Attualità
17/06/2014

Il Servizio sanitario nazionale deve garantire la salute di tutti, ma per farlo deve cambiare

Nel numero di febbraio 2014, The Lancet ha pubblicato un importante rapporto sulla crisi economica, sociale e della salute in Grecia. La correlazione tra andamento dei parametri economici e di disagio sociale e indicatori dello stato di salute appare in tutta chiarezza. Gli autori correlano l’andamento negativo alle misure di austerità che sono state intraprese in base alle disposizioni delle troike internazionali.
Non è la prima volta che gli indicatori di salute mostrano come i grandi sconvolgimenti sociali si ripercuotano drammaticamente e rapidamente, molto prima di quanto ci si aspettasse, su indicatori duri di salute, come la mortalità. Ed è ovvio che in essi si riflettano aumenti nelle disuguaglianze e sofferenza dei gruppi più deboli. Molti ricordano i profondi cambiamenti che avvennero in Russia dopo la caduta del muro di Berlino, all’inizio degli anni Novanta. Per questo stupisce che in Italia, in questi ultimi anni, nei quali in maniera sempre più esplosiva si è manifestata una grave crisi economica e sociale, l’attenzione per quanto si sta verificando nel Servizio sanitario nazionale (SSN) sia così scarsa.
Non mancano indubbiamente i rapporti sulla salute degli italiani e sulla sanità, ma è l’aspetto economico che fa notizia. Lo stato di sofferenza che in tante aree del nostro Paese esiste da diverso tempo è oggi in alcune di esse esplosivo. Solo per restare a fonti a noi vicine, basterà ricordare le analisi sulla mortalità in crescita nelle Regioni Campania e Sicilia, documentata nel supplemento di E&P sui 150 anni dell’Unità d’Italia (si veda la sintesi in: Biggeri A. Evoluzione del profilo di mortalità: l’Italia che cambia. EPdiMezzo 2012;36(2):5).
I tagli lineari della spesa, introdotti nel 2010 da Giulio Tremonti, allora Ministro dell’economia, e il mantenersi delle inefficienze a tutti i livelli, anche dopo la spending review avviata dal governo Monti, hanno portato allo stremo la situazione, e le realtà ospedaliere di vaste aree del Paese, tra cui quelle a maggior complessità tecnologica, sono a rischio collasso. La spesa che viene progressivamente fatta gravare privatamente sul cittadino per far fronte al bisogno di salute è in costante aumento e anche Regioni del Nord e Centro Italia, come Toscana e Umbria, che hanno comunque servizi sanitari funzionanti, in questa situazione lasciano trasparire fragilità e difficoltà di programmazione e di governo.
Poco si discute di appropriatezza e di capacità di produrre salute. Ma soprattutto, a mio parere, manca totalmente la consapevolezza della crisi istituzionale e politica, di governo del sistema, in cui ci troviamo: il sostanziale fallimento della struttura pubblica, soprattutto in alcune regioni del Paese, avviene in silenzio.
In questa situazione di laissez-faire, la trasformazione dell’SSN da universalistico a sistema duale (il pubblico per i meno abbienti) si realizza nei fatti, accentuando nelle fasce di reddito medio-alto la propensione a uscire dal sistema pubblico universale, mettendone in pericolo non solo i valori, ma anche l’equilibrio economico. Il rischio è che tra non molto i fatti impongano decisioni che molti auspicano.

Il governo del sistema sanitario, la crisi e lo stallo

In questi ultimi anni, la frantumazione del sistema in tanti microsistemi regionali e la crescente conflittualità tra Ministero e Regioni hanno portato a scelte brutali, con tagli che hanno prostrato il sistema. Un processo sofferto principalmente dai cittadini e dai settori del sistema sanitario più deboli e meno protetti politicamente. Le risorse economiche contano, ma anche un’immissione di risorse aggiuntive, nella situazione data, non risolverebbe i problemi dell’SSN. La crisi della politica in Italia è una concausa importante della profonda crisi del sistema pubblico: la disomogeneità nell’articolazione del servizio nelle realtà locali viene affrontata come questione economica e non dà risposta efficace alle nuove esigenze della sanità, soprattutto nel controllo dell’innovazione tecnologica. Ogni riorganizzazione proposta si paralizza, nei fatti, di fronte all’impossibilità di trasformare in pratica reale gli obiettivi, talvolta condivisibili. La paralisi dell’amministrazione pubblica, sommata alle rigidità dei sindacati e delle corporazioni professionali, che non lasciano spazio al merito, accompagnano il progressivo decadimento del sistema.
L’assetto istituzionale scaturito dalla modifica costituzionale del Titolo V della Costituzione ha accentuato e fatto esplodere la crisi gestionale, in particolare nelle Regioni del Sud, ma non solo. In anni di esperienza amministrativa, la gestione delle Conferenze Stato-Regioni mostra che non si è in grado di incidere significativamente sul sistema, se non nella contrattazione di direttive economiche. Il Patto della salute, che dovrebbe essere la cornice programmatoria delle azioni di Ministero e Regioni, si risolve in una contrattazione delle risorse, spesso in difesa di interessi localistici e di corporazioni professionali e sindacali. Il Ministero dell’economia, salvo aspetti marginali, ha di fatto commissariato il Ministero della salute. La proposta di governo dell’SSN attraverso l’appropriatezza, la valutazione di performance e di esito, la promozione di conoscenza epidemiologica e le azioni di riorganizzazione, soprattutto nella revisione del rapporto ospedale-territorio, che pure sono entrate in alcune proposte regionali e ministeriali (come le leggi Balduzzi), sono rimaste a livello di buone intenzioni, senza incidere, se non marginalmente, sul governo del sistema.
Per altro verso, il blocco del turnover e dei contratti dei pubblici dipendenti si accompagna al progressivo deterioramento nella gestione delle risorse umane (precariato) e delle competenze professionali, con il crescente fiorire di posizioni corporative e la ripresa della dominanza della funzione burocratica e amministrativa. Non si discute dell’insostenibilità dell’assetto istituzionale attuale, a partire dai rapporti Ministero-Regioni, ed è manifesto il ruolo marginale che hanno le strutture di sanità pubblica, anche quelle nazionali. Un’esperienza importante come quella di AgeNaS diviene il luogo dello scontro di potere tra due burocrazie, quella ministeriale, forte, e quella regionale, debole.
Si riflette in questa situazione la crisi della politica regionale e il perpetuarsi di una burocrazia ministeriale e di sanità pubblica impermeabili alle esigenze di cambiamento, dopo tentativi di rinnovamento fatti anni fa e di cui restano solo alcune onde lunghe, ma sempre più fievoli. Il ruolo dominante della politica, la debole struttura di competenze dei Dipartimenti alla salute delle Regioni, soprattutto fondati sull’appartenenza politica, e la burocrazia ministeriale sono ormai manifestamente inadeguati a un sistema che ha necessità di fondarsi sulle competenze, di superare le appartenenze di partito o di gruppo accademico, e che richiede l’apporto non della normalità burocratico-amministrativa, bensì della vitalità di progetti di riforma ispirati da una competenza di sanità pubblica. Pressoché totale l’estraneità della governance attuale al sistema di ricerca e sviluppo, che esiste in Italia e che opera in ambito di confronto europeo, per le valutazioni di tecnologia come in quelle di processo e di esito. L’impatto si ferma troppo spesso al classico uso italiano di qualche parola di moda e all’esasperazione dell’aspetto mediatico (esemplare come molti hanno gestito le valutazioni di esito, una miniera per attrarre l’attenzione dei media!).

La sanità pubblica

Il silenzio di quella che possiamo chiamare la galassia della sanità pubblica italiana è assordante ed è un sintomo della grave crisi che viviamo. Ogni tanto un meeting e un Convegno, per lo più di taglio economico o di difesa professionale, qualche iniziativa sparsa, il più delle volte il trionfo di approcci settoriali o di ricette ideologiche che si affidano alla sola riorganizzazione della gestione.
Ciò che accomuna gli importanti contributi al dibattito avviato da E&P sul cambiamento del nostro SSN è l’assunzione da parte degli autori del punto di vista della sanità pubblica, cioè di competenze professionali che, con occhio rivolto all’interesse generale e con riferimento agli obiettivi generali del sistema, analizzano le necessità di modifica e rinnovamento del sistema sanitario nazionale. Troppo spesso la posizione delle società scientifiche o altri gruppi di interesse appare invece solo difesa di interessi settoriali e preoccupata soprattutto del mantenimento della propria posizione corporativa nel sistema. L’epidemiologia italiana non è mai caduta in questo atteggiamento chiuso e rivolto alla tutela della propria disciplina e dimostra di essere capace di parlare dell’SSN con una reale preoccupazione e attenzione alla salute e al funzionamento della sanità. Eppure, il problema è se sia davvero possibile uscire dalla profonda crisi dell’SSN senza ridisegnare il ruolo che le diverse agenzie, scuole e istituti di sanità pubblica italiani debbono avere nella sua ricostruzione, per evitarne il fallimento o la deriva economicista, e in primo luogo per evitare il pericolo immanente, il sistema duale.
La riorganizzazione delle istituzioni e la proposta in discussione del nuovo Senato come camera delle autonomie, ove siederanno le rappresentanze degli Enti locali, Regioni e Comuni Italiani, deve essere un’opportunità per un cambiamento e un ridisegno del sistema del welfare italiano e in specifico dell’SSN. L’esigenza è che si ritrovi nella nuova forma istituzionale una riaffermazione dei valori fondanti dell’SSN, espressi nella Costituzione italiana, una ridefinizione dei rapporti tra Stato centrale e Autonomie locali, oggi non garantita dalla Conferenza Stato-Regioni. È necessario un cambiamento profondo dei rapporti tra la politica, che ci auguriamo rinnovata, e la governance (che non è gestione economica) del sistema di welfare e, in specifico, della sanità.

Esigenze di cambiamento

Linee di programmazione nazionale e vincoli finanziari devono essere finalizzati a raggiungere l’obiettivo di ridisegnare un sistema, economicamente compatibile e sostenibile, con una sua unità e omogeneità nazionale, che integri nella governance le competenze di sanità pubblica e professionali, lavori per interpretare le specificità dei bisogni locali e promuova la partecipazione dei cittadini alla costruzione del sistema. La politica, a livello nazionale e locale, deve intervenire, ma astenersi dalla gestione e uscire dal giro delle nomine. Inoltre devono essere coinvolte le autonomie locali (come i Comuni e le aree metropolitane, oggi molto assenti), in quanto rappresentano gli interessi e la partecipazione dei cittadini alla costruzione di servizi che devono essere di qualità, efficaci ed efficienti in base a standard nazionali, e con vincoli di compatibilità economica definita centralmente. In questo diverso disegno del sistema sanitario, all’interno del sistema di welfare nazionale (un’appartenenza sempre più necessaria considerando l’intreccio sempre maggiore tra sociale e sanitario), la sanità pubblica deve essere chiamata a svolgere la sua funzione di declinazione dei valori fondanti, a partire dall’universalismo, e deve divenire protagonista della trasformazione delle linee della programmazione definite sul livello nazionale nelle realtà locali. Per fare questo deve essere in primo luogo capace di assumere responsabilità e distinguersi dalla politica. Una subalternità tecnica che è evidente in tanti episodi, non ultimo la subalternità nelle relazioni tecniche che assecondano i desideri tranquillizzanti dei politici o le esaltazioni sui risultati, che rassicurano sul buon funzionamento di servizi sanitari.
È inutile nascondersi quanto siamo lontani dalla capacità di raccogliere queste esigenze. Le responsabilità che pesano sulle Università, sulle Agenzie regionali e nazionali, sulle struttura tecniche ministeriali e sugli Istituti, come l’ISS, sono enormi, il ritardo culturale e professionale molto forte. Un piano credibile in questo senso deve avere come base le diverse esperienze contraddittorie che esistono al livello regionale e nazionale nel sistema di sanità pubblica a partire dai centri di eccellenza, accademici e no, che pure esistono. Tutte queste realtà devono provare a cogliere questa opportunità di cambiamento, senza ricette precostituite, e, insieme con rappresentanti delle istituzioni, della politica, delle comunità locali, ricostruire un progetto di governance dell’SSN che superi la disastrata situazione di oggi, individui una progettualità di funzionamento del sistema, proponga una riformulazione delle relazioni tra i protagonisti necessari. In questo ambito non deve essere sottovalutato il bisogno di ricerca e sperimentazione sui servizi sanitari, che in Italia è stata frammentata, poco competitiva e spesso subalterna alle istituzioni politiche. Un piano per la sanità pubblica come motore della rinascita del Servizio sanitario nazionale e del welfare italiano, anche prendendo esempio da esperienze europee che hanno molto da suggerire, potrebbe essere la migliore opportunità di cambiamento, in un momento in cui, cercando di uscire dalla crisi Italiana, dobbiamo provare a ridisegnare il nostro vivere collettivo.

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