In Italia centinaia di operai muoiono ogni anno
Il 12 settembre 2013 si è verificata l’ennesima strage di operai sul lavoro presso lo stabilimento della società Ilsap Biopro di San Pietro Lametino, zona industriale di Lamezia Terme (Cz): tre operai Daniele Gasparrone, 32 anni di Latina, Alessandro Panella, 32 anni di Velletri (RM), Enrico Amati, 47 anni di Sinalunga (SI), saldatori specializzati sono stati uccisi, bruciati vivi, mentre operavano sopra un silos alto 15 metri per eseguire un intervento di manutenzione straordinaria atto a trasformare la (carpenteria) struttura del silos adibito allo stoccaggio di olii.
Le scintille di saldatura e le scorie incandescenti a contatto con l’olio e con i suoi vapori hanno innescato un’enorme esplosione con lo sviluppo di un incendio di grande magnitudo: il silos è stato proiettato ad una distanza di 40 metri ed i tre operai sono stati investiti dalle fiamme.
I corpi di Daniele Gasparrone e Alessandro Panella sono stati trovati completamente carbonizzati, mentre Enrico Amati è rimasto intrappolato all’interno del silos e quando i Vigili del fuoco lo hanno estratto presentava ustioni sul novanta per cento del corpo. In condizioni disperate veniva trasportato d’urgenza con l’eliambulanza presso l’ospedale di Catanzaro, dove è morto il mattino successivo.
Secondo i Vigili del fuoco di Catanzaro «non ci sono dubbi: nel silos non c’era glicerina, ma un olio, probabilmente di sansa».
Lo stabilimento in questione è quello della ex SIR che è stato rilevato dalla Ilsap Biopro, un’industria del gruppo Martena con sede a Latina, che produce biodisel, glicerina ed olii derivanti dai processi di raffinazione.
Nel sito web dell’azienda si legge che la stessa ha «la predilezione per l’utilizzo di materie prime frutto del riutilizzo di materiali destinati alla discarica». Viceversa, va detto a chiare lettere che la società Ilsap Biopro non ha alcuna predilezione, né per attuare gli indispensabili interventi e sistemi di prevenzione dei rischi e, men che meno, per assicurare e garantire la sicurezza dei lavoratori dello stabilimento in questione. Di più, la società Ilsap Biopro, per ridurre i tempi e i costi dell’intervento manutentivo non ha fatto svuotare e bonificare preventivamente il silos di stoccaggio degli olii, come impone(va) la legge e le più elementari norme di sicurezza antincendio. La mancata bonifica del silos, che – (lo si ripete, in violazione delle più elementari norme di sicurezza!) - conteneva olii e vapori infiammabili, i quali in presenza di fonti di innesco, quali sono le scintille e le scorie incandescenti originate dalle operazioni di saldatura, il 12 settembre 2013, ha provocato l’immane esplosione seguita dall’incendio nel quale i tre operai venivano arsi vivi. Questi operai – come avvenuto nel 2006 presso la società Umbria Olii di Campello sul Clitunno – sono stati mandati a lavorare sopra un silos inconsapevolmente, senza alcuna informazione, a svolgere un lavoro ad altissimo e inaccettabile rischio che li ha condotti a morte.
Una strage dietro l'altra
Le modalità con le quali è avvenuta questa strage operaia ci riporta immediatamente alla mente quella che il 25 novembre 2006 ha causato la morte, altrettanto orrenda – [un anno prima della strage dei sette operai uccisi nell’incendio sprigionatosi la notte del 6 dicembre 2007 presso la ThyssenKrupp di Torino] – di quattro operai (Tullio Mocchini, Giuseppe Coletti, Wladimir Toder, Maurizio Manili) dipendenti da una ditta appaltatrice, che furono mandati presso la società Umbria Olii di Campello sul Clitunno (PG) ad effettuare delle operazioni di saldatura per l’installazione di passerelle sulla sommità di serbatoi colmi di oli.
Anche in questo caso, la ditta per ridurre i tempi e i costi dell’intervento – così come presso la società Ilsap Biopro di Lamezia Terme) - non aveva fatto svuotare e bonificare preventivamente i serbatoi ripieni di olio, come impone(va) la legge e le più elementari norme di sicurezza antincendio: infatti in presenza di fonti di innesco, quali sono le scintille e le scorie incandescenti originate dalle operazioni di saldatura, i serbatoi ripieni di olii prendevano fuoco, sviluppando un immane rogo nel quale venivano uccisi, arsi vivi, i quattro operai, che - lo si ripete! - erano stati mandati inconsapevolmente, senza alcuna informazione, a svolgere un lavoro ad altissimo ed inaccettabile rischio che Li aveva condotti a morte. Per tutta risposta, l’amministratore delegato della società Umbria Olii, tale Del Papa, promuoveva un’azione legale nella quale chiedeva alle Famiglie delle vittime e a un quinto operaio sopravvissuto, Klaudio Demiri, un risarcimento di 35 milioni di euro sulla base di una perizia di parte dell’azienda che, nel novembre 2008, veniva dichiarata nulla dal giudice. A seguito di questa decisione il giudice veniva ricusato dai legali della società Umbria Olii. Nel febbraio 2009, a questa ignobile iniziativa padronale metteva fine la Corte di Cassazione, VII Sezione penale, che dichiarava inammissibile l’aberrante istanza presentata dai legali dell’amministratore delegato Del Papa. Di ricusazione in ricusazione - (fino al 2009) - il processo è stato bloccato, mentre nel frattempo l’amministratore delegato si è dimesso dopo aver messo in liquidazione la società e passato la mano a un suo uomo di fiducia.
Non vi è chi non veda che le cause della strage operaia avvenuta il 25.11.2006 presso la società Umbria Olii di Campello sul Clitunno (PG) sono le stesse di quella avvenuta il 12.09.2013 presso la società Ilsap Biopro di Lamezia Terme (CZ); eppure un giornalismo cialtrone (le eccezioni lodevoli confermano la regola), senza memoria e incapace di condurre inchieste serie sulle cause delle morti sul lavoro parla continuamente a vanvera di eventi imprevisti e/o di fatalità, mai delle vere cause e delle responsabilità delle direzioni aziendali che hanno provocato quelle morti, e quelle che purtroppo avvengono con inflessibile cadenza quotidiana.
La strage operaia di Lamezia Terme il giorno successivo è stata dimenticata e cancellata dai mass-media, ed essa giunge ad appena quattro mesi di quella avvenuta il 7 maggio 2013 presso il Porto di Genova nella quale sono stati uccisi nove lavoratori: il pilota Maurizio Potenza, 50 anni, del porto di Genova (che in un primo momento era stato dato per sopravvissuto); Michele Robazza, 41 anni di Livorno, pilota del porto di Genova; Daniele Fratantonio, 30enne di Rapallo; Davide Morella, 33enne originario di Bisceglie, e Marco De Candussio, 40 anni, originario di Barga (Lucca). Questi ultimi tre erano militari della Capitaneria di porto. Morto anche Sergio Basso, 50 anni, di Genova, dipendente della società Rimorchiatori Riuniti. L’ultima vittima identificata, la settima recuperata è il sottocapo di seconda classe Giuseppe Tusa, 30enne di Milazzo. Restano dispersi due uomini della Capitaneria: Francesco Cetrola, 38 anni, di Matera, e il sergente Gianni Jacoviello, 33 anni, della Spezia. (Da l’Unità del 07.07.2013).
Questa strage di lavoratori avvenuta il 7 maggio 2013 nel porto di Genova è stata causata dalla nave portacontainer Jolly Nero, che uscendo «in retromarcia» da Sampierdarena, nella manovra di evoluzione colpì la Torre piloti, che collassò crollando in acqua; essa poteva essere evitata, ordinando ai rimorchiatori di effettuare una manovra più prudente che sarebbe costata solo 1.200 euro e qualche minuto in più. In estrema sintesi, questo è quanto riportato nell’ordinanza emessa il 6 luglio 2013 con la quale il GIP del Tribunale di Genova ha ordinato la sospensione dal servizio per due mesi del comandante della nave portacontainer Jolly Nero, Roberto Paoloni, del primo ufficiale, Lorenzo Repetto e del pilota del porto di Genova, Antonio Anfossi.
Secondo il GIP, il Dr. Ferdinando Baldini, i tre indagati erano consapevoli delle avarie della nave, che in quelle condizioni non avrebbe dovuto navigare comandata dalla plancia negli spazi angusti del porto del capoluogo ligure. Dalle registrazioni della scatola nera emerge come il comandante della nave fosse consapevole di quanto fosse rischioso compiere quella manovra, in quell’area del porto: «Ogni volta che si parte da Genova – dice Paoloni al primo ufficiale Repetto circa due ore prima della strage – bisogna farsi il segno della croce». Subito dopo lo schianto contro la torre di controllo, in cui persero la vita 9 persone, Paoloni afferma: «Abbiamo buttato giù la torre, saranno tutti morti». Pochi secondi dopo Anfossi avverte il capo dei piloti del porto, Giovanni Lettich, dicendo: «Sì Giovanni, ho buttato giù la torre dei piloti. È successo un disastro…».
Chi si ricorda più che l’8 novembre 2003 nel porto vecchio di Genova a seguito del crollo parziale di un edificio in ristrutturazione un operaio veniva ucciso, mentre quattro suoi compagni venivano feriti? [...]
Questo testo costituisce un'anticipazione di un intervento più lungo contenente una denuncia della scarsa attenzione riservata alle morti sul lavoro che potrete leggere per intero sul n. 208-10 della rivista Medicina Democratica.
Sul tema degli infortuni segnaliamo la raccolta di storie di infortunio, pubblicate sul sito web DORS-Piemonte, scritte dagli operatori dei Servizi PreSAL delle ASL piemontesi a partire dalle inchieste di infortunio, convinti che conoscere come e perché accadono sia una condizione indispensabile per proporre soluzioni efficaci per la prevenzione.