Attualità
11/04/2018

Commissione parlamentare d’inchiesta sulla salute dei militari esposti a uranio, amianto e vaccini

Il 7 febbraio è stata pubblicata la relazione finale della Commissione parlamentare d’inchiesta su casi di morte e malattia che hanno colpito il personale militare italiano a seguito di esposizione a vari fattori nocivi. I giornali hanno parlato quasi esclusivamente degli effetti dell’uranio, le associazioni antivax dei vaccini, E&P invece propone un focus sul rispetto delle norme sulla sicurezza del lavoro in ambito millitare.

È stata pubblicata la relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sui Casi di morte e di gravi malattie che hanno colpito il personale italiano impiegato in missioni militari all’estero, nei poligoni di tiro e nei siti di deposito di munizioni, in relazione all’esposizione a particolari fattori chimici, tossici e radiologici da possibile effetto patogeno e da somministrazione di vaccini, con particolare attenzione agli effetti dell’utilizzo di proiettili all’uranio impoverito e della dispersione nell’ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotti da esplosioni di materiale bellico e a eventuali interazioni.1
Il testo, privo di peli sulla lingua, ispira fiducia nelle istituzioni: è ricco di informazioni, di valutazioni e di parole d’ordine, fin da quella che apre il paragrafo introduttivo «Mai più una penisola interdetta, mai più militari morti senza un perché». Tutto nel nome di due principi; il principio di precauzione e l’inevitabile ricorso a un criterio probabilistico nell’attribuzione di casi di malattia a pregresse esposizioni ambientali.
Le “Criticità e proposte in materia di sicurezza sul lavoro” (capitolo 2) vengono individuate dalle deposizioni in aula e da sentenze in sede penale, come la condanna di un ex-direttore della sanità militare dal tribunale di Padova per omicidio colposo e – presso lo stesso tribunale – il procedimento in corso per patologie correlate ad amianto in 63 appartenenti alla marina militare. Nonostante la scarsa sistematicità degli interventi della Magistratura penale, si riconosce il merito di quanto è stato fatto, malgrado «gli assordanti silenzi mantenuti dalle Autorità di Governo, pur esplicitamente sollecitate».
Effettivamente, l’amianto è il fattore di rischio per il quale la Commissione ha potuto raccogliere maggiori e più precise stime di impatto. Dal 1993, il Registro nazionale mesoteliomi (ReNaM) ha identificato 830 mesoteliomi in soggetti già esposti ad amianto nell’ambito dei corpi militari (è una sottostima, dato che la copertura ReNaM nei primi anni non era completa).
Questo capitolo individua i punti deboli delle scelte operative. La vigilanza nei luoghi dove i militari operano e lavorano è demandata a strutture interne alle forze armate e non a organismi esterni, indipendenti, come previsto dal D.Lgs. 81/2008 (Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro). Ben di rado i teatri operativi all’estero sono stati sottoposti a qualche forma di vigilanza della sicurezza. Per la marina militare, dal 2010 è istituita una struttura di prevenzione, con funzioni di polizia giudiziaria da parte di militari della marina, con prevedibili e inevitabili conflitti quando questi nuovi UPG si troveranno a denunciare o sanzionare i loro stessi commilitoni.
I documenti di valutazione dei rischi (DVR) e i documenti unici di valutazione dei rischi interferenziali (DUVRI) sono stati compilati in modo disattento, senza prescrizioni ai contravventori e senza interventi da parte dei vertici dell’Amministrazione della difesa. Per esempio, il tenente colonnello medico Lettieri, direttore dell’infermeria del Comando KFOR, ha dichiarato che non gli risulta che siano esistiti DVR per le missioni in Kosovo, Libano e Afghanistan (forse ne è stato redatto uno a Mosul nel 2017). La Commissione ritiene che ciò abbia contribuito a «stendere un velo tutt’altro che pietoso sui […] rischi incombenti nei siti militari in Italia e all’estero, e […] (a) mantenere un lugubre silenzio sulla mancata adozione di misure di prevenzione». I DVR, poi, quando vengono stesi, non sono semplici, brevi e comprensibili, come raccomandato dal D.Lgs. 81.
La Commissione si è chiesta se, nel mondo militare, il responsabile del Servizio di prevenzione e protezione (RSPP) e il medico competente (MC) siano preparati e autonomi. La risposta è disarmante. Queste figure non sono presenti in tutte le sedi e la loro indipendenza lascia a desiderare. Alcuni esempi: un medico competente, nelle visite ispettive, si reca «dove il datore di lavoro […] mi dice di recarmi». Il RSPP di uno stabilimento di munizionamento in Umbria non solo non ha saputo spiegare come mai il DVR non avesse considerato la vulnerabilità sismica degli impianti, ma ha affermato – 5 anni dopo la stesura del primo DVR – di ignorare che lo stabilimento si trovasse in zona sismica 1.
Negli ambienti militari, in contrasto con quelli civili, i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (RLS) «sono designati dal datore di lavoro, su proposta non vincolante degli organi della rappresentanza militare». Quanto questo garantisca che gli RLS svolgano la loro funzione in modo autonomo e indipendente è molto incerto.
Il mondo militare dispone di due Centri di riferimento per le questioni ambientali: il Centro interforze studi per le applicazioni militari (CISAM) a Pisa e il Centro tecnico logistico interforze nucleare, batteriologico e chimico (CETLI NBC) di Civitavecchia. La Commissione ha preso atto che, in diverse circostanze, l’uno o l’altro Centro non sono stati in grado di approfondire situazioni di sospetto di presenza di rischi ambientali. Si rimane perplessi nel leggere che alle segnalazioni delle criticità di funzionamento di CISAM e CETLI i vertici dell’Amministrazione della difesa hanno risposto di non esserne al corrente. Quanto costino queste strutture non viene detto.
La sezione «Un Osservatorio epidemiologico della difesa scientificamente non accettabile» è quella che maggiormente ha turbato il mio candore epidemiologico. La non accettabilità emerge in modo paradigmatico dai dati sui mesoteliomi. Il direttore dell’Osservatorio ha dichiarato alla Commissione che, nel 2017, all’Osservatorio risultavano 107 casi di mesotelioma tra i militari di tutte le Forze armate. Ha aggiunto che «i dati di sorveglianza riportati non supportano l’ipotesi (di una) […] maggiore incidenza di neoplasie tra il personale militare». La discrepanza sopra menzionata tra i 107 casi dell’Osservatorio e gli 830 registrati dal ReNaM è spiegata dal direttore stesso: «Noi perdiamo i dati del personale in congedo». No comment. Con understatement britannico, la Commissione rileva che sono necessari «approcci e verifiche malauguratamente trascurati dall’Osservatorio epidemiologico». Qualche pagina più avanti, però, il tono diventa più tagliente: «L’Osservatorio finisce per essere funzionale alle scelte strategiche. […] La sottostima dei casi può erroneamente indurre a ritenere efficienti i sistemi di prevenzione in atto e a non stimolarne una revisione critica […] e a ritenere indimostrato il nesso causale tra patologia ed esposizione a determinati agenti nocivi». Incidentalmente, la relazione non fa nessun cenno al Registro tumori delle Forze armate di cui anche E&P si era occupata qualche anno fa e che probabilmente è morto di morte naturale (ma quanto era costato?).2
Nel lungo paragrafo «Il negazionismo dei vertici militari», il discorso ruota intorno a un’intervista rilasciata al TG2 dal generale Carmelo Covato, della Direzione per il coordinamento centrale del Servizio di vigilanza, prevenzione e protezione dello Stato maggiore dell’Esercito (quello che ignorava i gravi limiti delle stime prodotte dell’Osservatorio epidemiologico). Al TG, il generale aveva risposto positivamente quando gli fu chiesto se «gli uomini che operavano sul terreno nella ex Jugoslavia sapevano del pericolo dei bombardamenti dell’uranio impoverito». Ma, in Commissione, il generale ha ammesso che la sua competenza non si estendeva all’estero e che comunque egli non si era preoccupato di verificare quanto “gli uomini” realmente conoscessero. Dalla deposizione, è altresì emerso che il Comando operativo di vertice interforze (COI) non era in condizioni di sapere se militari di altri Paesi operanti negli stessi teatri di guerra avessero utilizzato materiali nocivi.

Proposte per il futuro

Per bloccare gli effetti distorsivi prodotti dai meccanismi descritti nella relazione, la Commissione avanza una serie di proposte, che meritano di essere riassunte.
In primo luogo, si sollecita l’approvazione di una proposta di legge (AC3925), firmata da quasi tutti i membri della Commissione, per estendere all’Amministrazione della difesa l’applicazione del D.Lgs. 81/2008, affidando al ministero del Lavoro anche la vigilanza sugli ambienti militari di lavoro, e per salvaguardare l’autonomia degli RSPP e dei medici competenti. Parallelamente, viene raccomandato che gli RLS vengano designati dai lavoratori militari. Sono anche indicate le misure necessarie per “rigenerare” gli organi tecnico-operativi (di cui, tra l’altro, si raccomanda il coinvolgimento nella ricerca).
Viene, quindi, ricordato come attualmente la capacità delle Procure della Repubblica di intervenire a tutela della sicurezza negli ambienti di lavoro sia limitata e assai eterogenea, vuoi per la ristrettezza degli organici, vuoi per l’insufficiente competenza ed esperienza. Ne conseguono sperequazioni di accesso alla giustizia. La Commissione fa propria una proposta da anni espressa da Raffaele Guariniello, già procuratore della Repubblica a Torino (e membro della Commissione stessa) di costituire una Procura nazionale per la sicurezza del lavoro nella quale fare confluire anche le indagini riguardanti l’ambiente di lavoro militare.
Infine, si sollecita il “superamento” dell’Osservatorio epidemiologico della difesa, dimostratosi inetto a produrre stime di qualche affidabilità, e l’affidamento delle ricerche epidemiologiche, indispensabili per la programmazione sanitaria all’Istituto superiore di sanità.
Nulla da esprimere su queste proposte, se non un dubbio sull’attenzione che esse – così come il progetto di legge AC3925 – riceveranno nel nuovo Parlamento.

Conflitti di interesse dichiarati: nessuno.

Bibliografia

  1. http://documenti.camera.it/_dati/leg17/lavori/documentiparlamentari/IndiceETesti/022bis/023bis_v1/INTERO.pdf
  2. • Peragallo MS, Urbano F, Sarnicola G, Lista F, Vecchione A. Condizione militare e morbosità per cancro: il punto della situazione. Epidemiol Prev 2011;35(5-6):339-45.
    • Accame F. Uranio impoverito: è tempo di condurre un serio studio epidemiologico. Epidemiol Prev 2009;33(6):194.
    • Berrino F. Bella vita militar! Epidemiol Prev 2001;25(3):104.
Approfondisci su epiprev.it Vai all'articolo su epiprev.it Versione Google AMP