Attualità
18/11/2011

In Memoria di Ivar Oddone (1923-2011)

Tanti hanno incontrato e continueranno a incontrare Kim, il giovane partigiano studente di medicina del quale parla Calvino in Il sentiero dei nidi di ragno: è Ivar Oddone. È lo stesso Ivar che diventa protagonista di un’altra epopea del Novecento, quella che si è resa necessaria negli anni Sessanta per assicurare la redenzione degli operai italiani dalla schiavitù delle pessime condizioni di lavoro che li perseguitavano dall’inizio della rivoluzione industriale.

Più di qualsiasi commento vale la testimonianza diretta di Ivar sulla nascita e sul significato della Dispensa FIOM del 1969, L’ambiente di lavoro, strumento necessario (seguito da molti altri) per la costituzione e l’attivazione della «linea sindacale per la lotta contro la nocività» che tanto conforto e pungoli ha assicurato a medici del lavoro, ergonomi ed epidemiologi in Italia e nel mondo:

«Posso dire che solo in Italia il movimento operaio ha saputo affrontare in modo gramsciano, cioè con un atteggiamento egemonico, il problema della nocività dell’ambiente di lavoro. Per egemonico intendo quello che allora si definiva “non delega” da parte dei lavoratori. Non limitarsi soltanto a denunciare le situazioni di rischio e a delegare “chi di dovere”, ma prendersi in carico, nell'ambito delle regole, di contribuire a creare dei posti di lavoro che permettessero loro di non avere conseguenze sulla salute e, in prospettiva, di esprimere il massimo delle loro capacità produttive come esseri pensanti. … La dispensa ha richiesto un certo numero di anni, cinque come minimo. … Era una “azione-ricerca” che non consideravo come una ricerca medica tradizionale, degna di pubblicazione. Solo anni dopo, Federico Butera seppe definire adeguatamente queste ricerche, definendole “irrituali”. Non altrimenti l’insieme degli “uomini di Mirafiori” lavoravano come volontari nella quinta lega prima o dopo le tradizionali otto ore di lavoro in fabbrica. … Io avevo delle conoscenze mediche, loro [i lavoratori] avevano delle conoscenze che permettevano di “indovare” i rapporti tra la situazione produttiva e la situazione di salute. Lo scambio avveniva in molti modi. Il problema fondamentale che si pose allora: comunicare tra un medico e dei lavoratori a proposito della situazione di lavoro e delle malattie che ne potevano derivare. Abbiamo dovuto prendere atto che i problemi che avevamo di fronte non erano comprensibili né con il linguaggio medico, né con il linguaggio operaio sindacale allora attuali. Dovevamo costruirne uno nuovo che potesse servire come interfaccia fra la rappresentazione della condizione di lavoro da parte degli operai e la conoscenza della comunità scientifica medica, che astraeva dai posti di lavoro concreti, perché non li conosceva. Abbiamo dovuto inventare la tecnica delle “istruzioni al sosia”. Si trattava di dare le istruzioni su quello che si faceva rispondendo alla domanda: «Fa conto che io sia il tuo sosia e immagina che io debba sostituirti nel tuo lavoro in modo che non ci si accorga che non sei tu». Su questa base preparavamo l'incontro del delegato sindacale con l’azienda simulando la situazione della trattativa. Il delegato rappresentava se stesso, io rappresentavo il medico di fabbrica, altri rappresentavano l’azienda, altri il sindacato. Abbiamo costruito così gli elementi essenziali della dispensa. Abbiamo cercato una soluzione grafica, rifiutando molte proposte per rappresentare “l’omino”, accettando infine quella di un architetto».

Ivar Oddone ha impiegato tutta la sua vita di pensatore, di docente di psicologia del lavoro, di uomo d’azione, di sperimentatore, per contribuire alla costruzione di ipotesi e progetti per quella che lui chiamava la “carriera dell’operaio”, vale a dire il superamento della divisione del lavoro e la ricerca di ogni forma di lavoro «ricomposto, più ricco, più autonomo».

Per molti anni Oddone ha condotto con passione un progetto pilota nella zona delle Bouches du Rhône (vicino a Marsiglia) per la trasformazione di un'organizzazione sanitaria volontaria a base territoriale, un lavoro di “azione-ricerca” avente come obiettivo l’eliminazione di malattie sicuramente eliminabili, quelle dovute all'ambiente costruito.

Ivar viene ricordato, specie dai suoi più stretti collaboratori, come persona molto esigente, nemico di ogni forma di superficialità e di semplicismo, anche aspro nei giudizi; negli ultimi tempi era particolarmente indignato per come vanno le cose, in tutti i campi, in Italia e particolarmente per la “politica” industriale della FIAT. Si dedicava alla redazione di Libello. Dal vocabolario. Opuscolo fortemente satirico, provocatorio o diffamatorio (sec. XIV) che, come altri suoi scritti, non merita di rimanere inedito. L’Incipit di un brano di questo Libello che è stato dato leggere è il seguente: «Cominciamo con Ramazzini, lo scopritore della medicina del lavoro. Nel Settecento egli scrive, in latino (l’inglese americano per la medicina dell’epoca in Europa). Attribuisce questa scoperta al fatto che gli operai che svolgevano il lavoro di pulizia delle fognature di casa sua (così erano le fognature nel Settecento) avevano già scoperto da tempo come si pulivano le fogne e come ci si potesse allora difendere solo con il massimo di bravura professionale, che permetteva il minimo di tempo di esposizione ai miasmi delle fogne. Non è stato lui a scoprire la medicina del lavoro ma a scoprire che gli operai delle fognature avevano già scoperto che esisteva quella branca della scienza che, per certi versi, è ancora solo conoscenza operaia (il prodotto della esperienza grezza degli operai) e le soluzioni sono ancora dovute alle loro lotte per migliorare la produzione».

F. Carnevale

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