Attualità
20/10/2009

Il convitato di pietra

Nelle sue considerazioni sull’invadenza della medicina preventiva, Maurizio Ponz de Leon non si riferiva ai grandi successi igienistici dell’inizio del secolo scorso nel campo della salubrità delle abitazioni e delle città, della sicurezza dell’acqua da bere, né alla prevenzione impiantistica nei luoghi di lavoro o alle leggi di tutela della salute dei lavoratori. Si riferiva all’ingerenza delle attività preventive nella professione medica, nel rapporto del medico con i suoi assistiti. Condivido questo sentire. Ho appena compiuto 65 anni e ho colto l’occasione per consultare qualche statistica sulla popolazione anziana. Ho scoperto con un certo sgomento che alla mia età il 65% degli italiani assume quotidianamente uno o più farmaci, e che gran parte di questi farmaci sono per la prevenzione. Per prevenire le complicanze dell’ipertensione, delle dislipidemie, dell’intolleranza al glucosio, dell’obesità, della sindrome metabolica, dell’osteoporosi, della caduta degli estrogeni in menopausa, dello stato infiammatorio cronico, di un’eccessiva aggregazione piastrinica – tutte condizioni ampiamente prevenibili attraverso il comportamento individuale nei confronti del cibo e dell’esercizio fisico. Questi trattamenti farmacologici sono piuttosto efficaci nel normalizzare tali fattori di rischio, tutto sommato con effetti collaterali nocivi relativamente modesti, ma più efficace, e certamente meno costoso per il sistema sanitario e senza effetti collaterali avversi, sarebbe non sviluppare affatto questi fattori di rischio. È discutibile se sia compito dei medici informare la popolazione degli studi che dimostrano la prevedibilità di queste condizioni (anche perché i medici non sono necessariamente informati e questi aspetti non fanno parte del loro curriculum formativo). E poi, perché mai far penare tanto la gente e creare ansia e magari sgradevoli sensi di inadeguatezza, quando basta una pillola, due pillole, tre o quattro pillole? Farla vivere da malati, rinunciare alla meravigliosa varietà di cibi postmoderni che ci offrono gli ipermercati, non approfittare delle tecnologie che ci permettono una vita totalmente sedentaria, quando una pillola ci darebbe l’illusione di vivere da sani? Il mercato della prevenzione (e il PIL) è tanto maggiore quanto meno prevenzione si fa. Io mi sono impegnato per anni perché le istituzioni sanitarie si occupassero di prevenzione (primaria), ma col senno di poi, e con la lettura dell’articolo di Maurizio Ponz de Leon, mi viene da pensare che, effettivamente, forse sarebbe meglio che i medici facessero i medici (probabilmente farebbero meno danno) e lasciassero ai cittadini informati la responsabilità di scegliere consapevolmente i loro fattori di rischio, e di condizionare le scelte politiche su questi fattori. Qualunque dovrà essere il loro ruolo, comunque, è auspicabile che anche i medici siano informati e che informino, a scopo preventivo, sugli effetti collaterali dei farmaci che prescrivono. In queste questioni c’è un convitato di pietra, l’industria. Non solo quella del farmaco, direttamente interessata a promuovere i farmaci per la prevenzione, ma anche quella del tabacco e l’industria agroalimentare, peraltro sempre più coincidenti, interessate a fare in modo che le indicazioni a favore di stili di vita preventivi perdano credibilità. Tradizionalmente l’industria del tabacco ha lavorato per sponsorizzare ricerche alternative e per pubblicizzare ogni informazione che potesse testimoniare l’esistenza di pareri scientifici contrastanti sui danni da fumo. L’industria alimentare sta percorrendo la stessa strada promuovendo pareri esperti e dando grande rilievo a valutazioni contrarie a quelle indipendenti. Recentemente hanno dato una mano all’industria alimentare tre epidemiologi di grosso peso dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, che si sono impegnati a ridicolizzare la revisione sistematica della letteratura su dieta e cancro promossa dal Fondo mondiale per la ricerca sul cancro (WCRF, www.dietandcancerreport.org) che concludeva raccomandando di limitare il consumo di carni rosse e di evitare quelle conservate. Il cittadino non può avere la competenza per decidere chi degli esperti abbia ragione e chi torto su questo o quel fattore di rischio, ma può fare molto di più: può, se vuole, rispettare il pianeta, può ascoltarsi, come raccomanda Maurizio Ponz de Leon, anche per capire cosa fa bene e cosa fa male. Sarà sempre possibile che si ammali per il puro gioco del caso, per la coincidenza di catene causali indipendenti (come il medico Du Roi che muore per trauma cranico mentre va a visitare a domicilio il suo paziente Du Pont perché all’idraulico Du Bois che stava riparando la grondaia cade il martello, cito a memoria da Jacques Monod), ma il caso ha a che fare con la probabilità degli eventi e ciascuno può scegliere fra probabilità più alte o più basse. Certamente è un po’ svilente per un medico che ha studiato tanto perdere tempo per informare il paziente che ci sono centri che aiutano a smettere di fumare, che riducendo carni rosse e formaggi si riduce il colesterolo, che l’attività fisica previene l’ipertensione e l’osteoporosi, che ci sono alimenti ad alto indice glicemico che favoriscono lo sviluppo del diabete, che la sindrome metabolica si previene (e si fa regredire) con la dieta mediterranea, che il riso integrale riduce lo stato infiammatorio mentre i prodotti animali (eccetto il pesce) lo favoriscono.

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