.

Di seguito, si analizzano tali condizioni.

Assicurare l’efficacia degli interventi di prevenzione delle MNT. Il Piano nazionale di prevenzione (PNP) 2014-2018 enfatizza la necessità di utilizzare interventi dotati di prove scientifiche di efficacia. A questo fine, ilMinistero della salute ha previsto una costellazione di strumenti e di procedure. In particolare, il DMdel 04.08.2011 inaugura la funzione di stewardship del Centro nazionale per la prevenzione e il controllo dellemalattie (CCM) nei confronti delle Regioni, perseguendo una «gestione basata sulle evidenze», che prevede il supporto al Network Italiano Evidence Based Prevention (NIEBP; Sottoazione ACP2.2.3), la definizione di un assetto istituzionale all’Osservatorio nazionale screening (Azione 2.3), oltre che un’azione conoscitiva sulle attività delle strutture deputate alla prevenzione (Azione ACP 5.1).

Il Patto per la salute 2014-16, approvato il 10.07.2014, aggiunge un tassello a questo assetto istituzionale prevedendo il finanziamento per 3 anni (seppure su base di quota capitaria, quindi destinato alle Regioni) oltre che dei due network, anche dell’Associazione italiana dei registri tumori (AIRTUM). Nell’ambito di un finanziamento preliminare, il NIEBP, coordinato da Agenas, ha prodotto un primo repertorio di sintesi di revisioni sistematiche e linee guida6 e si appresta a elaborare un repertorio di buone pratiche di prevenzione.

La costruzione e messa a disposizione degli operatori regionali e dei servizi di prevenzione di repertori di buone pratiche, cioè di singoli interventi efficaci, trasferibili e sostenibili, chiede, però, un investimento in produzione della conoscenza, non solo in sintesi di prove di efficacia. Questo è un aspetto critico del disegno complessivo che supporta il PNP: i bandi di finanziamento del CCM, l’ultimo dei quali è in attesa di pubblicazione, non prevedono, infatti, il finanziamento di studi di valutazione di efficacia. Nonostante nella premessa si affermi che «il CCM supporta il Ministero della salute, tra l’altro, […] nell’individuazione delle misure di prevenzione» e si sottolinei che tra «le sue attività il CCM promuove le pratiche di eccellenza, evidence-based, con lo scopo di diffondere i modelli operativi di interventi di prevenzione che abbiano dato imigliori risultati», il bando prende esplicitamente in considerazione unicamente proposte che «non si configurino come progetti di ricerca» (!!!).Questo è un limite importante che riduce la capacità del sistema della prevenzione di valutare l’efficacia di interventi promettenti.

Costruire strategie integrate di prevenzione. Il PNP 2014-2018 sottolinea fra i suoi principi quello della «trasversalità degli interventi» intesa come «integrazione […] fra diversi settori, istituzioni, servizi, aree organizzative». Questo principio è il riflesso dei risultati degli studi che affermano che le strategie multicomponenti sono mediamente più efficaci rispetto a quelle monocomponenti. Un esempio sono le campagne dei media, che risultano molto più efficaci quando associate a interventi di altro tipo, per esempio scolastici o famigliari.7-9

Ma secondo queste revisioni la principale componente delle strategie multicomponenti è quella degli interventi di popolazione, come le policy, gli interventi normativi sulla tassazione e sull’accessibilità, le campagne di mass media. Questi sono prerogative degli organi centrali, quindi esclusi dal PNP, orientato piuttosto alla programmazione regionale. In alcuni casi, come la prevenzione dell’uso del tabacco e dell’abuso di alcol tramite interventi sulla tassazione e l’accessibilità, la gestione degli interventi più efficaci è addirittura in mano al Ministero dell’economia e delle finanze. Questa separazione rende impossibile lo sviluppo di strategie integrate fra policy e interventi locali, che sembra essere la ricetta di prevenzione più efficace.

Copertura ed equità. Assicurare l’efficacia degli interventi non è però sufficiente per ottenere l’impatto atteso sulla salute. È indispensabile, infatti, assicurare che gli interventi efficaci siano pianificati in modo da garantire una copertura completa della popolazione target (si vedano, per esempio, gli screening oncologici), eventualmente prediligendo le comunità con bisogni più elevati al fine della riduzione delle disuguaglianze. Così si persegue la community effectiveness oltre all’efficacy.10 A differenza dell’efficacia, nel PNP il richiamo all’effectiveness è debole, seppure presente negli strumenti di valutazione del Piano. Eppure il perseguimento dell’effectiveness attraverso strumenti che assicurino un copertura di tutta la popolazione è un elemento cardine di equità; gli interventi preventivi a livello individuale o di gruppo (come interventi scolastici o famigliari) hanno una maggiore possibilità di generare disuguaglianza11 proprio per la difficoltà di estenderli a tutta la popolazione.

Monitoraggio e accountability. Nonostante ilDM del 04.08.2011 prevedesse una «azione conoscitiva sull’assetto e le attività delle strutture deputate alla prevenzione (Azione ACP 5.1)», in Italia non esiste ancora alcun archivio nazionale degli interventi di prevenzione condotti sul territorio. Da qualche anno il Centro regionale di promozione della Salute della regione Piemonte (DORS)mantiene PRO.SA., una banca dati di progetti e interventi di promozione della salute,12 ma si tratta di un progetto volontaristico a cui hanno aderito per ora solo 3 regioni italiane. PRO.SA. può rappresentare, però, l’embrione di un futuro sistema di monitoraggio attraverso un archivio nazionale degli interventi di prevenzione. A questo scopo è necessario che venga prevista per legge la registrazione degli interventi effettuati, e che il database diventi lo strumento di accountability della prevenzione, permettendo di descrivere gli interventi effettuati, la loro qualità scientifica, la qualità dell’implementazione e la popolazione raggiunta. Al pari delle Schede di dimissione ospedaliera (SDO) per quanto riguarda l’assistenza ospedaliera, questo strumento potrebbe dare un importante slancio alla diffusione di interventi di qualità.

Il contributo dell’epidemiologia

In Italia l’epidemiologia, nel campo della prevenzione, è caratterizzata da un’importante focalizzazione sulla stima dei rischi e sulle sorveglianze, suoi temi tradizionali. L’epidemiologia per gli interventi, che sviluppa strumenti di valutazione di interventi e politiche, quella che Frumkin – in campo di epidemiologia ambientale – ha recentemente chiamato consequential epidemiology,13 ha ancora ampi margini di sviluppo. Nell’ambito della prevenzione dell’uso di sostanze e della prevenzione secondaria dei tumori, per esempio, sono state sviluppate importanti esperienze di produzione di prove di efficacia e di modalità di implementazione degli interventi preventivi: per quanto riguarda il fumo di tabacco, sullo stimolo del Framework Convention on Tobacco Control (FCTC) della World Health Organisation l’epidemiologia ha senza dubbio dato un forte contributo allo sviluppo di strumenti e alla conduzione di studi di valutazione di interventi e di impatto di politiche, all’elaborazione di linee guida di prevenzione primaria e di cessazione; strumenti che insieme costituiscono un completo arsenale di intervento sia per i policy maker sia per gli altri professionisti della prevenzione. Ugualmente, nel campo della prevenzione secondaria dei tumori l’epidemiologia ha fornito un contributo non indifferente non solo alla produzione di prove di efficacia di specifici protocolli di screening, ma anche allo sviluppo di linee guida e programmi di monitoraggio per guidare l’implementazione e garantire la qualità di protocolli di screening di provata efficacia. Al di fuori di questi settori specifici, però, la produzione di evidenze scientifiche e di strumenti per guidare gli interventi utili a sostenere politiche è ancora fragile e richiede un’urgente assunzione di responsabilità da parte dell’epidemiologia.

Un settore in cui l’epidemiologia ha, invece, mancato di produrre risultati direttamente utili per la sanità pubblica è quello delle evidenze per la prioritarizzazione degli interventi. Nonostante un contributo preliminare pubblicato nel 2012,14 oggi il sistema italiano della prevenzione non è ancora dotato di un protocollo esplicito di prioritarizzazione che riassuma in un unico strumento l’effetto sulla salute attribuibile a fattori di rischio specifici, come derivato dai sistemi di sorveglianza e dagli studi eziologici, e la risolvibilità, cioè l’impatto che potrebbero avere su di esso la disseminazione degli interventi più efficaci disponibili. Un tale protocollo per fornire dati a livello regionale potrebbe dare un contributo essenziale nella programmazione dei Piani regionali di prevenzione. Vista la capacità di penetranza che uno strumento analogo, con dettaglio nazionale, il GBD, ha avuto nel ragionamento di chi fa prevenzione, si può sperare che questo venga messo in cantiere molto presto.

A tale scopo, lo sviluppo di una metodologia di valutazione economica e di costo-efficacia sarebbe un complemento ideale di un protocollo di prioritarizzazione, ma ancora una volta non sono state avviate iniziative di questo tipo da parte degli epidemiologi.

Un ultimo settore in cui l’epidemiologia potrebbe dare un contributo decisivo è quello della valutazione dell’impatto delle politiche e degli interventi. Dopo la valutazione dell’impatto della legge Sirchia, che ha visto numerosi contributi dell’epidemiologia, altre valutazioni simili sono state sporadiche.

Conclusioni

Il Piano nazionale di prevenzione rappresenta indubbiamente una svolta nella prevenzione in Italia.Ma si tratta di una svolta incompleta, che richiede ancora passaggi importanti qui discussi. Fra i più significativi:

l’inclusione, nella pianificazione della prevenzione, degli interventi delle agenzie centrali (mass media, normative sull’accessibilità, tassazione, etichettature eccetera), a fianco degli interventi regionali, per permettere interventi integrati; il finanziamento della ricerca di efficacia con i fondi CCM; la creazione di un processo obbligatorio di registrazione degli interventi preventivi condotti a livello regionale.

L’epidemiologia ha molto da dire in questo percorso di completamento del PNP: lo sviluppo di metodi rigorosi, ma sostenibili, di valutazione di impatto di interventi e politiche; l’elaborazione di un sistema di monitoraggio che utilizzi fonti di dati correnti e studi di valutazione per costruire scale di priorità a livello regionale dei fattori di rischio a maggiore impatto su cui costruire interventi; una maggiore disponibilità alla valutazione di efficacia ed equità degli interventi.

Conflitti di interesse dichiarati: nessuno.

Leggi anche l’intervento di Cristiano Piccinelli et al. (pp. 202-207).

Bibliografia

1. Alleyne G, Binagwaho A, Haines A et al. Embedding non-communicable diseases in the post-2015 development agenda. Lancet 2013;381(9866):566-74.
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13. Frumkin H. Work that matters: toward consequential environmental epidemiology. Epidemiology 2015;26(2):137-40.
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