Attualità
28/02/2016

Inquinanti à la carte

Ore 00.45 del 27 settembre 2014: all’interno della Raffineria Mediterranea di Milazzo, in provincia di Messina, scoppia un incendio. I bagliori delle fiamme sono visibili a chilometri di distanza. Alle prime luci dell’alba le fiamme continuano a salire dal serbatoio 513 portando con sé colonne di fumi neri che ammorbano il cielo. Lo fanno per ore, per giorni: il 30 settembre sopra Milazzo si vedono ancora densi serpentoni neri che il vento spinge verso l’entroterra. È tutto documentato nel video che i cittadini di Milazzo hanno postato sul sito www.incendiomilazzo.it.

Chi abita in questa zona è purtroppo aduso a vivere con il pericolo: nel 1993 un’esplosione nella stessa raffineria aveva fatto 7 vittime e, va ricordato, l’area industriale Milazzo-Valle del Mela nel 2002 è stata dichiarata «area a elevato rischio di crisi ambientale » tanto da essere inserita, nel 2006, nell’elenco dei SIN, i siti di interesse nazionale per le bonifiche.

Non può stupire perciò che gli abitanti della zona insieme ad alcuni sindaci dei Comuni interessati dall’incidente si siano subito rivolti alle autorità sanitarie per capire quali pericoli quei fumi ponessero alla loro salute e all’ambiente. E ancor meno può meravigliare che, in assenza di risposte esaurienti da parte delle istituzioni preposte, decidano di agire in prima persona. Scelgono dunque di rivolgersi a un gruppo di epidemiologi che conoscono da anni (riuniti nell’impresa sociale senza scopo di lucro per l’epidemiologia e la prevenzione “Giulio A. Maccacaro”) per fare due cose:

  1. installare una centralina per la rilevazione del particolato PM2.5;
  2. realizzare uno studio scientifico per capire l’entità e la qualità dell’inquinamento prodotto dall’incendio e le possibili ricadute sulla salute.

Nel giro di pochi giorni la centralina, finanziata dai cittadini, viene montata sul tetto della chiesa di Archi: dal 2 ottobre 2014 rileva in continuo le concentrazioni di PM2.5, che vengono pubblicate sul sito www.incendiomilazzo.it

La ricerca scientifica, condotta con la partecipazione attiva della popolazione, ha prodotto risultati che sono presentati nell’articolo pubblicato alle pp. 16-21.

Qui vale la pena di sottolineare come la vicenda di Milazzo costituisca un chiaro esempio di che cosa significhi il coinvolgimento dei cittadini nelle ricerche epidemiologiche. Laddove le istituzioni latitano, o tardano a rispondere a quesiti pressanti, di fronte alle popolazioni colpite si delineano diverse possibilità: possono organizzare in proprio uno studio (come è accaduto con il tentativo di mappare i tumori maligni mediante la raccolta dei codici di esenzione per patologie neoplastiche) o possono chiedere a scienziati indipendenti di condurre, avendo come “committenti” i cittadini, quegli studi che le agenzie governative non svolgono, almeno non con la sufficiente celerità. Per quanto riguarda il ruolo della scienza in questo tipo di ricerche “partecipate”, si tratta di quella che è stata definita critical epidemiology: un’epidemiologia che si differenzia da quella “ufficiale” praticata dalle istituzioni perché più attenta agli aspetti sociali, tanto sensibile alle richieste che vengono dai territori che, pur di rispondervi, è pronta a rinnovare i propri strumenti di indagine, quando non a inventarne di nuovi (il concetto di critical epidemiology è stato descritto da Phil Brown nella sua più ampia trattazione della popular epidemiology, vedi il suo scritto «Popular epidemiology revisited» pubblicato su Current Sociology 1997;45(3):137- 56; http://csi.sagepub.com/cgi/content/ abstract/45/3/137). A Milazzo, la raccolta dei campioni è stata fatta dai cittadini armati di un banalissimo foglio di carta da cucina.

Vi sono però anche altre modalità che emergono di recente in vari contesti in cui i cittadini, gli scienziati e i tecnici lavorano insieme mescolando i loro ruoli all’ideazione e alla realizzazione della ricerca e alla discussione dei suoi risultati, come avviene in un altro SIN, quello di Manfredonia (già descritto su queste pagine). In ogni caso, la spinta e la forza trainante per la ricerca è costituita dai cittadini che partecipano in prima persona alla ricerca.

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