Attualità
22/12/2011

Inquisizione e telefoni cellulari

L’inquisizione riusciva a fare grandi cose, ma forse solo perché aveva grandi mezzi. Anche Report, tuttavia, nel suo piccolo, senza violenze fisiche, riesce talvolta a smuovere i pachidermi della sanità pubblica. Nei giorni successivi alla  trasmissione Report sui telefonini del 27 novembre 2011 i giornali davano notizia del parere del Consiglio Superiore di Sanità che

«le conoscenze scientifiche oggi non consentono di escludere l’esistenza di causalità (tra l’esposizione a radiofrequenze e le patologie tumorali) quando si fa un uso molto intenso del telefono cellulare. Va quindi applicato, soprattutto per quanto riguarda i bambini, il principio di precauzione, che significa anche l’educazione ad un utilizzo non indiscriminato, ma appropriato, quindi limitato alle situazioni di vera necessità, del telefono cellulare. Il Ministero della Salute avvierà una campagna di informazione sulla base delle ultime relazioni degli organismi tecnico-scientifici per sensibilizzare proprio a tale uso».

Magari è una coincidenza, ma non è escluso che i poteri politici si siano mossi proprio perché sapevano che una giornalista rompicoglioni come la Gabanelli di Report avrebbe trattato l’argomento. È positivo, comunque, che il Consiglio, un organismo certamente non famoso per iniziative favorevoli alla prevenzione, si sia dato una mossa tempestivamente. Il comunicato stampa della IARC che annunciava la classificazione 2B dell’esposizione ai telefoni cellulari (possibile cancerogeno) e invitava, in base al principio di precauzione, ad adottare misure pragmatiche per ridurre l’esposizione, era del 31 Maggio 2011. Neanche sei mesi dopo il Consiglio superiore di Sanità lo ha recepito. Una tempestività inaudita.

Quanto alla campagna di informazione,  se il Ministero della Salute volesse risparmiare tempo consiglierei di consultare l’appello dei 20 per l’uso dei cellulari che abbiamo diffuso nel 2008,  un’iniziativa promossa da  David Servan-Schreiber (www.guerir.org): comprare telefoni con basso codice SAR (che emettano meno di 0,3 watt/kg), tenere il telefono lontano dall’orecchio (ad esempio utilizzando la modalità in viva voce, aspettare che la persona chiamata risponda prima di avvicinarlo all’orecchio), usare l’auricolare (in particolare quelli difficili da trovare in Italia con trasmissione pneumatica), telefonate brevi (farsi richiamare sul fisso), cambiare frequentemente lato di ascolto, non usarlo in treno o in auto, non usarlo quando il segnale è debole, preferire gli SMS, se si porta il telefono addosso tenere la tastiera rivolta verso il corpo (cioè l’antenna verso l’esterno), non tenerlo vicino nel sonno, proteggere i bambini dall’aggressione pubblicitaria, questa si violenta, delle compagnie, consentirne l’uso ai bambini solo per urgenze.           

Avevo studiato la letteratura sui telefonini in occasione della redazione di questo appello. I risultati disponibili allora dallo studio Interphone suggerivano un eccesso di rischio, statisticamente significativo anche se basato su piccoli numeri, per un uso intenso e prolungato – superiore a 10 anni– e una sorprendente protezione statisticamente significativa per usi meno intensi e più brevi.

Venivano discusse le possibili distorsioni che potevano causare questi risultati, in particolare la protezione sarebbe dipesa dalla maggiore disponibilità degli utilizzatori di telefoni cellulari a partecipare allo studio quando invitati a far parte del gruppo di controllo (solo la metà dei controlli sani campionati aveva accettato di partecipare), mentre l’eccesso di rischio poteva dipendere da una distorsione di memoria che avrebbe indotto i pazienti affetti da tumore a ricordarne un uso maggiore.

Mentre l’interpretazione della apparente protezione era convincente, e provata anche da indagini ad hoc, l’interpretazione che anche l’eccesso di rischio fosse il risultato di una distorsione lo era meno, perché se i pazienti fossero indotti a dichiarare, o ricordare meglio, un uso più frequente si sarebbe dovuto trovare un rischio anche per le durate brevi. L’apparente protezione, chiaramente non plausibile, mi induceva anzi a pensare che anche il rischio riscontrato per le durate lunghe fosse seriamente sottostimato. Negli studi svedesi di Hardell, infatti, con una elevata partecipazione dei controlli, non compare alcuna protezione per durate brevi e c’è un rischio elevato per durate lunghe di uso.

Gli studi prospettici sono immuni dal recall bias, ma allora era disponibile solo una coorte retrospettiva danese degli utenti delle due compagnie telefoniche nazionali che trovava sorprendentemente una protezione significativa, anche questo un risultato non plausibile (infatti in un aggiornamento della coorte appena pubblicato la protezione è scomparsa).

A me bastava per concludere che valeva la pena di attivare meccanismi di prevenzione.

Risultati di questo tipo non sono stati sufficienti a spostare il giudizio IARC da 2B a 2A. Difficile dire se le lobby delle compagnie telefoniche abbiano influenzato questo giudizio: quello che è certo è che ci hanno provato. Lo dimostra il tentativo, poi fallito, di far affidare ad Anders Ahlbom, del Karolinska Institute, consulente delle compagnie telefoniche svedesi, la chairmenship della monografia.

Difficile dire anche quanto l’industria abbia influenzato i risultati degli studi, ma è già stato evidenziato su questa rivista che i risultati degli studi finanziati dall’industria dei telefonini sono diversi e più favorevoli all’industria di quelli condotti da ricercatori del tutto indipendenti.

È un fenomeno ben noto e ripetutamente evidenziato che le sperimentazioni cliniche sponsorizzate dalle ditte farmaceutiche trovano più frequentemente risultati favorevoli all’industria che non gli studi indipendenti sugli stessi farmaci.

Gli studi sui latticini sponsorizzati dall’industria casearia concludono che il consumo di latte e formaggi è utile alle ossa mentre gli studi indipendenti non sono stati capaci di corroborare queste conclusioni.

Il professor Kabat, presidente dell’Institut National du Cancer, per proteggere la buona carne francese dal sospetto che possa favorire il cancro dell’intestino, è giunto nel suo libro a citare i risultati degli studi epidemiologici positivi come se fossero negativi.

La storia degli studi sui rischi occupazionali è ricca di dimostrazioni che gli interessi industriali sono in grado di influenzare i risultati degli studi epidemiologici.

Decisamente sono favorevole ad un po’ di inquisizione sui conflitti di interesse negli studi epidemiologici. Chi è senza peccato saprà difendersi.

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