Attualità
23/06/2011

Come si muore. Una epidemiologia per la fase finale della vita

Si è aperta una nuova discussione nel Parlamento italiano sul cosiddetto testamento biologico.

Si torna a parlare di come affrontare la fase finale della vita, un tema sul quale le controversie si riacutizzano ogni volta che la politica identifica in questo tema un motivo opportuno per lo scontro e il contendere, facendo del corpo e della vita delle persone il luogo della contesa politica.

Sembra ormai che tanto tempo sia trascorso dalla morte di Eluana Englaro, per la quale si arrivò addirittura a proporre modalità legislative d’urgenza, con una violenza che solo la provvidenza, questa volta si può dire, ponendo fine alla sua vita, consentì di non trasformare in ulteriore tragedia.

Ma anche questa volta la tempistica nel ritornare a discutere della questione non promette nulla di buono e sembra, in condizioni di scontro politico rissoso e continuo, preludio a una discussione senza ascolto e, per quanto ci riguarda, sensibile solo a uno scontro ideologico, non capace di accogliere la sensibilità di un mondo, scientifico e sanitario, che vuole riflettere su come si muore e sulle implicazioni che lo sviluppo della biomedicina ha portato su come si assiste il morente.

Epidemiologia di fine vita

Circa dieci anni fa fu pubblicato su Lancet lo studio EURELD, una collaborazione di ricerca a cui parteciparono 6 paesi (Olanda, Svezia, Belgio, Svizzera , Italia, Danimarca), che presentava i primi dati che cercavano di valutare le differenze nel processo del morire in Europa e si proponevano di comprendere l’impatto che la diffusione delle decisioni mediche ha nel modo in cui si muore a seguito di una patologia cronica, soprattutto il cancro. Nasceva, anche in Italia, un’epidemiologia del fine vita che, come ricordava Guido Miccinesi in un suo recente editoriale su E&P (/editoriale/assistenza-alla-fine-della-vita-monitoraggio-e-clinical-pathways-prospettive-italia-e-eur, si è sempre più sviluppata, con nuove metodologie e avviando approfondite valutazioni sulla assistenza nella fase finale della vita, sulle decisioni mediche e soprattutto nella valutazione e ricerca in cure palliative.

Nell’area delle cure palliative vi è stato grande sviluppo di ricerca e monitoraggio che è andato in parallelo con un cambiamento sostanziale, seppure ancora oggi limitato per copertura, del modo di assistere chi muore. A questo sviluppo ha dato forte impulso il finanziamento degli hospice da parte del Ministero della salute (ministro On. Rosy Bindi), una struttura che ha favorito la crescita dell’offerta di assistenza al morente per patologia oncologica, ma sempre più anche per altre patologie cronico-degenerative. Una realtà in crescita, ma che a tutt’oggi presenta grandi diversità territoriali e di impegno degli amministratori regionali.

 

Guardare alla realtà dei fatti

Nel prossimo numero di E&P affronteremo il tema delle decisioni di fine vita per contribuire a ricondurre una discussione che rischia di essere tutta ideologica alla necessità del confronto con la valutazione di ciò che si verifica nella realtà italiana.

Il compito della epidemiologia nella descrizione e discussione pubblica è anche questo: contribuire a evitare che prevalga la discussione senza radici nella realtà di ciò che avviene, che prendano il sopravvento i mostri e le invettive. Recuperare invece, a partire dal metodo di studio e dai dati empirici, la possibilità di un confronto esplicito di idee e punti di vista che possano confrontarsi nella interpretazione e che si pongano con rispetto nei confronti di momenti della vita così complessi e difficili.

Oggi è un dato di fatto che in una larga parte delle decisioni alla fine della vita, vi è un intervento del medico, sia attivo sia nella forma dell’astenersi da un intervento o da un trattamento. Tali decisioni sono il più delle volte, nella realtà italiana, non condivise con il paziente e, assai spesso, neanche con i familiari. Bisogna che politici e amministratori si rendano conto che il rispetto per le persone, le loro scelte e la loro autonomia è necessario per capire cosa avviene in questi momenti, e non dimentichino, per posizioni ideologiche, la necessità di ascoltare, che è possibile anche attraverso i dati epidemiologici che molti studi oggi offrono. Le conoscenze tecniche e le valutazioni delle pratiche sono indispensabili per comprendere e fare in modo che l’affermazione di valori non si trasformi in conflitto e ulteriore dolore per le persone che vivono la sofferenza.

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