Farmaci, sesso e genere
Cosa abbiamo imparato dal webinar Farmaci e genere
Gruppi AIE - maggio 2024
Introduzione
La medicina genere-specifica, ovvero lo studio dell’influenza delle differenze biologiche (definite dal sesso) e socioeconomiche e culturali (definite dal genere) sullo stato di salute e di malattia di ogni persona, sta guadagnando sempre più attenzione.
Sesso e genere possono influenzare significativamente la risposta di un individuo ai farmaci. Il sesso gioca un ruolo cruciale nell’assorbimento, nel metabolismo e nella risposta ai farmaci. Le differenze legate al sesso, ma anche al genere, possono determinare variazioni nell’uso di farmaci, nei dosaggi ottimali, nei tempi di azione e negli effetti collaterali. Tuttavia, storicamente, la ricerca farmacologica ha spesso trascurato queste differenze, basandosi prevalentemente su studi condotti su popolazioni maschili. Questo squilibrio ha portato a una comprensione incompleta e potenzialmente inadeguata dell’effetto dei farmaci sulle donne. Inoltre, la letteratura scientifica mostra numerosi esempi in cui le differenze tra i due sessi hanno un impatto su tutte le fasi di una terapia farmacologica, dallo sviluppo all’accesso alla terapia, dall’aderenza alle terapie farmacologiche fino a possibili differenze in termini di efficacia e sicurezza di queste.
Per dare risalto ai vari ambiti di ricerca in questo contesto, nel mese di maggio 2024 si è svolto il webinar FARMACI E GENERE, organizzato dai gruppi di lavoro Epidemiologia di Genere, Farmacoepidemiologia e Giovani dell’Associazione Italiana di Epidemiologia, moderato da Antonio Addis (Dipartimento di Epidemiologia della Regione Lazio). Il webinar, che ha visto un’ampia partecipazione, aveva l’obiettivo di analizzare la relazione tra farmaci e genere da vari punti di vista, in un’ottica non solo clinica, ma anche di sanità pubblica.
Nella sua relazione introduttiva, Luigia Trabace, dell’Università di Foggia, ha presentato le differenze di sesso e genere in ambito farmacologico. Rita Banzi, dell’Istituto Mario Negri, ha messo in luce le differenze rispetto allo sviluppo dei nuovi farmaci. Infine, Anna Ruggieri, dell’Istituto Superiore di Sanità, ha concluso l’evento con un’analisi delle differenze di sesso e genere nella risposta immunitaria ai vaccini.
Differenze di sesso e genere in farmacologia
La farmacologia di genere si occupa dello studio delle differenze di efficacia e di sicurezza dei farmaci in funzione del sesso e del genere. Donne e uomini possono presentare una diversa risposta alle terapie e diverse reazioni avverse ai farmaci. La sperimentazione di un farmaco dovrebbe, quindi, essere sviluppata ponendo attenzione alle differenze che possono emergere fra i sessi, sia per quanto riguarda l’efficacia sia per quanto riguarda la sicurezza, utilizzando metodologie e approcci sperimentali appropriati. Ciò dovrebbe essere garantito in tutte le fasi della sperimentazione preclinica e clinica, a partire dagli studi in vitro. Per quanto riguarda questi ultimi, a oggi è molto raro che venga fornito il dato relativo alla provenienza della linea cellulare utilizzata, se essa proviene da soggetti femmine o da maschi, rischiando così di non tenere nella giusta considerazione l’influenza sui processi biologici di eventuali differenze. È noto, infatti, che i cromosomi sessuali influenzano, per esempio, l’espressione di proteine, così come i meccanismi molecolari all’interno delle cellule.
Per quanto riguarda la sperimentazione preclinica in vivo, a oggi vengono utilizzati prevalentemente animali maschi.1 Nell’ambito farmacologico, il maggior uso degli animali di sesso maschile è basato sul preconcetto che l’utilizzo delle femmine produce risultati caratterizzati da maggiore variabilità. Tuttavia, sono state recentemente pubblicate numerose metanalisi che hanno dimostrato che il coefficiente di variabilità non differisce tra maschi e femmine.2
A livello di sperimentazione clinica, nonostante le ormai numerose e chiare evidenze scientifiche, il campione femminile rimane ancora sottodimensionato.3 L’arruolamento di donne in ciascuna fase della sperimentazione appare insufficiente, soprattutto negli studi di fase I, ovvero in quelle fasi importanti in cui si valuta la dose massima tollerata del farmaco in sperimentazione.
Bisogna sottolineare che il bias di genere può riguardare anche gli uomini. Per esempio, in alcune patologie a netta prevalenza femminile, come l’emicrania, l’esclusione coinvolge gli uomini, ai quali non viene diagnosticata la malattia oppure non viene prescritto un trattamento adeguato. Particolare rilevanza, anche da un punto di vista sociale, assume la patologia depressiva, che spesso è alla base di comportamenti suicidari. È noto, infatti, che il numero di suicidi, nella gran parte dei Paesi occidentali, compresa l’Italia, è più alto tra gli uomini, forse anche a causa di una diagnosi tardiva o inappropriata.
In generale, gli studi clinici dovrebbero arruolare volontari rappresentativi della popolazione che si ritiene utilizzerà quel trattamento nella pratica clinica, promuovendo così la parità sessuale nella cura della salute e garantendo l’auspicata equità di accesso alle terapie.
Differenze di sesso e genere nello sviluppo clinico dei farmaci
Ormai è largamente dimostrato come sesso e genere influenzino la prevalenza, la gravità e la manifestazione delle malattie, così come l’accesso e la risposta ai trattamenti, siano essi farmaci, dispositivi o altre tecnologie sanitarie. C’è però ancora molto da fare per trasferire queste conoscenze nello sviluppo e autorizzazione di trattamenti efficaci e sicuri per uomini e donne. La ricerca scientifica, da quella di base agli studi clinici, tende a studiare preferenzialmente modelli maschili e uomini, penalizzando le donne.3 Consapevoli delle disparità legate al sesso e al genere nella ricerca, occorre modificarne l’approccio per promuovere una concreta prospettiva che tenga conto di queste differenze.
Nell’ambito specifico della ricerca clinica, la mancata identificazione di differenze potenzialmente rilevanti fin dalle prime fasi porta inevitabilmente a uno sviluppo clinico distorto e, potenzialmente, a introdurre interventi sanitari imperfetti nella pratica clinica. Non è solo un rischio teorico. Le donne utilizzano più farmaci4 e sono soggette a un numero di reazioni avverse maggiore degli uomini5, perché, tra le altre cose, le conoscenze sui farmaci nelle popolazioni femminili sono limitate.
Il primo passo è certamente quello di includere un numero adeguato di donne negli studi clinici, anche nelle fasi precoci dove si raccolgono informazioni sulle differenze in termini di risposta e tossicità fondamentali per impostare al meglio gli studi confermativi. Includere più donne negli studi clinici è certamente una condizione necessaria ma non sufficiente, perché occorre poi pianificare e condurre analisi mirate a valutare in modo affidabile l’influenza di sesso e genere. Non basta, cioè, confrontare i dati – per esempio, di risposta a un trattamento – negli uomini e nelle donne, ma occorre valutare l’effetto di interazione tra la risposta e il sesso (o il genere), cercando di ridurre il rischio di falsi negativi, legati alla minore precisione delle analisi di sottogruppo, ma contemporaneamente il rischio di falsi positivi dovuti a dati spuri che potrebbero essere dovuti a confondenti e non a una genuina differenza legata al sesso o al genere.6,7
In alcune situazioni, anche a fronte di un’inclusione adeguata e a un’analisi dei dati corretta, si rendono necessari approcci più sofisticati. Per esempio, se la frequenza di un evento è molto diversa negli uomini e nelle donne (come il rischio di ictus nella popolazione con fibrillazione atriale)8, dovremmo calcolare la dimensione dello studio facendo assunzioni diverse per uomini e donne. Se i sintomi di una malattia sono molto diversi negli uomini e nelle donne (per esempio, le manifestazioni della malattia di Parkinson)9, potremmo aver bisogno di strumenti per la valutazione degli esiti specifici per uomini e donne. Infine, sarà fondamentale allargare lo sguardo sull’evoluzione della percezione del sesso e del genere e della relazione con la salute fisica e psicologica delle persone.10
Si potrebbe pensare che questo approccio porti inevitabilmente a complicare la ricerca e, conseguentemente, aumentarne i costi. È una sfida per la metodologia della ricerca, che è chiamata a proporre soluzioni più efficienti per studiare le differenze di sesso e genere e, in generale, le persone nelle loro diversità.
Differenze di sesso e genere in risposta ai vaccini
Uomini e donne rispondono in modo diverso alle vaccinazioni. Le donne sono generalmente più immunoreattive e sviluppano risposte immunitarie vaccinali più intense, con titoli anticorpali spesso doppi rispetto agli uomini, alla maggior parte dei vaccini somministrati in tutte le fasce di età.11
Recentemente si è notato che la risposta anti-S al vaccino COVID-19 ad mRNA è più elevata nelle operatrici sanitarie rispetto agli operatori sanitari, a tre intervalli di tempo post-vaccinazione.12 La maggiore immunoreattività femminile si associa, però, a reazioni avverse ai vaccini nelle donne più frequenti e più gravi. La differenza nella risposta immunitaria non è stata finora considerata nel disegno o nel dosaggio di farmaci e vaccini e ciò, unito al fatto che per lungo tempo le donne non sono state incluse negli studi clinici, potrebbe aver portato a un uso inappropriato dei dosaggi dei vaccini nelle donne.
A questo proposito, uno studio americano, condotto su un campione di uomini e donne sottoposti a vaccinazione antinfluenzale stagionale rispettivamente con dose intera o con metà dose di vaccino, ha riportato che le donne vaccinate con metà dose di vaccino antinfluenzale avevano sviluppato titoli anticorpali pari a quelli ottenuti negli uomini vaccinati con la dose intera.13 Questo studio ha messo in evidenza l’importanza di esaminare gli effetti della vaccinazione separatamente negli uomini e nelle donne, come punto di partenza per pianificare la somministrazione di vaccini personalizzati per sesso.
In alcuni casi, la maggiore immunoreattività femminile si associa a una protezione più duratura e/o a una maggiore efficacia della vaccinazione stessa. È il caso del vaccino sperimentale con la glicoproteina del virus Herpes simplex-1, responsabile della trasmissione dell’herpes genitale, che si è scoperto post hoc proteggere le donne, ma non gli uomini.14 Poiché la valutazione dei risultati degli studi clinici, che includono entrambi i sessi, viene effettuata senza disaggregare per sesso, il vaccino in studio non è stato autorizzato, nonostante la sua efficacia nelle donne.
Tra i meccanismi che rendono le donne più immunoreattive alla vaccinazione e con maggiori probabilità di ricevere efficacia protettiva, un ruolo importante giocano gli ormoni sessuali, poiché modulano la risposta immunitaria in generale. Fattori genetici, legati ai cromosomi sessuali X e Y, e fattori epigenetici (metilazione e microRNA), nonché la composizione del microbiota, contribuiscono al bias di genere nella risposta ai vaccini. Appare quindi molto importante promuovere e realizzare studi mirati all’identificazione di marcatori molecolari specifici per sesso predittivi della risposta alle vaccinazioni, in modo da poter aggiustare le pianificazioni e le dosi vaccinali sulla base delle differenze biologiche tra uomo e donna. Questi studi, insieme all’analisi disaggregata per sesso dei dati ottenuti da studi clinici e studi post-marketing, aiuteranno a ottimizzare le campagne vaccinali, personalizzando i programmi di prevenzione e sorveglianza.
Conclusioni
L’influenza del sesso e del genere in tutti gli aspetti della farmacologia mette in luce l’importanza di un approccio terapeutico che riconosca e valorizzi le specificità legate al sesso e al genere, migliorando così la sicurezza e l’efficacia dei trattamenti per tutti i cittadini. È responsabilità dei ricercatori produrre evidenze che supportino la pratica clinica in questo ambito, garantendo un’ampia diffusione delle conoscenze non solo nella comunità scientifica, ma anche e soprattutto tra i decisori delle politiche sanitarie.
Conflitti di interesse dichiarati: nessuno.
Bibliografia
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