Attualità
20/10/2009

I limiti del Patto per la salute 2010-2011

Il Patto per la Salute è il documento più importante con cui Governo e Regioni condividono gli obiettivi di governo del Servizio Sanitario. Purtroppo lo Schema di Intesa proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, valevole per il biennio 20102011, presenta alcuni limiti “di principio” e “di tecnica” che dovrebbero essere corretti per essere all’altezza degli obiettivi che ha il documento. Di seguito riassumiamo i principali limiti del documento che emergono a una lettura epidemiologica attenta alla “sanità pubblica”. Alle obiezioni di principio sulla salute potrà rispondere solo la politica, mentre alle obiezioni tecniche, il Governo e le Regioni possono da subito provvedere perfezionando il documento e utilizzando, a questo scopo, le numerose competenze disponibili nel Servizio Sanitario Nazionale. Si chiama “Patto per la Salute” ma non vi è alcuna frase che abbia come obiettivo la salute della popolazione se non all’articolo che annuncia l’intesa sul Piano Nazionale di Prevenzione (art. 11). È evidente che in questa fase di crisi economica diventa ancor più stringente il problema del contenimento della spesa pubblica e quindi anche di quella sanitaria, ma questo appare come l’unico obiettivo del documento e non, come dovrebbe essere, un obiettivo “concorrente” che non dovrebbe ostacolare il raggiungimento di effetti positivi per la salute per la collettività. Due sono i casi in cui questa carenza è più evidente: il fabbisogno e i ticket. Il primo caso è la determinazione del fabbisogno. Vincolare il fabbisogno del SSN a una proporzione del Prodotto Interno Lordo come fa l’art. 1, in misura standard e indipendentemente dal ciclo economico, significa non distinguere tra gli obiettivi della spesa pubblica e tra il loro impatto sul benessere della popolazione in un particolare momento storico. È noto che la sanità svolge un rilevante ruolo anticiclico nelle crisi economiche moderandone l’impatto sfavorevole sulla salute e il benessere della popolazione. In presenza di una forte flessione del PIL il vincolo del finanziamento del SSN ad una percentuale standard del PIL significa sotto finanziare la sanità pubblica con la conseguenza di una minore efficacia della tutela sulla salute. Anche il resto del documento disciplina il modo con cui si divide questo fabbisogno standard nazionale nei fabbisogni dei diversi sistemi sanitari regionali solo in funzione dell’efficienza ed appropriatezza allocativa, trascurando le differenze di bisogno di tutela della salute che caratterizzano le diverse realtà regionali.

Il secondo caso sono i ticket. L’impegno politico di non aumentare la contribuzione fiscale induce l’idea che l’unica forma di recupero di risorse per coprire i disavanzi prodotti da alcune amministrazioni sia quella della partecipazione alla spesa da parte degli utenti. Strumenti quale i ticket perdono così il significato di strumenti di promozione dell’appropriatezza e diventano ciò che sono spesso stati, cioè strumenti per “far cassa” trascurando l’impatto che possono avere sulla salute. Ma ci si deve chiedere se i disavanzi, che derivano dal fatto che i finanziamenti sono inferiori alle spese, siano imputabili a una sottostima del finanziamento o a un gonfiamento delle spese prodotto da inefficienze e inappropriatezze. Nel primo caso sarebbe “curioso” che si facesse pagare ai malati il sotto finanziamento di alcune Regioni; nel secondo poi l’iniquità deriva dal fatto che la responsabilità della cattiva amministrazione dovrebbe essere fatta pagare a tutti i cittadini che hanno dato democraticamente il consenso a quella amministrazione (con il prelievo fiscale) e non certo alla quota debole della cittadinanza, cioè ai malati (con il ticket). Se sembra giusto che i residenti di una Regione inefficiente debbano farsi carico delle conseguenze di queste inefficienze, sembra invece decisamente iniquo che ammalarsi in una Regione non costi nulla mentre ammalarsi in un’altra possa costare parecchio. Si osservi poi che mentre gravare la contribuzione fiscale rispetta la proporzionalità rispetto ai redditi, le quote di compartecipazione dei malati ai costi non prevedono alcun rapporto con le risorse disponibili da parte dei soggetti, rendendo ulteriormente iniquo l’uso del ticket. Ci sono preoccupanti indizi che la compartecipazione alla spesa stia portando -anche nel nostro paese- le categorie sociali più vulnerabili o a rinunciare alle cure con pericolose conseguenze per la salute o a compromettere altri consumi o attività rilevanti per la salute a causa delle spese sanitarie. Un patto per la salute dovrebbe sì considerare gli elementi obbligatori del contenimento della spesa sanitaria, ma declinando questi provvedimenti con gli altri elementi obbligatori della salvaguardia dei processi assistenziali a garanzia della salute. È per questo che lo schema d’intesa può difficilmente essere accettato come base adeguata a fondare un patto sulla salute, a meno di pensare che Governo e Regioni rinuncino a considerare la salute e l’equità come obiettivi prioritari e criteri di scelta delle politiche. Ma non vogliamo credere che questa sia la direzione e la strada individuata. Sarebbe opportuno sottomettere a revisione questo documento prima dell’esame da parte delle forze politiche valendosi di professionisti e di competenze presenti nel Servizio Sanitario Nazionale italiano.

Un allegato contenente ulteriori note tecniche è disponibile questo sito e su sito dell’AIE www.epidemiologia.it

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