Il posto della scienza nell’ambito delle scelte pubbliche
Ciò che nei Paesi anglosassoni, ma anche nel contesto dell’Unione europea, è chiamato science policy non è sinteticamente traducibile in italiano. Infatti, 452_att1.pdfscience policy, espressione la cui provenienza anglosassone si lega al maggior peso tradizionalmente riconosciuto alla scienza nell’ambito delle scelte pubbliche, corrisponde solo parzialmente a “politica della scienza”.
Già negli anni Sessanta del secolo scorso, lo studioso americano Harvey Brooks aveva sottolineato due differenti aspetti impliciti in science policy connessi al ruolo che la scienza aveva acquisito per i governi e i nuovi problemi istituzionali che ciò comportava. Da un lato, Brooks ha indicato come policy for science – politiche “per” la scienza – gli interventi pubblici a sostegno della scienza e le politiche per la ricerca; dall’altro, l’autore ha definito la presenza crescente dei saperi scientifici all’interno di leggi e decisioni pubbliche come science in policy, la scienza che informa le decisioni di policy.1
Se il tema del finanziamento alla ricerca non ha mai perso di attualità e interesse, è però certamente l’altro versante della science policy che pone più quesiti, esige ripensamenti e, soprattutto, cambiamenti strutturali all’interno delle istituzioni democratiche.
I due articoli che seguono guardano, da prospettive diverse ma intrecciate, proprio alla storia della science policy e riflettono su questi cambiamenti: qual è il “giusto posto” della scienza nell’articolazione delle procedure e garanzie di accreditamento, accessibilità, credibilità e trasparenza che accompagnano la visione contemporanea della democrazia?2
A fronte di una tradizione anglosassone di istituzioni di scientific advisory system e di figure di chief scientist che cercano di convogliare, in modo pluralistico ma coeso, gli scenari offerti da discipline e conoscenze chiamate a informare leggi e decisioni pubbliche, la situazione italiana è apparsa, fin dal primo manifestarsi della pandemia (ma certamente anche prima), priva di percorsi definiti e omogenei per il trattamento della scienza e delle sue inevitabili incertezze.
Nell’uso del sapere scientifico all’interno della vita pubblica e dei modelli più corretti e affidabili di rapporto tra scienza e istituzioni politiche ancora mancano nel nostro Paese una cultura e una consapevolezza adeguate. Questa consapevolezza spesso è assente tra i decisori politici, che ancora attendono pareri “inconfutabili” dalla scienza; tra molti scienziati, non abituati a distinguere il loro ruolo come ricercatori e accademici e come funzionari pubblici (secondo la tradizione del civil servant); nella gran parte dei cittadini, che faticano a orientarsi tra conoscenze incerte e diritti sovente malintesi.
Conflitti di interesse dichiarati: nessuno.
Bibliografia
- Harvey B. The Government of Science. Cambridge MA, MIT Press, 1968.
- Liberatore Angela, Funtowicz Silvio (eds), Special Issue on Democratising Expertise, Expertising Democracy. Science and Public Policy 2003;30(3):146-232.