Attualità
08/06/2010

Il Piano nazionale della prevenzione 2010-2012

Il 29 aprile 2010 la Conferenza Stato-Regioni ha sottoscritto l’Intesa sul Piano nazionale della prevenzione (PNP) 2010-2012. Dopo tre anni di vuoto (il precedente PNP copriva il triennio 2005-2007, a cui sono seguite due proroghe per gli anni 2008 e 2009) si torna dunque a organizzare la prevenzione a livello nazionale. Ora la palla passa alle Regioni che entro il 30 settembre 2010 devono adottare i Piani regionali di prevenzione (PRP) per la realizzazione degli interventi previsti dal PNP. Ed è proprio per discutere di piani regionali che la Regione Lombardia ha organizzato lo scorso 22 giugno a Milano un convegno nazionale a cui hanno partecipato rappresentati del Ministero della salute, dell’Istituto superiore di sanità, delle Regioni e delle società scientifiche coinvolte nelle attività di prevenzione. Così Giuseppe Filippetti, del Ministero della salute, ha presentato il nuovo PNP al Convegno: «Sono quattro le novità che differenziano questo piano rispetto al precedente, di cui comunque costituisce la naturale evoluzione. La prima è di carattere culturale: il piano 2010-2012 è più multidisciplinare e multisettoriale, nel senso che riguarda tutte le aree operative sanitarie coinvolte in attività di prevenzione, ma anche settori esterni al sistema sanitario. La seconda è che mette al centro la persona, non i servizi. E poi, c’è molto più spazio sia per la medicina predittiva sia per la prevenzione terziaria. In generale, gli ambiti di intervento sono più numerosi e variegati rispetto al Piano 2005-2007».

Prevenzione «dalla culla alla bara»?

In effetti, mentre il vecchio piano si concentrava su alcune priorità (rischio cardiovascolare, cancro, malattie prevenibili con vaccino, incidenti) quello appena approvato ha un raggio d’azione molto più vasto. Ed è proprio questa vastità di orizzonti a suscitare perplessità in alcuni operatori. Per questo motivo Vittorio Carreri (SITI), ha definito il nuovo PNP un «libro dei sogni». E Maria Donata Giaimo (Direzione regionale sanità della Regione Umbria) «prevenzione dalla culla alla terza età. E tutto» aggiunge «all’interno dello stesso 5%, cioè la quota che le Regioni dovrebbero destinare alle attività di prevenzione». «Nell’elenco delle patologie oggetto d’attenzione si introducono nuove priorità rispetto al PNP precedente senza giustificarle con argomentazioni scientifiche» sottolinea Adele Seniori Costantini, presidente AIE, dando voce a un’osservazione contenuta in un documento congiunto AIE-SItI-SISMEC (scaricabile dal sito dell’AIE: www.epidemiologia.it). Anche Renato Pizzuti (OER Regione Campania) non è convinto: «Il piano precedente inquadrava alcuni aspetti per cui esistono interventi di provata efficacia, come i programmi di screening oncologici per mammella, cervice e colon retto; ora c’è dentro un po’ di tutto, anche ambiti per i quali gli interventi oggi disponibili (si veda la ricerca del PSA per il cancro della prostata) non godono di prove di efficacia, ma dovrebbero semmai essere sottoposti a studi per valutarne fattibilità ed efficacia». Per quanto concerne la declinazione del concetto di prevenzione riassunta nelle macro-aree di intervento previste dal Piano (vedi riquadro, pg 72), secondo Piero Borgia (ASP Lazio) «i cardini di un PNP debbono essere la prevenzione collettiva e quella primaria. Tutto il resto, ossia la prevenzione secondaria e terziaria, a mio parere pertiene all’assistenza».

La persona al centro

Tra i punti di maggiore novità del nuovo piano c’è il «porre al centro la persona». Come ribadito da Anna Pavan (Regione Lombardia), questo significa, tra l’altro, che l’attività di promozione della salute poggia di più «sul senso di responsabilità e sulla libertà delle persone». «A mio parere questo approccio comporta un rischio, quello di concentrarsi troppo sugli individui deresponsabilizzando nel contempo le istituzioni» osserva Pizzuti. «Con questo non voglio sostenere che l’attenzione agli stili di vita individuali non sia sacrosanta, ma che andrebbe considerato di più il ruolo degli ambiti “pubblici”. Il rischio è quello di “colpevolizzare” più che “responsabilizzare”, sminuendo la forte influenza che la società esercita sui comportamenti individuali».

La medicina predittiva

In merito all’enfasi attribuita alla medicina predittiva, alcuni vi scorgono un approccio tecnocratico che punta a privilegiare interventi a livello individuale, riconducendo così la prevenzione a un rapporto tra medico e paziente e rendendo di fatto la prevenzione un fatto «privato» (si veda l’intervista a Donato Greco, Epidemiol Prev 2008; 32(6): 277-78). «Ci sono due modi di intendere la medicina predittiva» nota Borgia. «Uno tende a enfatizzarne i risultati senza pensare a come governarli; l’altro, quello che io personalmente condivido, punta invece a far sì che le conquiste scientifiche che danno informazioni sulla probabilità di sviluppo di alcune patologie vengano tradotte in strumenti utilizzabili dalla sanità pubblica. Il tutto garantito dal Servizio sanitario nazionale». «Soprattutto» interviene Seniori Costantini «occorre introdurre paletti ben precisi quando si tratta di interventi di medicina predittiva, per loro natura indirizzati all’individuo sano: devono cioè essere in grado di predire patologie ritenute prioritarie, all’esecuzione di questi test devono poter seguire interventi capaci di prevenire lo sviluppo della malattia, non debbono esistere altri interventi di prevenzione più efficaci e, non ultimo, bisogna evitare il prodursi di discirminazioni sociali o di qualsiasi altro tipo». Resta da vedere come le singole Regioni declineranno nella pratica questo richiamo alla medicina predittiva. «In Umbria lo faremo con due progetti di screening del cancro della mammella e del colon retto» dice Giaimo. «È nostra intenzione studiare i fattori familiari nello sviluppo di questi tumori. Un obiettivo complesso, in quanto implica la costruzione di percorsi indiìviduali specifici. Per questo cominceremo avviando uno studio di fattibilità».

Ambiente e salute

«Non c’è abbastanza attenzione in questo piano per temi per i quali studi epidemiologici e tossicologici hanno dimostrato un nesso di causa-effetto con danni alla salute » lamenta Seniori Costantini. «Parlo di inquinamento atmosferico, ondate di calore, trattamento e samltimento dei rifiuti, esposizioni all’amianto, solo per citarne alcuni. Eppure, in questi ambiti il SSN ha responsabilità importanti nella sorveglianza epidemiologica, nella stima di impatto sanitario delle esposizioni ambientali, nella comunicazione alla popolazione». «Si dovrebbe puntare di più sull’ambiente e di meno sulla prevenzione secondaria e terziaria» chiosa Borgia.

I sistemi di rilevazione

«In Italia c’è bisogno di una rete di strutture epidemiologiche minime per garantire la sorveglianza e la prevenzione: quelle esistenti nelle diverse Regioni sono disomogenee, in termini di conoscenze e competenze, e hanno anche poche risorse economiche» nota Silvano Piffer (Provincia autonoma di Trento). «Inoltre, andrebbero razionalizzati i sistemi di rilevazione: le indagini sono troppe e troppo dispersive. Anni fa Donato Greco aveva proposto di ampliare l’indagine Multi-scopo dell’Istat in modo da poter essere utilizzata dalla sanità e di usare solo quella. Ciò permetterebbe di risparmiare fondi che potrebbero essere investiti in altri ambiti».

La Comunità di pratica

Dal punto di vista pratico e organizzativo, le Regioni verranno seguite nella fase di stesura dei PRP da un organismo predisposto dal Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute (CNESPS) dell’Istituto superiore di sanità. Si tratta della «Comunità di pratica per i piani regionali di prevenzione», una piattaforma web (www.comunitapnp.it) che ha lo scopo di permettere uno scambio di conoscenze e di esperienze fra decine di tecnici e scienziati che da anni lavorano e agiscono sul tema e sui servizi di prevenzione. L’obiettivo è attivare una comunità di tecnici, scienziati, esperti, dirigenti del servizio sanitario provenienti da tutte le Regioni che, grazie alla condivisione di conoscenze e di esperienze su questa piattaforma, permetta alle singole Regioni di mettere a punto piani di prevenzione centrati sul cittadino, solidi dal punto di vista metodologico ed efficaci nel momento in cui verranno realizzati. Spiega Stefania Salmaso del CNESPS: «Rispetto alle esperienze passate questo Piano prevede una condivisione maggiore: le Regioni stilano i PRP, in seguito il Ministero emana un piano operativo. Insomma, non è più il “centro” a dare la linea. Per arrivare a questo traguardo è fondamentale creare un pool di operatori sanitari che condividano il medesimo linguaggio per quel che concerne le forme e i metodi dei PRP. Questo è il senso della Comunità di pratica, un luogo in cui tutti imparano da tutti». Come sta andando? «Sono già stati effettuati quattro corsi a ogbnuno dei quali hanno partecipato da 3 a 8 persone che diventeranno progettisti nella comunità, a cui sono già iscritte 140 persone. Finora siamo riusciti a coinvolgere tutte le Regioni italiane, con l’unica eccezione della Provincia di Bolzano» risponde con evidente soddisfazione Stefania Salmaso. Come procederà il lavoro? «Abbiamo stilato un cronogramma che prevede per il 2010 la redazione dei PRP, per il 2011 la presentazione dei progetti al Ministero della salute e la loro valutazone ex ante e infine, per il 2012, la valutazione finale di efficacia dei PRP».

Macro-aree di intervento del PNP 2010-2012
  1. Medicina predittiva: rivolta agli individui sani, ricerca la fragilità o il difetto che conferisce loro una certa predisposizione a sviluppare una malattia.
  2. Programmi di prevenzione collettiva: mirano ad affrontare rischi diffusi nella popolazione generale, sia con l’introduzione di politiche favorevoli alla salute o interventi di tipo regolatorio, sia con programmi di promozione della salute o di sanità pubblica (come programmi di sorveglianza e controllo delle malattie infettive), sia con interventi rivolti agli ambienti di vita e di lavoro (come controlli nel settore alimentare, delle acque potabili, prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali eccetera).
  3. Programmi di prevenzione rivolti a gruppi di popolazione a rischio: finalizzati a impedire l’insorgenza di malattie (per esempio, i programmi di vaccinazione in gruppi a rischio), o a diagnosticare precocemente altre malattie (per esempio, gli screening oncologici), o ancora a introdurre nella pratica clinica la valutazione del rischio individuale e interventi successivi di counselling o di diagnosi precoce e trattamento clinico (per esempio, la prevenzione cardiovascolare).
  4. Programmi volti a prevenire complicanze e recidive di malattia: promuovono il disegno e l’implementazione di percorsi che garantiscano la continuità della presa in carico, attraverso il miglioramento dell’integrazione all’interno dei servizi sanitari e tra questi e i servizi sociali, di fasce di popolazione particolarmente fragili, come anziani, malati cronici, portatori di polipatologie, disabili eccetera.
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