Attualità
17/01/2012

Dal Sud una forte richiesta di democrazia ecologica deliberativa

La popolazione del Mezzogiorno d’Italia esprime una domanda di partecipazione alla gestione del proprio ambiente e della propria salute del tutto analoga a quella del resto d’Italia e d’Europa. Ma un combinato disposto di cause impedisce che questa domanda venga soddisfatta. Ciò crea un deficit di democrazia sanitaria ed ecologica. Una nuova disuguaglianza tra il Sud e il resto del Paese.

Lo dimostrano chiaramente le interviste sull’immaginario epidemiologico raccolte nell’ambito del progetto SEBIOREC e pubblicate nel libro Corpi in trappola, curato da Liliana Cori e Vincenza Pellegrino (Editori Riuniti, 2011): anche nel Mezzogiorno, anche al confine tra le province di Napoli e Caserta –  dove il tema rifiuti, devastazione del territorio, sanità pubblica assume forme del tutto inusitate rispetto a ogni altra parte d’Europa – c’è una diffusa, forte, sacrosanta domanda di partecipazione alla gestione dell’ambiente e della salute. La richiesta impellente di democrazia ecologica deliberativa. Il bisogno urgente che venga soddisfatta quella costellazione di diritti emergenti nella “società della conoscenza” e nella “società del rischio” che qualcuno ha chiamato “diritti di cittadinanza scientifica”. E che, per quanto riguarda la salute, si esprime anche nella volontà di contribuire attivamente a costruire un ambiente migliore.

Questa domanda della popolazione meridionale, al netto delle specificità culturali locali, è del tutto simile a quella delle popolazioni di ogni altra regione d’Europa.

Il contesto in cui questa domanda di partecipazione si esprime, però, è affatto differente. Non solo e non tanto per quel vero o presunto ordito sociale premoderno di natura familistica che in tutto il Mezzogiorno si sostituirebbe a una moderna società civile. Ma anche e soprattutto per alcune cause strutturali che proviamo a elencare.

Il Mezzogiorno d’Italia è infatti una regione unica in Europa – non a caso è l’unica delle regioni povere che ha visto crescere invece che diminuire la divergenza dal resto dell’Unione europea – per il combinato disposto di almeno cinque fattori, peraltro non indipendenti tra loro:

  • la presenza di una criminalità organizzata diffusa che, in molte zone si fa antistato e fa del controllo illegale del territorio, nelle sue diverse dimensioni (militare, ma anche economico, sociale e persino culturale) una delle leve principali del suo potere e una delle fonti principali della sua ricchezza;
  • un’enorme disgregazione socioeconomica, resa ancora più acuta, nell’ultimo ventennio, da un processo di deindustrializzazione che ha avuto pochi pari in Europa e che, a differenza di altre aree del vecchio continente che hanno visti chiudere le vecchie industrie manifatturiere, non ha visto realizzarsi alcun serio progetto di politica di riqualificazione e di ricostruzione del tessuto economico;
  • una densità demografica che in alcune aree, soprattutto in Campania, è enorme, che rende per esempio, l’area a cavallo tra le province di Napoli e Caserta, un’unica città “in-finita”, una megalopoli “in-terminata” in cui non c’è soluzione di continuità tra realtà urbana e realtà rurale; in cui si affastellano senza alcun ordine – senza più ordine, perché in passato, anche in un recente passato, quell’ordine in qualche modo esisteva – metropoli, paesi e campagne; case, capannoni, strade e terre coltivate; cemento, campi, discariche abusive e poi ancora cemento, in una condizione di caos e, spesso, di degrado che è, ancora una volta, pressoché unica in Europa;
  • la presenza, contemporanea, di due grandi flussi migratori, l’uno in entrata (in genere di extracomunitari), l’altro in uscita (con un numero molto alto di migranti laureati), che si intrecciano in maniera a loro volta caotica e che contribuiscono ulteriormente a lacerare il già lacerato tessuto sociale;
  • ultima, ma non ultima, la risposta autoritaria dello Stato che, nelle sue varie articolazioni, ora in maniera esplicita (attraverso leggi e decreti) ora in maniera implicita (attraverso il concreto operare o le omissioni delle burocrazie) inibisce di fatto e a ogni livello la domanda di partecipazione, di trasparenza e persino di semplice informazione.

Il giornalista e scrittore Pietro Greco approfondirà questo tema sul prossimo numero
di Epidemiologia&Prevenzione (Epidemiol Prev n. 1/2012)

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