Attualità
07/03/2012

Benvenuti al sud

Ho letto con un certo coinvolgimento l’articolo Mortalità per tumori nel Sud Italia 1999-2003, di Bidoli et al (Epidemiol Prev 2011; 35 (3-4): 200-206). Certo, il riassunto promette una lettura interessante, anche se si rimane sorpresi quando si definisce «locale» un’analisi a livello provinciale (su dati vecchi al 2003) e si auspicano misure di prevenzione su dati aggregati di sedi tumorali a eziologia diversa.

Si dice che «le attuali conoscenze sulle cause dei tumori spiegano quasi tutti gli eccessi osservati». Si tratta di uno studio descrittivo per cui non si può ipotizzare (e insistere su) opinabili relazioni di causa-effetto senza neanche riportare riferimenti validi. La dieta, la vita sedentaria e il fumo sono fattori di rischio ma spesso sono indicati invece come uniche cause determinanti della mortalità tumorale al Sud, senza riportare studi che giustifichino tali affermazioni. Altri ben noti fattori di rischio, quali le esposizioni in ambito occupazionale e/o ambientale non vengono mai citati.

Riporto e commento alcuni passaggi nello specifico.

Poiché «sia negli uomini sia nelle donne, tutte le province del Molise, della Basilicata e della Calabria e le province di Chieti, Avellino e Foggia non hanno presentato alcun eccesso statisticamente significativo e semmai riduzioni della mortalità neoplastica» non si dovrebbe concludere che in tutto il Sud lamortalità è elevata.

Si osserva che le province di Napoli e Caserta sono risultate quelle con il maggior numero di eccessi ma non vi è neanche un accenno ai noti problemi di inquinamento ambientale di queste province (vedi per esempio Comba et al. Cancer mortality in an area of Campania (Italy) characterized by multiple toxic dumping sites. Ann N Y Acad Sci 2006;1076: 449- 461) che possono giocare un ruolo rilevante sull’aumento dei tumori, e non solo al Sud. Inoltre se il terreno, l’acqua e l’aria sono inquinate lo sarà sicuramente anche il cibo.

«A livello provinciale sono stati osservati dei livelli di mortalità che vanno in direzioni opposte in province contigue. Una spiegazione a tale osservazione è riconducibile ai diversi livelli di urbanizzazione e industrializzazione delle varie province del Sud, a una diversa distribuzione dei fattori di rischio legati ad abitudini di vita individuali, e a una non completa copertura sul territorio degli screening di popolazione. Dato che gli eccessi di mortalità neoplastica sono stati osservati in un numero circoscritto di province, interventi mirati di prevenzione e diagnosi precoce potranno migliorare lo stato di salute della popolazione». Con un piccolo sforzo si poteva riportare quanto risulta sul sito dell’Osservatorio nazionale screening cioè la copertura con screening della popolazione che al 2003 nelle regioni del Sud era molto bassa. E questo nelle regioni dove era attivo il programma. A quanto mi risulta in Puglia nel 2003 non era attivo nessuno screening.

«(Per) il tumore al polmone (…) il pattern geografico che si è osservato in questo studio di mortalità riflette pertanto un elevato consumo di tabacco nel passato nelle province di Caserta, Napoli e Lecce». Non è corretto dedurre il consumo di tabacco dalla mortalità per tumore al polmone. Non si riportano dati che dimostrino un maggiore consumo di tabacco in queste tre province. Per questo tumore esistono fattori di rischio legati alla occupazione, all’ambiente, e anche a fattori genetici.

L’affermazione: «In particolare, nel Sud Italia i tassi di incidenza per tumore al fegato sono i più alti d’Europa» non è corretta. Come si evince dalla tabella 1 i tassi TMSE al sud (6.7) sono simili a quelli di tutta Italia (6.6) tra gli uomini e poco più alti tra le donne al sud (2.1 e 1.9). Nel volume citato nella referenza 7, tra il 1970 e il 1999 la mortalità tra gli uomini risulta al Sud inferiore a quella del Nord,mentre tra le donne la mortalità è molto simile in tutto il territorio italiano e dal 1995 al 1999 (simile al periodo esame in questo studio) per le donne meridionali è inferiore a quella nel Nord. Poco dopo si dice che «in un campione rappresentativo della popolazione della provincia di Napoli la sieroprevalenza di HCV è risultata pari al 7,5%mentre quella per HBsAg era del 2.0%. Le cause di una prevalenza così diffusa delle infezioni da virus epatici nella provincia di Napoli sono da associarsi a una serie di esposizioni quali le trasfusioni di sangue eseguite nel passato, lo scambio di siringhe infette tra tossicodipendenti, la coabitazione e le relazioni sessuali con individui infetti». Questa affermazione, non seguita da altri commenti descrittivi di altre realtà, insiste su stili di vita che indirettamente vengono attribuiti a tutti i malati di tumore al fegato. Se ne deve dedurre quindi che tali stili di vita siano da attribuire in particolare agli uomini del Nord e a tutte le donne italiane sin dalla metà degli anni Settanta. Si ipotizza che «se non vi sono all’interno del Sud Italia significative differenze nell’accesso alle cure e alla qualità delle stesse, i dati di mortalità costituiscono un’ottima indicazione relativa per individuare le aree a rischio più elevato». Non si tiene neanche conto del grande fenomeno della migrazione sanitaria dal Sud che ha sicuramente contribuito a una aumentata diagnosi dei tumori.

Infine non si è tenuto conto di nessun indicatore di deprivazione socio-economica, e oggi non è plausibile accettare un’analisi di mortalità che non consideri come la ricchezza, e le relative condizioni di vita e di rischio, tra le province esaminate non sia omogenea.

Oggi questo articolo poco aggiunge a quanto si conosceva, giunge a conclusioni superficiali e non corrette sui possibili fattori di rischio legati alla mortalità tumorale nella Italia del Sud. E alla fine ci si chiede a quando un esame più aggiornato delle evoluzioni temporali della mortalità per tumori al Sud che consideri anni più recenti e aggregazioni geografiche meno amministrative e più significative dal punto di vista epidemiologico.

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