Attualità
18/12/2013

Dai livelli essenziali di assistenza agli obiettivi minimi di salute

La discussione sul funzionamento e sugli standard del servizio sanitario nazionale è stata condizionata negli ultimi anni da un equivoco sostanziale sulla natura e sugli scopi di un sistema di welfare universalistico, cioè che la qualità e l’efficacia del sistema potesse essere garantita dalla tipologia (e magari dalle dimensioni) dell’offerta di servizi e di assistenza (LEA) piuttosto che dall’efficacia degli interventi e dal loro rapporto con la salute della popolazione.

Questa deriva produttivistica ed economicista non ha niente a che vedere con l’economicità del sistema, con la sua sostenibilità, con i diritti garantiti dalla costituzione; al contrario, scambia i mezzi con i fini: si affanna a dimostrare quali prestazioni siano in assoluto e in generale erogabili trascurando la banale osservazione che anche una prestazione di incontestabile erogabilità, dalla somministrazione di un antibiotico a un intervento di isterectomia, può essere inutile, quindi rischiosa e potenzialmente dannosa. Se si continua su questa strada, magari perseguendo per legge o disposizione amministrativa l’obbligo dell’appropriatezza, si finisce fatalmente per confondere la politica con la clinica, l’ordinamento con le evidenze scientifiche. Le responsabilità della politica si devono al contrario tenere fuori dalle corsie e dagli studi professionali.

Quando andiamo al ristorante e non siamo esperti di culinaria riteniamo di poter apprezzare il cibo che ci viene servito senza necessariamente sapere se la ricetta preveda cipolla o scalogno, curcuma o zenzero, mentuccia o basilico; in modo molto più raffinato e oggettivo è possibile sapere se un sistema sanitario regionale, un servizio o un reparto producano salute e lo facciano in modo efficiente e attento ai costi, se riescano ad allargare accessibilità e completezza dei trattamenti, senza definire norme che stabiliscano quali procedure siano ammissibili o quando debbano essere eseguite. Quello che dovrebbe interessare la politica e quello che interessa al cittadino è che si ottenga il massimo risultato possibile di salute per ogni quantità di risorse disponibili.

Le obiezioni che sembra possibile muovere a un sistema che non si preoccupa di stabilire il tipo di articoli presenti sugli scaffali del supermercato,ma cerchi di assicurare un livello di nutrizione adeguata ai suoi cittadini, possono essere di due ordini. In primo luogo, pensiamo a come sia semplice contare le scatole di arachidi tostate su uno scaffale, mentre è troppo complicato, lungo e incompatibile con i tempi della politica verificare quanti bambini diventino obesi o quanti denutriti. In secondo luogo, e questa sembra un’obiezione particolarmente sentita da chi teme di essere considerato fuori moda e poco in sintonia con una società aperta, libera e orientata al mercato, se gli scaffali sono pieni il cittadino è perfettamente in grado di scegliere e qualsiasi pretesa di entrare nel merito di queste scelte si avvicina troppo pericolosamente a un’opzione ideologica e veterosocialista.

Queste obiezioni sono totalmente inconsistenti per ragioni che si cercherà di spiegare con semplicità:

  • sono definibili e sono stati definiti in contesti sociali e politici anche molto diversi (dalla Gran Bretagna, alla Nuova Zelanda, agli Stati Uniti alla Svizzera) indicatori adeguati a dare conto delle variazioni nel livello di tutela della salute della popolazione con tempi corrispondenti alle esigenze della politica. Su questa base, per le regioni possono essere individuati obiettivi minimi di salute in grado di descrivere le garanzie effettivamente offerte ai cittadini in modo molto più efficace dei LEA, determinando un quadro omogeneo di valutazione che, comunque necessario, diventa indispensabile in un assetto istituzionale sempre più orientato in senso federalista;
  • la forma più estrema di dirigismo è quella attualmente in essere che vincola le scelte individuali in nome di principi generali e che subisce limiti oggettivi soltanto per la sua incapacità e per la sostanziale impraticabilità di esercitare un controllo effettivo sui comportamenti assistenziali, ma che pretende di restringere i prodotti sul mercato a un paniere controllato di prestazioni ammesse e di definire le modalità di utilizzazione di questi prodotti per disposizione normativa. Al contrario, definire obiettivi minimi di salute all’interno di vincoli economici consente di ampliare l’offerta di prodotti assistenziali ponendo l’unica condizione che siano efficaci ed economicamente compatibili. Questa impostazione permette di superare il dirigismo sui mezzi e di sostituirlo con la programmazione dei fini. I decisori locali come i professionisti possono, anzi, devono essere chiamati a rendere conto dei risultati e, se utilizzeranno strumenti o approcci diversi, combinazioni differenti dei mezzi a loro disposizione, modelli diversi di organizzazione, ciò non rappresenta un limite ma una ricchezza del sistema. Una competizione su risultati che contano per la salute dei cittadini e sulla capacità di utilizzare nel modo migliore le risorse disponibili è una competizione virtuosa nella quale stabilire regole, risorse, criteri rigorosi di valutazione e non improbabili elenchi di prestazioni ha un grande valore.

Quali obiettivi

Mentre l’individuazione dei LEA è totalmente indifferente ai problemi e ai bisogni di salute della popolazione, perché considera la questione unicamente sul versante delle singole prestazioni e del loro grado astratto di utilità assoluta, la definizione di obiettivi minimi di salute presuppone invece:

  • l’individuazione preliminare di aree considerate critiche per la salute della popolazione e per le quali definire obiettivi per le regioni, eventualmente differenziandone alcuni in ragione delle caratteristiche specifiche di ciascuna regione;
  • la definizione di indicatori specifici, almeno inizialmente semplici nell’impianto e facili da calcolare, che rendano conto della posizione di ciascuna regione rispetto agli obiettivi minimi da assicurare;
  • la scelta di indicatori di processo e di prodotto che siano riconducibili, in termini scientificamente documentati, a risultati di salute,ma che siano migliorabili e valutabili nel breve e medio periodo, quindi utili alla verifica periodica;
  • la scelta di indicatori di esito che rappresentino, in termini scientificamente documentati, un risultato di salute e siano quindi utili a verifiche di lungo periodo;
  • la scelta di indicatori di costo e di costo-efficacia che documentino, in termini scientificamente documentati, la performance operativa di ciascun sistema regionale;
  • la definizione di criteri in base ai quali le Regioni possano integrare e dettagliare indicatori e obiettivi regionali con obiettivi da indicare alle aziende sanitarie;
  • la definizione di criteri in base ai quali le aziende sanitarie possano integrare e dettagliare gli obiettivi aziendali con obiettivi specifici da concordare con le macrostrutture e le unità operative aziendali.

Questo insieme di obiettivi e di indicatori, articolato per livello di responsabilità, da quelle di governo, a quelle di gestione e cliniche, può dare forma a un sistema nazionale di valutazione, omogeneo nei criteri e negli indicatori di confronto tra regioni, ma sufficientemente flessibile per tenere conto delle variabilità tra regioni e, al loro interno, delle caratteristiche proprie di ciascun sottosistema regionale.

Un sistema di valutazione simile consente, inoltre, di superare una diatriba talvolta giustificata, ma molto spesso stucchevole e inutile, sullo scontro tra politica e tecnica. La garanzia sulla qualità non è infatti definita a priori, attraverso procedure di selezione più o meno laboriose alle quali si attribuisce il potere di non sbagliare, ma si basa sulla constatazione che, a prescindere dalle procedure messe in atto, non sempre le scelte di selezione dei responsabili sono soddisfacenti, ed è più importante accorgersi di quando questo accada piuttosto che assumere l’esistenza di una procedura di selezione esente da errori. La valutazione, definendo le responsabilità in base agli obiettivi, contribuirebbe peraltro a suggerire ai decisori, di qualsiasi livello, più attenzione nell’effettuazione di scelte dei cui effetti diverranno responsabili.

Un esempio concreto

Che questa strada sia percorribile da subito, certamente in modo parziale e imperfetto, merita forse una dimostrazione esemplificabile da un problema di salute come il tumore della mammella, sul quale si misura davvero la capacità di un sistema sanitario di farsi carico dei bisogni della popolazione.

Per il tumore della mammella esistono, infatti, indicatori di processo, di prodotto e di risultato che consentono di seguire l’intera catena di responsabilità del sistema sanitario. Indicatori di processo e di prodotto come la copertura dei programmi di screening, i tempi di completamento del percorso diagnostico, i tempi di effettuazione del trattamento primario, i tempi di completamento del trattamento primario, l’integrazione e la concentrazione dei percorsi di cura, i tempi dalla diagnosi di recidiva all’eventuale trattamento secondario sono tutti collegati in modo scientificamente documentato al risultato di salute e sono verificabili in tempi brevi; gli indicatori di risultato, come la durata della sopravvivenza, il tempo e la frequenza di comparsa delle recidive e la mortalità sono invece verificabili in tempi medi e lunghi. A partire da questi indicatori possono essere costruiti obiettivi regionali e definiti criteri per indicatori e obiettivi specifici da attribuire agli altri livelli di funzionamento del sistema. A partire da indicatori simili e dai relativi obiettivi possono essere inoltre costruiti requisiti di accreditamento e di uscita dal sistema dei soggetti erogatori ed è possibile modulare i sistemi di remunerazione e i criteri di riparto dei finanziamenti pubblici.

D’altra parte l’efficienza operativa di ciascun sottosistema (regionale, aziendale o intra-aziendale) può essere misurata non solo come rapporto tra volume di prestazioni e risorse consumate, ma anche come rapporto tra risorse consumate e punti di performance raggiunti o guadagnati e come rapporto tra prestazioni effettuate e punti di performance. La definizione di obiettivi minimi di salute garantisce l’effettiva universalità del sistema e la concreta garanzia di tutela prevista dalla Costituzione.

Non sempre la definizione di indicatori e criteri obiettivi risulta così agevole come per il tumore della mammella, ma il percorso può essere replicato per un numero di problemi di salute sufficienti a costituire il cuore di un vero patto per la salute tra il cittadino e il sistema sanitario; tale patto può concordare non solo gli obiettivi, ma anche le condizioni del loro raggiungimento.

È del tutto evidente che questo approccio non può prescindere dalla tipologia e dalla quantità delle prestazioni erogate, ma non considera la loro produzione una finalità autonoma del sistema sanitario quanto piuttosto uno degli strumenti utili alla tutela della salute.

Quale offerta

Si è detto che la definizione di obiettivi deve prevalere sull’offerta di prestazioni, che non è rilevante insomma di che colore sia il gatto purché catturi il topo. Non è esattamente così, per alcune patologie esistono prestazioni, lo dicono le evidenze scientifiche, più efficaci di altre; modalità dell’offerta più efficaci e più efficienti di altre; per giunta, l’offerta può condizionare e spesso condiziona la domanda e quest’ultima, in un sistema di offerta plurale, può essere condizionata e orientata, ma non rigidamente vincolata.

Ma non è neppure utile al sistema che la domanda sia vincolata e che si impedisca di mantenere aperte opzioni diverse di offerta i cui effetti possano essere comparati nel tempo. Ciò permetterebbe di diversificare le modalità di offerta e aumentarne nel tempo la qualità. In realtà, quello che oggi serve al miglior funzionamento del sistema è consentire la diversificazione dell’offerta, includere nelle offerte possibili quelle che si sono dimostrate efficaci e attualmente sottoutilizzate o non utilizzate, non per imporle, ma per proporle e promuoverle.

Tali offerte sono quelle dei servizi integrati, dei percorsi assistenziali, dei percorsi di presa in carico della persona, della continuità assistenziale, dell’integrazione sociosanitaria. Si tratta di offerte di servizi complessi che identificano nella forma di prestazioni garantite dal sistema sanitario la vicinanza alla persona e al paziente, la semplificazione dell’accesso e degli interlocutori istituzionali, la riduzione dei carichi burocratici, l’affiancamento del cittadino nei passaggi assistenziali più problematici.

Un esempio concreto

Per fornire anche in questo caso un esempio di praticabilità e concretezza possiamo prendere in esame il trattamento del diabete. Si sono ormai accumulate evidenze scientifiche impressionanti le quali dimostrano che l’efficacia dell’assistenza ai pazienti diabetici non è legata al numero o alla tipologia delle prestazioni erogate, né in forma singola né come pacchetti di prestazioni più o meno oculatamente scelte, ma alla capacità di seguire in modo assiduo il paziente soprattutto negli anni immediatamente successivi alla diagnosi, anche perché un buon controllo glicemico nelle fasi di esordio della malattia (4-5 anni) svolge un consistente effetto protettivo sul rischio di complicanze per tutto il resto della vita. È un’evidenza scientifica che identifica una prestazione complessa ed è composta da:

  • un numero definibile di accessi;
  • un numero definibile di controlli clinici, di laboratorio e strumentali che possono essere programmati e garantiti;
  • un intervallo temporale di erogazione definito;
  • la definizione di criteri standard che consentano di definire la prestazione come effettivamente erogata.

Tale prestazione complessa non viene offerta ai pazienti come opzione esclusiva e questi possono anche accedere alle forme molecolari di prestazione. La prestazione-percorso presenta però, rispetto ad altre modalità di erogazione, un vantaggio competitivo costituito dall’eliminazione delle prenotazioni, dall’unicità degli interlocutori, dall’offerta attiva di servizi. Il costo aggiuntivo di una prestazione simile è legato alla sua complessità organizzativa; la sua convenienza economica diretta è invece legata alla riduzione nel numero di accertamenti inutili e inappropriati; la sua convenienza economica indiretta è collegata alla sua efficacia e quindi alla riduzione dei costi legati alle complicanze, nonché all’aumento dei tempi di attività produttiva dei soggetti interessati.

La convenienza netta di questa prestazione rispetto alla somma delle prestazioni singole alle quali fanno ricorso i pazienti diabetici è già stata dimostrata, inoltre l’individuazione di prestazioni simili consentirebbe di orientare l’uso degli strumenti tariffari e retributivi privilegiando queste prestazioni rispetto ad altre e generando un’induzione positiva di domanda da parte di un’offerta efficace. Non tutti i soggetti erogatori sarebbero in grado di assicurare questa prestazione/percorso e una pressione tale sui soggetti erogatori può rappresentare un ulteriore elemento positivo di qualificazione dell’offerta.

Quello del diabete è un esempio semplice, documentato e già praticato con successo; altri percorsi sono già effettuabili e possono essere descritti con analogo dettaglio: dalla gestione della malattia ipertensiva, a quella della cardiopatia ischemica e delle malattie cerebrovascolari, a quello ancora di molte malattie oncologiche, ma in ogni caso un approccio simile non pretende di essere esaustivo, semmai afferma la sua parzialità, la sua natura di offerta alternativa consapevole di poter competere in virtù della sua qualità intrinseca e della sua capacità di rispondere a bisogni autentici e solo parzialmente e inadeguatamente soddisfatti da un’offerta più tradizionale di servizi.

Un’offerta tale ricolloca, inoltre, al centro del sistema la sanità pubblica, non solo nel senso che il sistema pubblico è oggettivamente più attrezzato a fornire prestazioni-percorso, ma anche nel senso che un’intelligenza pubblica interviene sul mercato e propone regole che corrispondono a un interesse di sanità pubblica.

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