Attualità
02/02/2018

Un primo bilancio di EpiChange

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Sono passati quattro anni dalla prima pubblicazione della sezione EpiChange nella nostra rivista (E&P 3-4, maggio-agosto 2014). A distanza di 16 uscite, riteniamo utile riassumere per i lettori di oggi la prospettiva culturale che la caratterizza.

Di cosa si occupa epichange?

Di comunicazione. Si preoccupa della relazione tra l’epidemiologo e la popolazione. Sappiamo bene che l’epidemiologia riguarda da un lato la salute delle popolazioni e dall’altro la metodologia per la produzione di conoscenza sui fattori che possono modificare la storia naturale delle malattie e sulla prevenzione.
Così come è profondamente cambiato in clinica il rapporto medico-paziente – la figura paternalistica del medico ha lasciato il posto a quella di un professionista che cerca la condivisione con il paziente delle scelte diagnostiche e terapeutiche, non fosse altro che per motivi opportunistici, come nel caso della medicina difensiva – allo stesso modo è cambiato il ruolo sociale dell’epidemiologo.
Non si chiede che l’epidemiologo diventi un sociologo della comunicazione, ma è necessario che rifletta sulla sua mutata collocazione sociale e acquisisca alcuni elementi di base per una corretta relazione con i soggetti della sua indagine.
In figura 1 è riassunta l’evoluzione del pensiero sociologico in materia. Pensare di doversi limitare a trovare i numeri giusti, comunicarli ed eventualmente corredare il rapporto con una buona spiegazione del loro significato è ingenuo o – mi si perdoni – patetico. Era giusto fare così quarant’anni fa!
EpiChange nasce così con venti anni di ritardo da quando B. Fischhoff concludeva con «dobbiamo renderli partner».1 Parlare di comunicazione oggi vuol dire parlare di come si mette in pratica un’indagine epidemiologica partecipata.

Cosa chiede epichange?

L’invito dei sociologi della comunicazione è a “praticare” il cambiamento. Non è in questione un’acquisizione teorica, ma una prassi quotidiana, nello specifico dei nostri studi.
Cambiare la prassi non è facile. Non lo è perché richiede di mettersi in gioco, assumersi responsabilità al di là di quanto dovuto nel nostro lavoro quotidiano, e forse al di là delle nostre possibilità concrete. Mi spiego: un lavoratore precario è chiamato a svolgere un compito preciso, poi non serve più, in nome della flessibilità del mercato del lavoro. Che dia quindi i numeri giusti, li comunichi con una buona relazione e, se è bravo, la completi con una spiegazione dei limiti della ricerca. Basta così, il suo contratto è terminato. Per esperienza personale, so che più di una volta il committente, sia un amministratore locale sia un direttore generale, preferisce che i tecnici gli consegnino una buona relazione, poi vedrà lui come giocarsela, e preferisce quindi commissionarla a esperti esterni piuttosto che a strutture pubbliche a ciò dedicate. Anzi, forse la carenza di strutture pubbliche con adeguate conoscenze e capacità è molto utile a questa modalità di uso della scienza, chiamata «usare la scienza per legittimare decisioni già prese».2
È, quindi, la prassi istituzionale che va cambiata. Gli epidemiologi come gruppo, come espressione di una cultura tecnico-scientifica progressista, chiedono un cambiamento. Per questo la rivista dell’AIE ha dato vita alla sezione «EpiChange: epidemiologia in trasformazione».

Cosa ha pubblicato epichange?

Gli articoli pubblicati mostrano “embrioni” della nuova prassi mescolati con la persistenza della vecchia. È naturale che sia così. Abbiamo avuto articoli fortemente teorici o filosofici, testimonianze di pratiche istituzionali volte a promuovere la partecipazione anche fuori dal nostro Paese, esempi di indagini “scalze” come quelle degli anni delle prime battaglie ambientaliste, documentazione di iniziative filantropiche o di veri e propri esempi di do it yourself in campo di sorveglianza ambientale, progetti epidemiologici di impianto più o meno tradizionale, ma che si pongono il problema del rapporto dell’epidemiologo con i soggetti o le popolazioni oggetto di studio e il problema dell’utilizzo dei dati prodotti nello studio epidemiologico per finalità che esulano dagli scopi che l’epidemiologo si era proposto.
Abbiamo anche seguito alcune indagini epidemiologiche che fin dalla fase di pianificazione dello studio hanno previsto la partecipazione dei cittadini e ne abbiamo documentato gli sviluppi e le difficoltà.3

Ma c'è di più

La situazione odierna è di crisi complessiva della scienza e di quello che rappresenta per la nostra società.4 Argomenti razionali basati su solide prove scientifiche sono posti sullo stesso piano di argomenti privi di tale fondamento. La verità è percepita come l’ipostasi degli argomenti scientifici che ne scaturiscono, in tutto il senso negativo che al termine dà la filosofia moderna. Sul piano della realtà dei conflitti tra interessi economici forti, la scienza e la tecnologia, così utili al sistema produttivo industriale, sono però anche un vincolo e un ostacolo al suo sviluppo. Vediamo così le multinazionali (dal tabacco allo zucchero, all’amianto e all’agroalimentare) interferire in modo sempre più aggressivo nel processo di produzione della conoscenza scientifica. Parte di questa strategia è la messa in discussione della qualità della scienza prodotta dalle più prestigiose istituzioni scientifiche, che perciò vengono non più poste sopra le parti, ma diventano oggetto di controversia. Si contrappongono fatti scientifici a fatti alternativi.
Dal basso, la facilità di accesso alle informazioni permette a un grande numero di non tecnici di intervenire nella produzione di argomentazioni di tipo scientifico. Il do it yourself si sposa con la sfiducia verso le élite: sono le due facce della stessa medaglia. Anche dal basso, fatti scientifici, prodotti dagli scienziati, sono contrapposti a fatti alternativi, prodotti dai cittadini che non si fidano, non delegano, non riconoscono autorevolezza.
In figura 2 si esplicita la necessità di una ridefinizione dei ruoli, qualcuno potrebbe dire dell’alleanza tra scienza e società,5 un mood sospetto in fase di reciproca diffidenza.
Vanno affrontate le questioni della complessità non riducibile, dell’incertezza e precarietà del sapere scientifico, dei conflitti di interesse, della sempre sospetta vicinanza della scienza e della tecnica al momento decisionale, cioè al potere. Va affrontata la questione della necessità del pensiero critico.6

È evidente che EpiChange ha a che fare con questo spazio critico. Il modo per comunicare la ricerca epidemiologica è il modo partecipativo. Dal punto di vista metodologico, ciò implica la messa a disposizione di un luogo (in senso antropologico di spazio di relazioni sociali) dove la ricerca è discussa e i ruoli si confondono e si ricreano.7
Troviamo un esempio di questo luogo nel breve filmato di una delle riunioni pubbliche a Manfredonia, in cui cittadini ed epidemiologi discutono dei risultati dello studio epidemiologico e delle sue implicazioni di sanità pubblica (realizzato dal regista Massimiliano Mazzotta e mostrato al Convegno AIE di Mantova, 2017).

Come partecipare a EPICHANGE

Per tutto quello che si è detto, EpiChange non è uno spazio chiuso, ma un progetto che della partecipazione fa la sua ragion d’essere. Perciò, invitiamo tutti coloro che credono nella necessità di trasformare la pratica professionale dell’epidemiologia in questa visione del rapporto tra epidemiologia e società e che ritengono di potervi concorrere (con studi scientifici, esperienze sui territori, riflessioni) a sottoporre un proprio contributo alla rivista (epiprev@inferenze.it).

È possibile scaricare il volume con tutti i contributi pubblicati nella sezione EpiChange.

Bibliografia

  1. Fischhoff B. Risk Perception and Communication Unplagged: Twenty Years of Process. Risk Anal 1995;5(2):145.
  2. Funtowicz S. Trattato di biodiritto. Il governo del corpo. Milano, Giuffrè, 2011.
  3. Progetto Manfredonia Ambiente e Salute. Epidemiol Prev 2015;39(2):81-83; Epidemiol Prev 2015; 39 (2): 83-84; Epidemiol Prev 2015;39(4):220-23; Epidemiol Prev 2015;39(4):224-25; Epidemiol Prev 2016;40(6):389-94.
  4. Ravetz J. The rightful place of science: science on the verge. Consortium for Science, Policy and Outcomes at Arizona State University, 2016.
  5. Fellini N, Faroult E. Genesi dell’Alleanza Scienza e Società in Francia. Verso una collaborazione consapevole e riconosciuta tra attori della ricerca e della società civile. Epidemiol Prev 2015;39(3):160-65.
  6. Gallino L. Il denaro, il debito e la doppia crisi spiegati ai nostri nipoti. Torino, Einaudi, 2015.
  7. De Marchi B, Biggeri A, Cervino M et al. A participatory project In environmental epidemiology: lessons from the Manfredonia case study (Italy 2015-2016). Public Health Panorama 2017;3(4):321-35.
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